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Brian May era all’ospedale per un’epatite, Freddie Mercury aveva dei polipi in gola che lo rendevano afono per giorni interi. Come sarebbe successo poi a Springsteen (con Born to Run), Def Leppard (con Pyromania) e Bon Jovi (con Slippery When Wet), anche per i Queen il terzo album era la prova del fuoco: sfondare o sparire. Le condizioni erano sfavorevoli, eppure con Sheer Heart Attack (1974) la band iniziò a farsi un nome all’estero. Meno cupo e pomposo rispetto a Queen II, e più grezzo rispetto al successivo, celeberrimo, A Night at the Opera, S.H.A. è la prima dimostrazione dell’eclettismo della Regina nel cimentarsi e re-inventare tutti i generi musicali. Nasce il rock-opera con la divertente e velenosa Killer Queen, primo successo da classifica, ma diverrà una hit anche il rock scanzonato di Now I’m Here. Non mancano pezzi lenti e sognanti come She Makes Me e Dear Friends, suonata al piano da Freddie, ma è la chitarra di Brian a farla da padrona, specie in Stone Cold Crazy, tra i primi pezzi heavy metal della storia (ripresa nel ’91 dai Metallica). Con Tenement Funster, Roger Taylor mostra la sua ruvida vena blues, confermata negli album successivi (cfr. I’m in love wth my car), mentre il meno appariscente John Deacon fa centro con la breve, orecchiabilissima, perla pop Misfire. Nel mezzo spunta anche Bring Back That Leroy Brown, uno swing da cabaret anni ’30, e non sarà l’unico nella loro carriera (cfr. Good Old Fashioned Lover Boy). Con S.H.A. i Queen consolidano il proprio stile e la propria sintonia umana e professionale. Partiti per un tour mondiale, verranno accolti in Giappone con un entusiasmo che non si vedeva dai tempi dei Beatles. Un must.
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