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Nella mia collezione dei libri di Terzani non poteva mancare anche questo, scritto, o meglio estrapolato, dai diari della moglie Angela, durante i loro lustro di vita in Giappone negli anni '80. Dal punto di vista stilistico e della fluidità non possiamo paragonare questo testo ai quelli del ben più famoso e mai abbastanza compianto marito, sebbene sia da tenere in conto il fatto che, appunto, siano pagine di un diario e, per quanto magari aggiustate, non nascono né come narrativa né come un testo giornalistico. Dal punto di vista del contenuto è uno scorcio altamente illuminante, e pure un po' angoscioso, di quello che era il Giappone negli anni '80. Da leggere se siete, come me, profondamente amanti dell'Asia
Ho aspettato quattro mesi prima di pubblicare questo commento, per vedere come sedimentava il giudizio emerso "a caldo". Ma anche a distanza di tempo resta viva l'enorme fatica fatta per finire questo libro, che mi ha irritato e spazientito quasi in ogni pagina. Che i coniugi Terzani non abbiano amato il Giappone si sa, ma purtroppo questo libro non è né un diario vero e proprio con la sua oggettività, né un'indagine di approfondimento sui motivi di tanta negatività. Al contrario, la Terzani fa un esercizio di erudizione citando scritti, libri famosi e personaggi autorevoli. I personaggi che frequenta e che cita sono i colleghi del marito, altri inviati e corrispondenti esteri, oppure diplomatici. I testi che cita sono libri scritti da illustri iamatologi. Sono quasi nulli spirito critico personale, capacità analitica e volontà di inserirsi nella società. È completamente assente il rispetto nei confronti di una cultura diversa e di un diverso stile di vita. Ne risulta uno sterile collage di citazioni, strumentalizzate per interpretare forzatamente nel modo peggiore possibile ogni singolo episodio o aspetto della vita in Giappone, per dare conferma alla sua tesi che il Giappone è un paese orrendo e i Giapponesi sono un popolo senza moralità ormai privi di valori profondi. Ho trovato fastidiosi i suoi continui Tiziano dice, Tiziano pensa, Tiziano si chiede, Tiziano è convinto, Tiziano è preoccupato. Insomma, per far conoscere il parere di Tiziano Terzani sul Giappone non sarebbe stato meglio farlo scrivere direttamente a lui, il libro? Non basta avere un marito giornalista e scrittore, vivere all'estero e frequentare ambienti privilegiati per giocare a fare la scrittrice. Se avessi valutato unicamente il piacere della lettura, avrei messo il voto più basso. Ho dato 2 solo perché mi ha dato degli spunti per documentarmi e approfondire argomenti da lei trattati con pregiudizio. Ma rimane uno dei peggiori libri che abbia mai letto.
libro di singolare bruttezza e plumbea noiosità: chi per principio finisce i libri che comincia è qui sottoposto ad una dura prova. le pecche del libro sono troppe per elencarle in poche righe. in sintesi: la moglie di terzani elenca e ribadisce con sprezzante acredine per 300 e rotte pagine i quattro superficiali pregiudizi e stereotipi su giappone e giapponesi con cui è arrivata a tokio e con cui dopo cinque anni di permanenza se ne riparte. esperienze dirette zero (si tratta sempre di banalità o di aneddoti riportati o di si dice o di osservazioni oracolari del terzani marito) osservazioni o narrazioni originali zero (peraltro l'autrice non si schioda praticamente mai da tokio) curiosità intellettuale zero voglia di capire zero apertura ad altra cultura zero. la terzani non capisce il giappone e pertanto decide che non c'è niente da capire: il giappone è il vuoto (morale intellettuale culturale di valori, estetico ecc. ecc.). Alcuni momenti di grande comicità involontaria (esempio: l'autrice - italo tedesca - si scandalizza enormemente per la mafia locale o la corruzione politica oppure per il militarismo ed crimini di guerra nipponici) sono oscurati dalla totale monotonia del testo dal continuo tono di acre disprezzo e dalle frequenti osservazioni xenofobe e razziste. Di un qualche interesse storico l'ossessione per il pericolo giapponese – molto destra usa anni '80 - che dovrebbe fare riflettere sulla fondatezza dei periodici allarmismi sollevati più o meno interessatamente da questo o da quello.
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