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Geologia dei vini italiani. Italia meridionale
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2003
1 marzo 2003
128 p., ill.
9788871432434

Voce della critica

Colonnata è un paesello appena sopra Carrara, sperduto nel mezzo delle Alpi Apuane, dove non entrerebbero duecento abitanti e che non fa nemmeno parte degli 8103 comuni d'Italia: come è possibile che il lardo di Colonnata sia in vendita presso tutti i negozi di alimentari della penisola e venga pure esportato all'estero? Quante tonnellate di lardo di Colonnata si possono ricavare da quel territorio? Dove li prendono tutti quei maiali? Siamo invasi dai prodotti fortemente caratterizzati da un punto di vista locale, e questo ci appare come la riconquista di un bene, ma quanti sono quelli "veri"? E ancora di più il discorso vale per i vini: quanto Brunello di Montalcino si può produrre in Toscana (si spera comunque non in altre regioni)? O quanto Greco di Tufo in Campania? Da cosa dipende quella specificità locale e come possiamo orientarci? La Geologia dei vini italiani serve anche a questo, cioè a spiegare che per fare un vino caratteristico non basta il clima e neppure il vitigno, ma ci vogliono anche e soprattutto il suolo, il terreno, la roccia. Esistono perciò vini legati al granito, come il celebre Vermentino della Gallura, che deve il suo profumo intenso all'ottimo drenaggio delle rocce granitiche e alla ricchezza in sali minerali del suolo. E ne esistono moltissimi legati ai suoli dei vulcani, da quelli laziali dei Colli Albani a quelli lucani del Vulture, fino ai celebri vini campani dell'area flegrea e vesuviana. La ricchezza di potassio - molto abbondante nei cosiddetti tufi del versante tirrenico - contribuisce, e non poco, alla qualità finale del prodotto, quale che sia la sua antichissima origine come vitigno. Ci sono poi anche i vini dei calcari, molto diffusi in Italia: si tratta di suoli (ovviamente sul calcare direttamente non si può neppure impiantare una vite) molto abbondanti, di colore rosso e ricchissimi di ferro e alluminio, soprattutto diffusi in Puglia, ma anche nelle Venezie. E anche le argille hanno i propri vini, non quelle pure - decisamente poco adatte -, ma quelle mescolate con il calcare (le cosiddette marne), che ospitano vitigni produttivi in quasi tutta Italia. In questo secondo volume, che segue la Geologia dei vini italiani (Italia settentrionale) degli stessi autori (Be-Ma, 2001), i geologi - che sono notoriamente ottimi bevitori e discreti sommelier - passano in rassegna i vini del Mezzogiorno d'Italia, quelli forti, con gradazioni elevate e che richiedono, tutto sommato, un lavoro limitato e pochi anticrittogamici. Vini che in passato venivano utilizzati per "tagliare" altre produzioni dal grado alcolico troppo basso, ma ritenute di maggior pregio. La gran parte del vino di Sardegna finiva un tempo in Francia e nemmeno nelle bottiglie, tanto era considerato un prodotto commerciale scadente. Un nipote di Quintino Sella, appunto, fondò la celebre casa Sella & Mosca, ma forse non tutti sanno che l'uomo di fiducia di Cavour era un ingegnere minerario, un geologo insomma, fondatore del Servizio geologico, della Società geologica e del Club alpino italiani. Fu lui a credere nelle potenzialità vinicole di Sardegna in quei territori nei pressi di Alghero, in cui ancora oggi la coltivazione avviene a pergola, e fu tra i primi a individuare l'importanza del legame stretto del vino con il territorio. Storie di vino e geologia che spiegano perché di fronte a quantitativi esagerati di prodotti doc qualche sospetto deve nascere: quanta Lacryma Christi del Vesuvio si può smerciare in giro per l'Italia? Nel libro lo scopriamo: 3270 ettolitri e non di più, non tanto perché siano esauriti i vitigni, quanto perché è il terreno a perdere certe caratteristiche al di là di un limitato areale. Diffidate, gente, diffidate...

Mario Tozzi

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