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Descrizione


Pubblicato per la prima volta nel 1958, In hora mortis è un breve poema, diviso in quattro parti, in cui una voce lirica si rivolge a un Dio - forse inesistente - lamentando il dolore del mondo e l'ineluttabilità della morte. In un linguaggio simbolico e visionario, che ricorda la poesia di Trakl, Bernhard si presenta, all'inizio della sua esperienza di scrittore, con la forza espressiva, radicale e sconvolgente, che renderà celebre la sua prosa matura. I versi di In hora mortis scavano intorno alle parole lunghi silenzi e utilizzano una tecnica di iterazione musicale che evoca tonalità bachiane. La forma della composizione è quella di un salmo, in un mondo in cui l'unica preghiera possibile è quella del dubbio e della disperazione. Nel suo ricercato lirismo questo libro ci rivela la matrice più profonda dell'opera di Bernhard e ci presenta una dimensione della sua arte ancora poco nota in Italia.
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Dettagli

SE
2017
6 luglio 2017
ill.
9788867232826

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alida airaghi
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In questo poemetto l’ateo Thomas Bernhard affronta, con la consueta rabbiosa e angosciata inquietudine, l’Assoluto, che chiama filialmente e in maniera ossessivamente ripetuta “Signore” (Herr), aggrappandosi allo scampo di una millenaria tradizione religiosa. Un intenso desiderio di recuperare l’intimità con la natura, terragna e cosmica, è presente nelle poesie in cui la campagna offre un suo humus di antico simbolismo sacrale - fatto di giaculatorie e riti scaramantici, più vicini alla superstizione che alla fede -, e il cielo rimane immobile e inavvicinabile, specchio di indifferenza e gelo. Potentissima è poi l’eco profetica veterotestamentaria di Isaia, Geremia e dei Salmi, nella loro implorante richiesta di aiuto, nella loro violenza vendicativa e nella spirale opprimente di colpa-penitenza-redenzione. Ma si avvertono pure risonanze dalle litanie medievali, dalla letteratura pietistica del 1600-1700, fino alle eredità espressionistiche di molti autori di lingua tedesca (Benn, Trakl, Bachmann, Celan), giustamente sottolineate dal curatore del volume Luigi Reitani. Il tema della morte, che campeggia già nel titolo, è predominante in ogni sezione. Cadenzato da pause di silenzio, da gridi penetranti e da una tenebrosa musicalità da requiem, esso si rifà alla tradizione degli “Sterbebüchlein”, trattatelli religiosi che insegnavano ai fedeli l’ars moriendi, esortandoli alla meditazione interiore prima dell’incontro supremo con Dio. Ma qui l’assalto al cielo di Bernhard non ha nulla di docile e rassegnato, piuttosto assume i toni di una sfida irosa, esibendo un disperato bisogno di consolazione, l’ansiosa ricerca di una risposta, e insieme il blasfemo rifiuto di ogni acquiescente devozionismo: c’è insomma in queste poesie giovanili già tutto il grande narratore che conosciamo e amiamo di più, la sua tormentata angoscia, il suo urlo di ribellione contro un destino ostile, contro un Deus absconditus e silenzioso da cui si sente tradito e condannato.

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Cristiano Cant
Recensioni: 5/5

Un'ira iniziale pian piano disciolta in una supplica in versi, il male che abita la vita tradotto in invocazione al Signore, come un graduale consegnarsi a braccia senza tempo in grado finalmente di vincere ogni lotta, ogni febbre, ogni inquietudine. Questi i gradini che formano questo breve poema, dal rifiuto al dono, dalla sfida alla resa, dal perché di un male alla sua torsione in grazia. Lo dirà subito Bernhard: "Selvaggio cresce il fiore della mia ira / e tutti vedono la spina/ che nel cielo affonda/ stillando sangue dal mio sole./ Disprezzami Dio,/ io malato di questo fiore/che a me germoglia rosso nel cervello/ sul mio dolore". Un cammino delicatissimo, aspro, conflittuale in partenza e infine amato pur sotto la rude scure dell'inevitabile. Ma Bernhard ci insegna che prepararsi a morire "é un'arte musicale", un lento tormento che si deve mettere in conto e che, o pacifica in una accettazione della sorte o abbrutisce in un nonsenso comunque fallace. Questo il gioco, questa la cifra, senza ritorno. Sebbene giovanile, ancora acerba rispetto ai grandi lavori della piena maturità, questa raccolta ne incarna comunque il bozzolo, l'asse interiore del futuro scrittore, la radice violentata dai tanti lutti familiari, dall'angoscia di toccare morte e mote intorno, da uno squarcio di dentro che investirà poi tutta la sua poetica. "La malattia dei miei canti" la chiamerà, o ancora, in questi magnifici versi "il mio cammino che iniziò lieto nella neve/ si schiuderà nella pioggia di immobili angeli". Un vero singhiozzo sillabato, ma fiero, lucido, consapevole, che cerca di salvare il prossimo anche accettando il proprio sacrificio: "Manda Signore/ i chicchi come li hai seminati/ ai miseri che dinanzi ai freddi granai/ sottostanno e gelano". Il poeta canta per tutti, raccoglie lo straccio e il grido della luna, e getta se stesso in un oltre senza nome:"Voglio cantare le stelle che nuotano nel mio sangue". L'addio di un artista come "un pugnale di stanche labbra".

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Feschka
Recensioni: 5/5

Ti sbagli, "Gehen" non è mai stato pubblicato in Italia, forse ti confondi con "Ungenach" o "Amras", o "La partita a carte", tutti di Einaudi. Esiste in inglese - lingua un po' più potabile del tedesco: T. Bernhard "Three novellas (Amras, Playing Watten, Walking)" Chicago Press 2003

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Conosci l'autore

Thomas Bernhard

1931, Heerlen

Thomas Bernhard (1931-1989) è figlio di una ragazza-madre che aveva lasciato l'Austria per sottrarsi allo scandalo. Ancora neonato, viene affidato ai nonni con i quali vive, prima a Vienna, poi a Seekirchen e a Salisburgo, gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Frequenta il liceo classico, che non conclude. A diciotto anni viene ricoverato in sanatorio, dove comincia a scrivere. Pubblica racconti su quotidiani e riviste e, nel 1963, il suo primo romanzo, Gelo, che vince il prestigioso premio Brema. I suoi attacchi alle istituzioni statali e a importanti personaggi politici suscitano e continueranno a suscitare scandalo. A partire dagli anni Settanta si dedica intensamente al teatro scrivendo numerosi testi che il regista Claus Peymann mette in scena quasi sempre con l'attore Bernhard...

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