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recensione di Lenta, G., L'Indice 1997, n. 1
Il libro affronta in modo analitico il tema del rapporto che lega storiografia e attività giudiziaria, prendendo in esame gli elementi che sono comuni ai due campi di sapere: l'inchiesta e la prova. Oggetto d'indagine, dunque, non è tanto il motivo topico dello storico ideale come giudice imparziale nelle sue valutazioni, ma la relazione tra storico e giudice in merito all'accertamento dei fatti, alla possibilità di un "discorso sul passato" con pretesa di veridicità.La funzione dell'inchiesta e dei mezzi di prova nelle opere di Erodoto e Tucidide viene così chiarita mettendo in luce il loro ruolo nel campo giuridico-retorico.
Nella prima parte del saggio si studia la prassi giudiziaria nell'Atene del V e IV secolo a.C., evidenziando per il suo costituirsi l'importanza decisiva della retorica.Una prassi che non comporta un'indagine da parte di un'apposita autorità inquirente: i componenti dei tribunali popolari esprimono il proprio voto valutando la veridicità delle dichiarazioni delle parti in causa. Poiché il ruolo dell'accusa non compete agli organi di giustizia, ma agli attori coinvolti nella lite, non esiste una "funzione d'inchiesta" chiaramente definita. Un tale esercizio della giustizia non permette né la possibilità di un controllo effettivo dei fatti discussi in tribunale né il formarsi di una "scientia iuris". Si crea piuttosto un sapere giudiziario "diffuso", un sapere "della città", dal momento che per essere giudici occorre innanzitutto essere cittadini.
Esaminando i discorsi dei logografi, i soli depositari di un sapere in qualche modo "specialistico", e la procedura, il modo di organizzazione dell'attività giuridica, l'autore mostra i limiti di una distinzione troppo rigida tra funzione procedurale e funzione retorica all'interno dell'agone processuale ateniese. In realtà disposizioni retoriche (persuasive) e procedurali, "prove tecniche" (indizi, segni, ragionamenti verosimili) e "non tecniche" (testimonianze, dichiarazioni ottenute con la tortura degli schiavi, giuramenti, leggi) interagiscono al fine di operare una ricostruzione degli avvenimenti che devono essere giudicati, di dare forma a un discorso sul passato credibile. Fra le "prove tecniche" - classificate e studiate da Aristotele nella "Retorica", testo con cui Butti de Lima si confronta costantemente - una particolare rilevanza assume l'argomentazione "verosimile" ("eikos"), che, stabilendo collegamenti tra informazioni in parte riconoscibili (e quindi accettate), rende possibile il discorso sui fatti accaduti.
Nella seconda parte si indagano le modalità attraverso le quali Erodoto e Tucidide cercano di trasmettere al pubblico un'immagine veritiera del proprio processo di investigazione e di ricerca. La "pretesa di verità" costituisce lo specifico del discorso storiografico, l'elemento che lo caratterizza come genere distinguendolo dalle altre forme di discorso.Ma quali sono gli elementi specifici di verità apportati dallo storico antico nel corso della narrazione, i mezzi con i quali si sforza di convincere gli ascoltatori/lettori della veridicità del racconto? Si tratta degli interventi in cui, interrompendo il resoconto dei fatti, si riferisce al proprio lavoro di indagine, rivelando il modo in cui accede all'informazione, l'accetta o la sottopone a critica, e dei momenti interni al discorso nei quali, mediante l'impiego dei mezzi di prova, opera una mediazione tra narrazione e fatto. Mentre in Erodoto questo processo di rappresentazione dell'attività storiografica a fini persuasivi viene continuamente rivelato durante l'esposizione stessa, quando discute criticamente i mezzi della propria indagine ("autopsia", confronto ed eventuale scelta fra le varie tradizioni orali), in Tucidide avviene prima della narrazione, nei passi introduttivi e programmatici.
I mezzi di prova (testimonianze, indizi, congetture verosimili) permettono di costruire un racconto sul passato, di asserire o meno la veridicità dei fatti narrati. Il ragionamento fondato sulla verosomiglianza, ad esempio, supponendo una certa regolarità nelle azioni degli uomini, consente di rifiutare le affermazioni che non si adeguano alla natura del "verosimile" e rende possibile la narrazione degli eventi più lontani nel tempo. Divergenze e punti di contatto, dunque, tra campo storiografico e giuridico.L'idea di inchiesta è assente nella prassi giudiziaria, mentre costituisce il fondamento stesso di un'attività storiografica; comune ai due campi, invece, è la funzione dei mezzi di prova.
Una lettura stimolante ma piuttosto complessa, anche per l'uso di un linguaggio non facile, che presuppone una sufficiente conoscenza del recente dibattito sullo statuto epistemico della storia (e della retorica). In particolare, viene qui privilegiata la dimensione argomentativa della disciplina storica, la sua ricerca di persuasività rispetto a un uditorio.
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