Silvia ritorna a Maratea dopo lungo tempo, accompagnata da Giovanni, con cui ha una relazione. Ad attenderla, però, c'è un segreto di famiglia fino ad allora assai ben conservato. Con un procedimento davvero originale per la nostra letteratura, Cesare Pavese e Bianca Garufi raccontano, a capitoli alterni, il punto di vista di Giovanni e quello di Silvia. I fatti sono i medesimi, le versioni divergono. Fuoco grande è, al tempo stesso, un esperimento di narrazione, l'indagine del diverso modo di percepire le cose che hanno i sessi e un romanzo incompiuto eppure perfetto perché s'interrompe a segreto ormai svelato, quando il complesso nodo che lega i personaggi ha avuto piena espressione. Con l'introduzione di Mariarosa Masoero, la nota al testo, la nota biografica, la bibliografia, la ricezione critica, un'appendice di testi e due disegni di Cesare Pavese.
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Un dialogo, vero, non solo intimo e tutto interiore come invece Cesare pavese era abituato a intessere con le figure femminili della sua vita. Qui , realmente, è in atto una sperimentazione, una partita: le parti femminili, il punto di vista di Silvia, sono scritte da Bianca Garufi, le parti che riguardano il Giovanni della coppia sono affidate alla penna di Pavese. Un esprimento incompiuto ma comunque autonomo, un'opera da leggersi in tutta la sua intensità. La storia è ben delineata e attraversata, non si resta a bocca asciutta. Nell'introduzione Mariarosa Masoero, ricorda che i due autori intrattennerò non solo una relazione ma anche un corrispondenza acuta e interessante, che viene qualificata di " officina parallela e combinata dei due". Pavese, consentì a questo scambio, a questo gioco. Cosa molto rara per il suo temperamento schivo e severo, specie per il lavoro letterario e culturale. A molti critici, sia coevi che più recenti, non piacque. Per alcuni non toglie né aggiunge niente a Pavese. La lettura è fluida, aptica, coinvolgente, spesso si cerca involontariamente di cogliere le differenze tra le due mani, tra le due scritture e anche solo questo è un esercizio fresco e intrigante. L'incipit affidato a Giovanni, quindi a Pavese, penso sia in piena grazia pavesiana: " L'ultima volta che andai al mare con lei, Silvia si rivestì tra i ginepri e la vidi chinata scrollarsi il costume dalle gambe, tutta rosa e brunita". Un osservatore, nell'essenza e nell'assenza.