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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2022
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Nonostante il tema trattato non sia dei più "leggeri" (circa un secolo di storia polacca ) e si tratti di un libro di più di 700 pagine il romanzo, attraverso le vicende dei suoi protagonisti, appassiona e coinvolge. Consigliato. Attraverso le vicende dei suoi personaggi
A mio modestissimo parere "La famiglia Karnowski" è un romanzo più riuscito, più coinvolgente, anche perché punta maggiormente sugli aspetti umani, intimi, dei personaggi, al contrario di questo, nel quale prevale, salvo per il finale, il tratteggio della cornice storica. Più la storia di un popolo che di uomini. Resta comunque un magnifico ritratto di un'epoca dura (soprattutto per gli ebrei) e di chi l'ha vissuta, pieno si personaggi, paesaggi, storie grandi e piccole che traboccano dalla pagina come fanno dalla tela le immagini dei quadri di Rubens, rutilanti di carni, vita e colore. Qui però il tono è molto meno scintillante, ovviamente... Non fatevi scoraggiare dalla mole (quasi 800 pagg.) e lasciate da parte per un po' le ultime novità di libreria. Ogni tanto un assaggio dei vecchi maestri è salutare e aiuta a meglio valutare il reale spessore di tanti giovani presunti (molto presunti) geni letterari.
Romanzo veramente notevole. Non solo per la vividezza e icasticità dei personaggi: alcuni veramente indimenticabili. Ma per la capacità che hanno i grandi scrittori di immergerti in un mondo: familiare, sociale, culturale, storico. Con la "Famiglia Moskat" forma davvero una coppia imperdibile.
Recensioni
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Meno noto al pubblico contemporaneo del fratello Isaac Bashevis Singer, Israel Joschua Singer pubblicò nel 1936 I fratelli ashkenazi. Da tre anni, abbandonata la natia Polonia, viveva sul suolo statunitense. Autore fra i più alti della letteratura yiddish, Singer si accinse con questo libro a un'impresa imponente per la vastità della narrazione: un romanzo con ambizioni omnicomprensive sul piano della rappresentazione di un'intera società. Un'opera in netto contrasto con lÆesprit dominante della letteratura dell'epoca, che andava ormai metabolizzando e facendo propri alcuni assunti teorici del modernismo più distruttivo di inizio Novecento.
Singer racconta le vicende di una famiglia ebraica nell'arco di tre generazioni, dalla metà dell'Ottocento ai primi anni trenta del Novecento. Teatro principale è la polacca Lodz, che si trasforma da piccolo villaggio abitato da contadini e tessitori a rutilante e dinamica città d'industria, d'affari e di piaceri notturni. Il narratore onnisciente, d'altra parte, si impegna anche nel raccontare diffusamente la storia, attraverso l'emergere degli scontri sociali fra operai e padronato, le violenze antisemite dei pogrom, la guerra russo-giapponese, il primo conflitto mondiale, la presa del Palazzo d'inverno da parte dei bolscevichi, il fragile ritorno alla normalità degli anni venti, con l'inflazione feroce che mina l'economia di un'Europa ormai esausta e incapace di risollevarsi.
Al centro della vicenda si stagliano le figure dei due fratelli Samcha Meyer e Jacob Bunim, figli del proprietario di una piccola fabbrica di tessitura, il pio e zelante Reb Abraham Hirsh Ashkenazi. Jacob è forte e bello, amato dalle donne e ammirato dagli uomini, affascinante come un'amante voluttuosa. Samcha, invece, ometto dall'andatura nervosa e irrequieta, possiede intelligenza e astuzia non comuni. Ancora bambino si dimostra capace di padroneggiare i versi del Talmud, per poi consacrarsi alla brama di potere e di denaro dedicandosi alla creazione di un impero industriale. Incurante del vuoto di sentimenti che crea attorno a sé, egli sposa Dinah, ragazza che lo detesta e che gli preferisce il fratello; si aliena l'affetto del padre rigettando i dettami del chassidismo, e impresta denaro al suocero finendo col sottrargli l'azienda.
I principali personaggi sembrano confermare quanto osservava il critico ebreo americano Leslie Fiedler nella raccolta di saggistica No! In thunder, laddove sosteneva che caratteristica principale dell'ebreo nella letteratura, basti pensare allo Shylock shakespeariano, è "l'uso e l'abuso dell'intelligenza per un freddo legalismo o un'ugualmente gelida volontà di vendetta". L'amore passionale infatti non riesce ad acquisire uno status autonomo nel romanzo, schiacciato da un lato dai traumatici accadimenti sociali e politici e altresì umiliato da una visione autoriale che declina con vigore il tema del rapporto fra padri e figli. Ne è prova l'episodio che vede strappata la giovane vita di Bashke, innamorata dell'ardente rivoluzionario Nissan.
La prima impressione, straniante, che si ricava dalle prime pagine del romanzo, anche a causa dell'incedere pacato e distaccato della narrazione, è quella dell'evolversi di un mondo parallelo, di una comunità ebraica che segue il proprio corso appartato rispetto al più ampio fluire della società esterna. Quasi uno studio di storia alternativa, visto dalla prospettiva di un popolo "immaginario" perché sempre descritto altrove in maniera residuale o parodica. Ben presto questa sensazione si rivela erronea: l'interazione fra ebrei e "gentili" avviene con la secolarizzazione dei costumi e l'abbandono da parte di molti giovani del rito del digiuno del sabato, dei filatteri e di ogni altro attaccamento alla religione dei loro avi. Ma dopo una tregua durata qualche decennio, anche la violenza tornerà a legare le sorti degli oppressori e delle involontarie vittime.
Il riemergere dell'antisemitismo si accompagna a ogni periodo di crisi, dai ciclici scioperi operai al caos della fine del conflitto mondiale, quando la comunità ebraica di Leopoli si trova letteralmente presa in mezzo tra l'esercito ucraino e quello polacco, e a nulla vale il dichiararsi neutrali. È a questo stesso ottuso livore radicato nella coscienza collettiva e traversale a ogni ambiente di lavoro, ceto sociale, confessione religiosa, il "pensiero magico" nella definizione dello storico Goldhagen, che si deve l'assassinio di Jacob Bunim, ucciso per non essersi assoggettato all'arroganza razzista di un ufficiale dell'esercito. Il fratello Samcha non riuscirà a comprenderne il gesto orgoglioso, cieco a "quella parola vuota di senso che è l'onore (...) la potenza d'Israele non consisteva nella forza fisica, ma nel pensiero". Privato del fratello che lo aveva salvato dalla galera russa, dove aveva trascorso i suoi giorni nella totale abiezione, Samcha ricostruirà dal nulla la sua potenza, in un ambiente ancora più ostile, finché la stanchezza di una vita sprecata e la mancanza di un vero dialogo con i propri figli non lo trarranno verso la tomba. L'ultima consolazione di quest'uomo dalle "larghe vedute" è il Libro di Giobbe, valido insegnamento sulla vanità dell'uomo. A mirarsi in questo impietoso specchio di Calibano non è però un singolo uomo, ma l'intera civiltà europea.
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