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Descrizione


«Che cos'è la critica? È l'arte di non essere eccessivamente governati».

Da dove nasce la moderna idea di critica? È giusto farla coincidere, come è consuetudine, con la grande impresa teoretica di Kant?Muovendo da questo interrogativo, Foucault affronta il tema classico del rapporto tra critica e Illuminismo, suggerendo un'alternativa «etica», che trova il suo punto d'origine già nel fuoco del XVI secolo: la «critica» è un'attitudine, una maniera d'essere del pensiero, nata in contrappunto all'idea di «governo», alla spinta regolativa esercitata sulla società dal potere. Il processo critico si è manifestato soprattutto in tre campi: nella religione, col movimento della Riforma e una nuova esegesi biblica, nel diritto, con la nascita del giusnaturalismo, nella scienza, con l'affermazione del principio di certezza su quello d'autorità.Si venne a consolidare così un ethos che assumeva la critica come «arte di non essere eccessivamente governati». Kant fu senza dubbio un interprete di primo piano di questa linea, riconoscendo nell'Aufklärung il momento del coraggio «contro» il governo, ma in compenso ne fu anche un punto di attenuazione, lì dove cercò di arginare il "sapere aude", attribuendo alla critica il compito di limitare le esuberanze della conoscenza.In questa magistrale lezione del 1978, Qu'est-ce que la critique? per la prima volta qui pubblicata in italiano, Foucault ripristina la funzione etica della critica, come strumento in grado di denunciare il rapporto tra la verità e i meccanismi del potere.

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Dettagli

1997
3 settembre 1997
78 p.
9788879893107

Voce della critica

FOUCAULT, MICHEL, Illuminismo e critica

FOUCAULT, MICHEL, Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 2. 1971-1977 Poteri, saperi, strategie

FOUCAULT, MICHEL, Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 1. 1961-1970 Follia, scrittura, discorso
recensione di Villa, R., L'Indice 1997, n. 8

Grande moralista classico, Michel Foucault percorse zone in ombra del sapere, aree giudicate degradate o ignobili: la psicopatologia clinica, le discipline della punizione, i discorsi sulla sessualità, le pratiche di controllo delle coscienze. In esse si orientò con pochi, mobili concetti: il potere, il governo, la verità.Di essi, apparentemente così nobili e distanti dall'universo dell'anomalo e del marginale, costruì la genealogia ricomponendo relazioni sovente nascoste e denunciando filiazioni non riconosciute.Saldò così la forma del potere-sapere nell'equilibrio delle istituzioni segreganti; accoppiò il governo e la critica, come forma di virtù intellettuale; ricompose il centro filosofico della verità con la storia genetica della conoscenza e del soggetto come coscienza di sé - peraltro infelice - del desiderio.
La lettura della lezione alla Sorbona del 1978 "Illuminismo e critica", tradotta e chiaramente presentata da Paolo Napoli, può costituire un'eccellente introduzione a un pensiero che in anni ormai molto lontani fu arbitrariamente allontanato dal regime del discorso sui sistemi di pensiero e ridotto facilmente a schema politico. Il ragionamento qui parte dall'affermazione che "governare significa strutturare il campo di azione possibile degli altri" e che la "prima definizione generale della critica è la seguente: l'arte di non essere eccessivamente governati". L'illuminismo è ancora quell'attività che consiste, come sempre si insegna, nell'uscire da una condizione di minorità dovuta a un eccesso di autorità. Ecco perciò la necessità di una critica fondata su un'idea della conoscenza che permetta di costituire il principio dell'autonomia, l'"obbedisci" fondato sull'autonomia del soggetto. Un programma dunque quanto mai "filosofico", ove la critica svolge la funzione di riconoscere le forme di poteri sempre più decentrati e sempre più pervasivi: esattamente ciò che corrisponde alle forme sociali di questa fine secolo.E la pratica virtuosa non potrà, come ricorda Napoli, che riconnettersi al pensiero greco, luogo originario del "gnôthi seautón*, il "conosci te stesso" che diviene "una peculiare disposizione del soggetto, il prendersi cura di se stesso".
La chiarezza di quel ragionamento permette una migliore collocazione di un'attività intensa e vivacissima, ripercorribile attraverso i materiali diversi dell'"Archivio Foucault". Edizione parziale di "Dits et Ecrits", a cura di François Ewald e Daniel Defert (Gallimard, 1994), la scelta italiana seleziona testi inediti di diverso genere: interviste, saggi e articoli di intervento, prefazioni, lezioni, tavole rotonde, recensioni. Il lettore che meno conosca i tempi e le opere sarà molto opportunamente indirizzato dall'accurata cronologia; forse trarrà meno vantaggi dalle due prefazioni, per il loro essere sostanzialmente interne all'esegesi di un lavoro intellettuale. Judith Revel in ogni caso fornisce molti punti di riferimento, all'interno della rimarchevole centralità della scrittura. Che fu insieme costante e originario interesse per la letteratura (Bataille, Blanchot, Roussel), occasione e motivazione delle ricerche successive, e che divenne poi grande stile, quanto mai "classico" nella tradizione secentista, lo stesso che fece riconoscere a Roger Caillois la presenza di una forma di discorso volutamente e trasparentemente ambigua, letteraria appunto, in tutte le grandi opere foucaultiane a cominciare dalla "Storia della follia".
Tale eleganza è necessariamente opacizzata in queste traduzioni: anche perché si tratta sovente di materiali "detti", e non può essere restituito il grande fascino di una parola che spiazzava costantemente l'uditorio rispetto alle attese, apparendo sempre incontrovertibilmente semplice ma assolutamente problematica. D'altra parte era uno dei tratti più tipicamente "francesi" del personaggio. Ma lo è tutta l'opera di Foucault, totalmente e integralmente: accentuata dall'aver misurato le distanze rispetto al proprio patrimonio formativo negli anni in Svezia, in Polonia e poi a Tunisi. "Dopo essere rimasto nell'università francese abbastanza a lungo per fare ciò che si deve fare ed essere ciò che si deve essere, sono andato a spasso all'estero, cosa che ha dato al mio sguardo da miope l'esercizio della distanza, e forse mi ha permesso di ristabilire una prospettiva più giusta delle cose". Questa assoluta centralità della Francia non è solo evidente nelle presenze tutelari, da Hyppolite a Dumézil a Canguilhem, ma anche nei connotati generazionali - da Althusser a Bourdieu -, nei riferimenti di un'epoca - Lévi-Strauss e il superamento di Sartre -, negli investimenti politici.I saggi del primo volume sono anche un documento per ricostruire la fase del pensiero degli anni cinquanta-sessanta, del dopo Sartre: individuati in particolare dalla costante polemica antiumanistica e dalla ripresa di Nietzsche.Nelle interviste emerge una certa impazienza nel confronto di domande che si susseguono negli anni sempre uguali, tese a collocarlo nello "strutturalismo", a confrontarlo con il "marxismo", a definirlo come "filosofo": pegni e documenti di quell'accademismo universitario cui ironicamente rinviava in più punti.
Il secondo volume dell'"Archivio" raccoglie materiali di lavoro intorno ai temi centrali dei suoi studi negli anni settanta: gli ospedali e le carceri.In particolare sono stati tradotti saggi di alto profilo storiografico ("La politica della salute nel XVIII secolo", 1976; "La nascita della medicina sociale", 1977): lucidissimo il primo, nella sua brevità, che individua lo stato della salute pubblica come un obiettivo di una politica che pianifica la società "come ambito di benessere fisico, di salute ottimale e di longevità", così che la "polizia" diviene "insieme dei meccanismi mediante i quali sono assicurati l'ordine, la crescita canalizzata delle ricchezze e le condizioni di mantenimento della salute 'in generale'". Da cui il privilegio dell'igiene, dell'infanzia, la medicalizzazione della famiglia e la medicina come momento di controllo sociale, e la completa riorganizzazione dell'ospedale, non più luogo di carità ma "macchina terapeutica". E compaiono poi materiali anche di grande intensità emotiva, relativi all'attività di intervento sulle prigioni, per una loro riforma, ma ancor più per usarle come occasione politica: luogo centrale ed esemplare, come l'ospedale psichiatrico, di un inaccettabile ordine sociale. Attraverso quelle istituzioni più conservative e tradizionali Foucault era alla ricerca degli elementi di conoscenza, anche minimi, che esercitano funzioni di potere: quelle "macchine per guarire e per punire" potevano essere brillantemente studiate come luogo di saperi assai limitati ma fortemente investiti di poteri di controllo: la clinica psichiatrica ad esempio, o la criminologia. Così le divisioni dei saperi appaiono raddoppiate da dispositivi sociali, da meccanismi istituzionali la cui genesi è ricostruita dallo scienziato sociale e dallo storico delle "formazioni di pensiero" scientifiche. L'ostacolo, l'errore scientifico sono al centro della riflessione di Bachelard e di Canguilhem: per Foucault il confine è più incerto, le scienze umane che disperatamente cercano di darsi uno statuto scientifico si offrono più facilmente all'analisi delle componenti ideologiche, dei ruoli di potere.
Ma infine l'epistemologia foucaultiana è essenzialmente una genetica storica dei "discorsi di verità", delle formazioni discorsive che hanno sostenuto, anticipato e seguito lo svilupparsi delle istituzioni attraverso cui l'essere occidentale ha cartografato il mondo. E anche quando egli sembra connettere direttamente l'internamento della follia e la costrizione punitiva con una teoria dei rapporti di produzione e con un'economia politica della povertà, in realtà offre poco più di un riferimento mentale al lettore.Il suo lavoro di storico, di grande frequentatore di archivi, che non è però il protagonista di questi due volumi, consiste sempre nel far interagire frammenti di un passato recuperato archeologicamente con il fluire del discorso del presente. Ed è questo delicatissimo transito il luogo di interpretazioni a volte troppo determinate.È forse questo il caso dell'aggrondata prefazione ("Foucault: dire la verità del potere") che Alessandro Dal Lago premette al secondo volume. I tredici anni dalla morte di Foucault (1984) gli appaiono già l'ingresso in un'era dominata dal pensiero unico, dal controllo diffuso, dal nuovo ordine mondiale - in sostanza da una forma nuova di totalitarismo - e gli strumenti teorici elaborati per l'analisi dei poteri, nonché la sua opera, "appaiono complessivamente rimossi". Giudizio amaro, che tra l'altro nega "l'interesse vivo, ricco di pubblicazioni e commemorazioni di ogni tipo" premesso da Judith Revel. E giudizio che aprirebbe nuove considerazioni: sia sui modelli di "distorsione" di lettura di un'opera, sia sulla reale incidenza di un metodo storico - decostruzionista e genetico - che finora è stato solo più o meno imitato, più o meno applicato in forme sovente scolastiche e meccaniche, assolutamente distanti dall'originale.

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La recensione di IBS

Da dove nasce la moderna idea di critica? è giusto farla coincidere, come è consuetudine, con la grande impresa teoretica di Kant?
Muovendo da questo interrogativo, Foucault affronta il tema classico del rapporto tra critica e Illuminismo, suggerendo un'alternativa «etica», che trova il suo punto d'origine già nel fuoco del XVI secolo: la «critica» è un'attitudine, una maniera d'essere del pensiero, nata in contrappunto all'idea di «governo», alla spinta regolativa esercitata sulla società dal potere. Il processo critico si è manifestato soprattutto in tre campi: nella religione, col movimento della Riforma e una nuova esegesi biblica, nel diritto, con la nascita del giusnaturalismo, nella scienza, con l'affermazione del principio di certezza su quello d'autorità.
Si venne a consolidare così un ethos che assumeva la critica come «arte di non essere eccessivamente governati». Kant fu senza dubbio un interprete di primo piano di questa linea, riconoscendo nell'Aufklärung il momento del coraggio «contro» il governo, ma in compenso ne fu anche un punto di attenuazione, lì dove cercò di arginare il "sapere aude", attribuendo alla critica il compito di limitare le esuberanze della conoscenza.
In questa magistrale lezione del 1978, Qu'est-ce que la critique? per la prima volta qui pubblicata in italiano, Foucault ripristina la funzione etica della critica, come strumento in grado di denunciare il rapporto tra la verità e i meccanismi del potere.

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Conosci l'autore

Michel Foucault

1926, Poitiers (Francia)

Sociologo, psicologo, filosofo e saggista letterario. Ha insegnato al Collège de France di Parigi dal 1971 fino al 1984, anno della sua morte.I lavori di Foucault si concentrano sullo studio dello sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre organizzazioni sociali. Di grande importanza sono anche gli studi sulla sessualità e sulla cura di sé, principio filosofico rintracciabile nel periodo ellenistico greco e nell'età tardo imperiale romana.Tra le sue opere ricordiamo Storia della follia nell'età classica, Le parole e le cose, Nascita della clinica, La storia della sessualità (3 volumi), Gli anormali, L’ermeneutica del soggetto, Il governo di sé e degli altri, Il coraggio della verità.

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