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Immagini del Rinascimento. Garin, Gentile, Papini - Simonetta Bassi - copertina
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Descrizione


Sono qui raccolti gli epistolari intercorsi fra tre importanti rappresentati della cultura italiana Giovanni Papini, Giovanni Gentile ed Eugenio Garin. I primi due hanno imparato a conoscersi fin dall'inizio del secolo; più tardi, si aprirà per loro una nuova stagione di confronti che vede coinvolto anche il giovane studioso Garin. Nelle loro interpretazioni, è l'azione umana a risultare un elemento caratteristico dell'età rinascimentale, anche se diversamente modulato. La prassi e la cornice in cui essa è inserita è il problema che sottende le letture dei tre autori: Papini innesta gli esiti migliori del pragmatismo su una forte esigenza religiosa personale per leggere il Rinascimento come età caratterizzata da un determinato tipo di artista che opera attraverso l'imitazione dell'attività creatrice del Padre; Garin vede garantita, nell'intreccio di ermetismo, neoplatonismo e dottrine dei padri, la possibilità di una dimensione attiva dell'uomo caratterizzata dalla libertà e dalla proiezione morale e civile; Gentile invece risolve la prospettiva dell'azione umana all'interno dell'attività creatrice del pensiero come processo di autoformazione e di autoconoscenza.
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Dettagli

2013
1 maggio 2013
168 p.
9788863725247

Voce della critica

  La storiografia è ricca di contributi, anche metodologici, sulle origini della categoria di Rinascimento, ma uno studio che considerasse insieme tre fra i maggiori protagonisti italiani di questa vicenda negli anni trenta e quaranta, con la pubblicazione di documenti nuovi tratti dai loro carteggi, ancora mancava. Benché riguardi per molti di noi i nostri maestri o i maestri dei nostri maestri (dunque una o due generazioni di scarto dall'oggi), la loro storia ha già i caratteri esemplari dei classici. Giovanni Gentile ed Eugenio Garin non hanno bisogno di presentazione ed è noto il contributo che entrambi diedero all'istituzione moderna degli studi sul Rinascimento in Italia; Giovanni Papini sembra una figura più lontana rispetto a questo ambito, perché tutti abbiamo a mente il pragmatismo più o meno "magico" del "Leonardo", la polemica antipositivistica, i corteggiamenti del superuomo nietzschiano, cioè la fase dei primi anni del Novecento, mentre il Papini che emerge da questo lavoro è quello degli anni trenta e quaranta, cioè dopo la "conversione" cattolica. Inoltre nel '39 Papini assunse anche una figura istituzionale all'interno dell'apparato culturale di regime, diventando, come Accademico d'Italia, direttore del Centro nazionale di studi sul Rinascimento (che diverrà poi l'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, tuttora attivo a Palazzo Strozzi a Firenze). È nell'ambito di questa attività istituzionale che si colloca il carteggio con Garin. Le lettere e i biglietti scambaiti tra Papini e Gentile arrivano praticamente sino all'attentato partigiano che pose fine alla vita del filosofo. Particolarmente impressionanti, per il lettore di oggi, sono le missive che i due si scambiano in piena repubblica di Salò e ancora più impressionante è vedere due intellettuali, un tempo su posizioni ben lontane, complimentarsi a vicenda in quell'atmosfera cupa da finis Italiae. Pur ricordando di non essere mai stato "seguace della vostra (di Gentile) filosofia", Papini il 22 novembre del 1943 si congratula con lui per la nomina a presidente dell'Accademia d'Italia e dichiara di ammirarne l'"appassionato e quasi mistico amore per ogni attività dello spirito, la tenace fedeltà alla Patria", mentre l'altro risponde di aver preso l'incarico "pel bene dell'Accademia e del nostro povero Paese". Questo, dice ancora, "ha bisogno del nostro lavoro e sopra tutto della nostra fede": ove la fede non è più la "volontà di credere" di Papini divulgatore di William James, ma direttamente la fede nel fascismo e nel duce di Salò. Dove emergono elementi nuovi e di grande interesse per la genesi degli studi rinascimentali in Italia è nel rapporto Papini-Garin. A scanso di equivoci Bassi chiarisce i limiti in cui deve essere inquadrata questa connessione: "Papini non rappresenta una delle 'fonti' del lavoro gariniano. Si tratta di qualcosa di diverso: fino alla metà degli anni quaranta Garin ha individuato in Papini un modo comune di porsi di fronte alle domande complicate della vita e a quelle della storia, nella consapevolezza che la semplice ragione raziocinante non è in grado di svelare tutti i misteri della realtà. Men che meno, quelli che si agitano nel cuore umano sia pure un cuore filosofico". Andando più nello specifico, una qualche influenza, oltre al ruolo istituzionale ben presente a Garin (come si vede dal carteggio), Papini l'avrebbe esercitata sulla valutazione che il giovane storico della filosofia veniva facendo del momento religioso nel Rinascimento, valutazione diversa rispetto a quella di Gentile. Mentre quest'ultimo sottolineava la dicotomia immanenza-trascendenza, Papini rivalutava nel Rinascimento "la nuova alleanza di uomo e Dio" e accenti simili si ritrovano in Garin, già nell'introduzione al volume Il Rinascimento italiano, pubblicato nel 1941, ove lo studioso reagiva all'immagine titanica, superomistica della rinascita. "Su un altro punto molto significativo, sottolinea Bassi, la sintonia fra Papini e Garin è profonda: nell'interpretazione della Rinascita come età squisitamente cristiana". Lo si vede soprattutto nello studio del 1938 La dignitas hominis e la letteratura patristica, pubblicato in "La Rinascita". Garin non ne parla nel carteggio con Gentile, commentandolo invece con Papini, al quale evidenzia "il carattere piuttosto polemico del lavoro (natura cristiano-ermetica del motivo della dignitas hominis)". Ove il "polemico" rimanda implicitamente alla diversa prospettiva di Gentile. Opportunamente l'autrice sottolinea la distanza enorme di qualità tra il lavoro di Papini e quello di Garin: impressionistico ed emotivo il primo, solido e documentato il secondo. Nondimeno rileva la convergenza dei programmi rispettivi: "Il ripetuto insistere sull'allargamento della dimensione della ragione, sulla costruzione del regnum hominis in cui sono comprese la natura e la dimensione spirituale rappresenta un punto di profondo accordo fra Papini e Garin, in nome di una filosofia dell'uomo e per l'uomo". Anche l'accentuazione del momento attivo dell'uomo accomuna i due e apre la via alla nozione di filosofia civile. È questo il periodo in cui Garin "procede di fatto alla dissoluzione del paradigma interpretativo gentiliano", anche se ne mantiene due punti fondamentali: l'importanza filosofica della filologia e la valorizzazione del tema della dignitas hominis. In generale, l'approccio di Garin è più sincretistico di quello troppo dicotomico di Gentile; così, nel tema della dignità dell'uomo lo studioso aretino vede convergere "l'eredità platonica del pensiero classico, la valorizzazione che i Padri attuano della fede e delle opere del secondo Adamo, che si riscatta dalla sua miseria, e infine gli spunti ermetici già trattati diffusamente dai Padri", laddove l'interpretazione gentiliana si era concentrata essenzialmente sull'eredità del pensiero classico. Come si vede, è proprio su questo ampliamento che si innesta un'eco di Papini (il Papini dei Pensieri sul Rinascimento del 1937, discorso tenuto al primo convegno di studi sul Rinascimento). "La conferenza del '37 cambia decisamente registro, anche grazie alla diversa prospettiva in cui Papini dagli anni venti viene interpretando il cristianesimo e la figura di Cristo". Riferendosi a quegli anni drammatici in un volume recente (The Italian Renaissance in the Twentieth Century, Olschki2002), James Hankins ha scritto efficacemente di "filosofia del Rinascimento tra Dio e il diavolo". Dietro l'usual business di corrispondenze accademiche quasi di routine, Simonetta Bassi ci mostra, documenti alla mano, le drammatiche alternative culturali con cui si confrontò la reinvenzione del Rinascimento da parte di Eugenio Garin, nel cambio di paradigma rispetto a Giovanni Gentile.     Gianni Paganini

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