Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Shopper rossa
Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia - Antonio Faeti - copertina
Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia - Antonio Faeti - copertina
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 119 liste dei desideri
Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia
Disponibilità immediata
30,00 €
-6% 32,00 €
30,00 € 32,00 € -6%
Disp. immediata
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Firenze Libri
30,00 € + 5,00 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - Come Nuovo
ibs
30,40 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
30,40 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Firenze Libri
30,00 € + 5,00 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - Come Nuovo
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Nome prodotto
30,40 €
Chiudi
Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia - Antonio Faeti - copertina
Chiudi

Promo attive (0)

Descrizione


Il Collodi disegnato da Mazzanti e da Chiostri, il De Amicis illustrato da Ferraguti e da Sartorio, il Salgari di Gamba o di Zanetti; e ancora Yambo, Canevari, Pinochi, Tofano... Tra la fine dell'Ottocento e la metà del Nove-cento, gli illustratori italiani dei libri per bambini hanno fatto ben più che aggiungere le "figure" ai testi che dovevano corredare. Hanno dato forma e colore al mondo del nostro immaginario. Hanno raccontato, con quella schietta determinazione che è indispensabile per conquistare i bambini, le nostre emozioni più profonde, le nostre sensazioni più vere: i dubbi e le paure, le gioie e le allegrie. Messe in fila una dopo l'altra, le illustrazioni di quei "figurinai" compongono, meglio forse di ogni altro materiale, i tratti del nostro carattere nazionale, i contorni della nostra formazione identitaria. Antonio Faeti può a buon diritto essere definito l'insuperato scopritore di questo mondo. Quando, nel 1972, vide la luce la prima edizione del suo libro, nessuno aveva ancora avviato una riflessione del genere. E a ben vedere, a distanza di quarant'anni, pochi l'hanno saputa davvero proseguire. Questa edizione, che l'autore ha voluto corredare di una nuova, densissima introduzione, è l'occasione per riaprire il ragionamento, per rifare il punto. Nelle parole dell'autore questo libro non è "né una storia della letteratura per l'infanzia, né una storia delle illustrazioni dei libri per bambini", è molto di più.
Leggi di più Leggi di meno

Dettagli

2011
1 settembre 2011
448 p., ill. , Brossura
9788860366672

Voce della critica

  La letteratura per l'infanzia è sempre stata qualcosa di ibrido, impuro e contaminato, a partire da Orbis pictus di Comenio, edito alla metà del XVII secolo per avvicinare i bambini alla conoscenza del mondo attraverso testi telegrafici, quasi nomenclatori, e un carnevale di ben centocinquanta immagini che rappresentavano professioni, individui, tratti caratteriali o ambiti astratti come la religione. Il tentativo di veicolare la funzione didattico-pedagogica attraverso strumenti visivi, cui guarderà anche l'Éncyclopédie di d'Alembert e Diderot, ci è oggi ben noto grazie agli studi di Maria Nikolajeva e Perry Nodelman, tra gli altri, anche perché l'editoria ha trovato nel connubio immagine/parola una porta d'accesso al mercato del futuro. Sappiamo tutto, e sin troppo. Ad esempio, che il panorama editoriale per l'infanzia si è specializzato in classi di prodotti verbo-visivi: per i più piccoli disponiamo dei cosiddetti boardbooks, libri-oggetto robustamente cartonati con testi brevi, costituiti da micro-sceneggiature più che non da storie vere e proprie, in grado di attivare interazioni tattili e visive grazie alle pagine dotate di aperture o finestre e a immagini polimateriche. A un livello anagraficamente superiore stanno i picturebooks, albi illustrati contenenti narrazioni brevi (in genere si tratta di due sedicesimi) che danno un ruolo di marcato rilievo alle immagini, monoautoriali o pluriautoriali (quando l'estensore della storia è diverso dall'illustratore); testi iconico-verbali rivolti a potenziare l'esperienza di lettura dei bambini, i picturebooks non sono solo libri in versione facilitata, ma complesse architetture di segni in cui è impossibile dividere le immagini dalle parole, esattamente come da qualche anno dimostrano i graphic novels, eredi metropolitani dei vecchi, tamarri fumetti. Nei picturebooks di ultima generazione la relazione tra parole e immagini può essere infatti del tutto simmetrica ma anche contraddittoria, e di fatto entrambi i codici espressivi hanno un ruolo essenziale, mentre nei "libri illustrati" di una volta (pensiamo alle fiabe di Andersen o ai volumi della "Scala d'Oro") solo le parole erano gli amministratori delegati del testo, mentre le immagini si riducevano a un ruolo ancillare. Oggi è dunque tutto chiaro, ma quarant'anni fa? Guardare le figure di Antonio Faeti, ora riedito da Donzelli, è stato pensato dall'autore nel 1968 e pubblicato nel 1972 da Einaudi, non senza il prestigioso beneplacito di Italo Calvino e i giudizi meritori di Attilio Bertolucci, Claudio Magris e Gianni Rodari, che proprio allora teneva il suo corso di "Fantastica" a Reggio Emilia. Erano anche gli anni in cui Bruno Munari iniziava a progettare i prelibri, testi da guardare, privi di parole, rivolti a bambini in età prescolare per sollecitare "stimoli visivi, tattili, sonori, termici, materici". Per la prima volta, e non solo in Italia, Faeti delineava un quadro complessivo dei cosiddetti "figurinai", cui tra la metà dell'Ottocento e la seconda guerra mondiale venivano commissionate le illustrazioni dei libri più popolari (feuilletons, volumi di letteratura per l'infanzia, fumetti e giornali illustrati), un'editoria che si concentrava soprattutto a Firenze e che lì trovò un apice storico, con "figurinai" come Carlo Chiostri ed Enrico Mazzanti (che si dedicò a illustrare da un lato i romanzi di Carolina Invernizio, dall'altro il primo Pinocchio) o con editori come Salani. Un'attività mal retribuita, spesso riducibile a un esercizio di macelleria estetica, eppure assai indicativa di una cultura rispettosa delle radici territoriali e folkloriche, che proprio in quanto emarginata poteva trovare uno spazio di libera espressione. Nel 1972 l'obiettivo di Faeti non era certo allestire una storia delle illustrazioni nel comparto editoriale "Letteratura per l'infanzia", bensì gettare le fondamenta – come avverte oggi nella nuova introduzione al libro − di una sociologia dell'immaginario dal sapore fortemente pasoliniano. La tesi dell'autore era infatti la seguente: i processi di alfabetizzazione di massa dopo l'Unità d'Italia avrebbero portato alla ribalta un pubblico di diciassette milioni di individui non alfabetizzati e altrettanti scarsamente acculturati, e questo massiccio ingresso di neofiti necessitava di nuovi mediatori, i "figurinai" appunto, eredi del vecchio patrimonio storico rappresentato dalla fiabistica, dalle stampe popolari, dal teatro di piazza e dalle liturgie carnevalesche. Sarebbero stati i figurinai a portare il mondo sgarbato e anomico del folklore nella semiosfera della letteratura per l'infanzia sotto stretta sorveglianza pedagogica, e sarebbero stati sempre questi figurinai a scomparire quando "l'estetica disneyana, riduttiva, falsamente consolatoria, estremamente collegata al medium cinematografico e già capace di anticipare il senso di quello televisivo" finì per invadere "quasi interamente lo spazio dell'illustrazione per l'infanzia". A partire dagli anni cinquanta la produzione editoriale si sarebbe divisa in due classi separate di prodotti (alti, educativi e leciti gli uni, bassi, divertenti e illeciti gli altri) e la specializzazione avrebbe giocato a sfavore dei figurinai, ridotti o riciclati nel migliore dei casi a cartoonists, anche perché nel frattempo i fumetti stessi avrebbero iniziato a cambiare – in peggio, secondo Faeti − divenendo narrazioni algide e intellettualistiche, più idonee ai lettori del terziario avanzato che non a utenti meno avvertiti. Guardare le figure procede dunque su un doppio binario: per un verso ricostruisce il lavoro delle botteghe artigiane di Firenze e analizza le tavole di alcuni figurinai, per l'altro dà sfogo a uno spleen causato dalla perdita ormai documentata di un'intera tradizione. Più Disney avanza, più il giovane studioso italiano arretra il focus della propria analisi all'Italia umbertina e agli anni del fascismo. Senza forse conoscerlo, in quel 1972 Faeti sembra già un discepolo ortodosso di Walter Benjamin, e tutto il suo discorso ruota intorno ai concetti di gioco e di infanzia, alla convinzione che le immagini siano dei contenitori intermittenti e marginalizzati del tempo, all'idea che se qualcosa è ritenuto secondario (come i bibelots di cui si parla in Angelus Novus), proprio per ciò riesce a non essere intercettato dalla censura dell'epoca. Meritorio e inattuale, clandestino e ingovernabile: sono questi gli attributi che Faeti assegna al figurinaio e che individua ugualmente in Carlo Collodi, uno scrittore che optò per "un'ambigua coesistenza di elementi surreali e di altri stranamente credibili e oggettivi". Se questo è vero, si potrebbe far rientrare Guardare le figure in una genealogia ideale che unisce Benjamin a Pasolini nella strenua lotta contro la "scomparsa delle lucciole" e della loro luce intermittente, per riprendere il titolo di un intervento pasoliniano cui si è ispirato un recente volume di Georges Didi-Huberman: la sofferenza provata da Pasolini verso la cultura contemporanea e da lui condensata nell'immagine delle lucciole annientate, come gli individui sottoposti al controllo panoptico della televisione e delle strategie di sorveglianza descritti negli stessi anni da Michel Foucault, attraversa anche le pagine del libro di Faeti, che è dunque parte di un mosaico militante, riottoso alle pacificazioni del mercato editoriale e agli assetti della comunità scientifica. Eppure, per ironia della sorte, se Pasolini inventò l'immagine della scomparsa delle lucciole per rispondere alla morte del "desiderio di vedere", quasi un'invocazione a guardare le figure che si univa all'auspicio di Faeti, la parola d'ordine dei visual studies e delle neuroscienze oggi trionfanti è invece l'affermazione del primato della mente sull'occhio: noi vediamo quello che vediamo in prima istanza solo grazie al cervello e alla corteccia visuo-motoria, che percepisce in modo autonomo colore, forma e movimento unificandoli solo successivamente in un'immagine coerente; grazie ai test neuroscientifici sappiamo addirittura che quando un bambino sfoglia un picturebook vede prima il colore, poi la forma e infine il movimento di ciò che percepisce. Se per il neurobiologo Semir Zeki (fondatore a Londra dell'Istituto di neuroestetica) non vi sono più dubbi sul fatto che le immagini rispondano alle leggi che regolano le operazioni del cervello, i figurinai immaginati da Faeti fanno esattamente il contrario, essendo dei costruttori di sogni in grado di abbattere lo spazio-tempo della quotidianità. È forse questa gaia inattualità che l'ha costretto a emigrare lontano da Einaudi? Stefano Calabrese

Leggi di più Leggi di meno
Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi