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Incontri con la Sfinge. Nuove lezioni di enigmistica - Stefano Bartezzaghi - copertina
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Descrizione


Tutti i nostri giochi enigmistici hanno una nobile origine legata ai tempi in cui regnava la sapienza dei miti e, anche se oggi sono in buona parte svuotati degli arcani misteri che custodivano, ancora funzionano come memoria di quegli antichi marchingegni. "Tutta la storia dell'enigmistica è una storia di magie che si sono trasformate in giochi. L'enigmistica tramuta oggetti magici in testi d'uso comune, in oggetti culturalmente banali". Con l'aiuto di Aristotele e Eraclito, di Carroll e Lacan, l'autore percorre, sulla base delle lezioni tenute alla Scuola Superiore di Studi umanistici di Bologna, le strade delle astuzie del linguaggio, nella convinzione che la lingua è uno strumento per dire, ma anche per non dire, per spiegare, ma anche per ingannare.
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Dettagli

2004
16 marzo 2004
X-235 p., Brossura
9788806167769

Valutazioni e recensioni

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angelo
Recensioni: 3/5

Ingredienti: la storia dell'enigmistica dall'antichità ad oggi, un'antologia dei principali giochi di parole, i loro rapporti con l'arte e la letteratura, un mondo fatto di segreti e magie da svelare con pazienza e passione. Consigliato: a chi vuol percorrere un lungo viaggio da Omero a Primo Levi fatto di simboli e indovinelli, a chi ama sconfiggere ogni sfinge quotidiana.

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Recensioni

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Voce della critica

Il lettore che volesse convincere un amico a comprarsi questo libro sarebbe inevitabilmente portato, novello Pierre Menard, a citarlo tutto. Perché vorrebbe citare "il caso, il lapsus l'infanzia, la malizia, l'enigma, la menzogna, la combinatoria, il sogno, la figura, il meccanismo, gli interlocutori, gli osservatori, gli errori, le correzioni..." che costituiscono il libro, elementi e giochi ognuno assolutamente irrinunciabile e al tempo stesso irriducibile a una citazione non letterale: e anche irresistibile, perché non si resiste dal citarlo ad alta voce mentre si legge, a chi sta vicino.

Ma con un profluvio di citazioni gli faremmo davvero torto: perché un ordine matematico e al tempo stesso meta-logico, o metafisico, regge queste pagine che raccontano la storia e i miti che sottendono i maggiori giochi enigmistici, in un arco discendente che dall'enigma della Sfinge arriva, attraverso l'anagramma, il palindromo, il rebus, il gioco di parole, fino al cruciverba. L'enigma o indovinello, il più antico, la sfida che regola testi e miti della classicità, la domanda impossibile, ha una natura diversa dagli altri non toccando il corpo e la natura delle parole.

Tutti gli altri vivono in un ambito limitrofo alla letteratura, anzi costitutivo di essa: e cioè appunto le parole scritte. Proust e Nabokov, Primo Levi e Calvino, Gadda e Lewis Carroll e Toti Scialoja e Montale, e naturalmente Georges Perec e Raymond Queneau e i loro antenati Breton e Duchamp, e poi Benveniste, Greimas, Caillois, Saussure, Starobinski e Baudrillard e Giovanni Pozzi: grandi scrittori e studiosi del linguaggio, e in particolare del modo che ha il linguaggio di muoversi e trascinare con sé lo scrittore, rallegrano con la loro presenza le pagine del libro.

Ma andiamo con ordine in questo percorso dalla mistica all'enigmistica, passando attraverso l'enigmatica, ovvero ciò che è dipendente dalla struttura dell'enigma, la divinazione a modello combinatorio (le foglie della Sibilla) o a modello enigmatico (dove è l'uomo che prevede, come Nostradamus).

Nell'anagramma la parola è objet trouvé, alla maniera dei surrealisti. Nella sua materialità, nella scomposizione dei suoi elementi (lettere o gruppi di lettere) s'inserisce il modello combinatorio. Così, Primo Levi insegna, si combinano gli elementi nelle formule chimiche o, Lucrezio insegna, gli atomi. La totalità è implicita nella combinatoria di una quantità limitata e invariata di elementi, come il mondo intero delle parole, e di tutto ciò che è scritto e sarà scritto, è implicito nelle ventuno lettere dell'alfabeto (Perec e Calvino insegnano). L'anagramma è il gioco delle lettere invariate: è nato con Licofrone all'epoca della fondazione della biblioteca d'Alessandria. "Roma Amor", scriverà secoli dopo Emanuele Tesauro. E nel secolo appena passato, sotto "Alì Ojo (o Oco) de Madrigal" si nasconde Carlo Emilio Gadda, amante degli pseudonimi anagrammatici, come Giovan Battista Basile (o Gian Alesio Abbatutis) o Arouet l.j. (le jeune) che altri non è che Voltaire.

La crittografia è un anagramma che forma un'unica frase (campione di crittografie è il moderno anagrammista "il Grigio": vedi testimone oculare = costume orientale, ecc.). Insieme all'anagramma nasce nel mondo ellenico anche la cabala, dove l'anagramma (temurah) è un principio di permutazione che decifra la lingua scritta dell'alfabeto ebraico e la sua permutazione come elementi del nome di Dio (a conferma che " en archè èn o logos "): le lettere sono elementi di una realtà spirituale e, come nella mistica ebraica, dall'anagramma cabalistico passa la divinazione.

In questo senso il romanzo lipogrammatico La disparition di Georges Perec, dove non compare mai la "e" muta (contrainte che a tutta prima non fu chiara ai suoi lettori e critici), ha questo significato: la lettera mancante ha un significato spirituale, perché indica una mancanza, un manque. Chi manca sono i genitori ebrei dello scrittore, morti quando era piccolo, ambedue ad Auschwitz: e al termine della depressione (Un homme qui dort), la mancanza assume la veste del lipogramma, o sottrazione di una lettera, con un guizzo di vitale umorismo che restituisce al linguaggio la sua funzione di risvegliare la lingua e lo scrittore.

Quello di Tesauro in realtà, Roma Amor, è più che un anagramma: è un palindromo, che, col rovescio, mette in atto il principio di Giano, e cioè quello di essere bifronte: o semplicemente gioca al gioco del rovescio, agisce in un mondo alla rovescia ("volto il foglio e si vede un gallo"), il che pone una serie di quesiti. Per esempio, ti amo avrà come rovescio ti odio, o non piuttosto mi odio? La leggenda vuole che inventore del palindromo sia stato, all'epoca di Licofrone, lo scandaloso omosessuale Sotade, noto invertito che inventa l'ordine invertito delle lettere o delle frasi e delle parole, muovendole contro corrente: fino alle preghiere alla rovescia del Mefistofele di Arrigo Boito, o alla più umile inversione letterale di una parola perfettamente palindromica come ingegni, leggibile in tutti e due i sensi. O di una frase come quella di Alice " was it a cat I saw "? (ma attenzione all'inquietante coincidenza di un bifronte, che cambia significato, come live e evil, dove to live is evil evoca il montaliano male di vivere).

Il rovesciamento narrativo attraeva Calvino, che all'epoca del gruppo parigino Oulipo immaginò la scrittura di un Amleto palindromico o di una Odissea dove Ulisse non si muove da casa. Alcune opere hanno un cuore palindromico, che via via si accresce per allargamento concentrico della materia: e c'è chi ipotizza che Proust avrebbe costruito la Recherche su un rovesciamento attivo, e cioè produttore di senso (del tipo: i topi non avevano nipoti), dopo avere scritto, nello stesso giorno, la prima e l'ultima pagina dell'opera. Un esemplare straordinario di autore coatto di rovesciamenti attivi è il protagonista della novella Calore vorticoso in Lilìt di Primo Levi, che scrive distrattamente il proprio nome, Ettore, alla rovescia (e rotte), e da lì senza volere inventa la frase palindromica: "Ettore evitava le madame lavative e rotte", sentendosi vagamente in colpa, poiché essendo una persona per bene "non si sarebbe mai permesso di definire così la signora Di Pietro". Finché comincia a temere che il mondo e persino il tempo vadano all'incontrario, mentre nuovi palindromi e rovesciamenti gli si presentano alla mente senza scampo.

Siamo così al capitolo sul rebus, dove la scrittura si pone in rapporto alla figura: il sogno è un rebus, secondo Freud, che cerca il contenuto nascosto sotto il contenuto manifesto. E su questa strada troviamo anche Lacan, che affianca al rebus la sciarada (dal provenzale charrada, chiacchierata), fatta di scene mute che indicano parti o segmenti della frase da indovinare. Le sciarade in azione erano molto in uso ai primi del secolo scorso. Montale ricorda Annetta, maestra di sciarade nella sua infanzia (e come tale protettrice della sua ultima poesia, all'insegna del bisticcio e della retorica rovesciata, del falsetto del gioco di parole): "Di certo resta il gioco delle sciarade incatenate / o incastrate che fossero di cui eri maestra. / Erano veri spettacoli in miniatura. / Vi recitai la parte di Leonardo / (Bistolfi ahimè, non l'altro), mi truccai da leone / per ottenere il 'primo' e quanto al nardo / mi aspersi di profumi. Ma non bastò la barba...".

Si tratta di cercare l'etimo, un etimo segreto che può non corrispondere all'etimo di superficie, o essere contenuto in esso. E Primo Levi è maestro anche nelle spassose paretimologie o etimologie popolari (i raggi "ultraviolenti" o il "borotalcol"): mentre la ri-segmentazione rivela parole nascoste che rendono falsa l'affermazione che ogni ripetizione è identica. In tal senso non lo è infatti neppure la famosa frase di Gertrude Stein A rose is a rose is a rose.

E infine eccoci al senso, nel senso di direzione (e il bisticcio è significativo) della scrittura: in che senso va la scrittura, verso destra, verso sinistra (le lingue semitiche), una riga a destra una a sinistra (la scrittura bustrofedica), verso l'alto o il basso (i bassorilievi di un obelisco). La scrittura viaggia: così come, ricorda Bartezzaghi (in quello straordinario romanzo on the road nella provincia americana che è Lolita), viaggia HH inseguendo Quilty, che lascia nei motel in cui si ferma con Lolita pseudonimi e citazioni e anagrammi e crittografie che solo l'accecato HH può decifrare.

Lo scrivente seduto emana la scrittura, quello in piedi la eroga. Altri hanno scritto su striscioline (il Notturno dannunziano e le paperoles proustiane). Un quadrato perfetto è il famoso Sator Arepo Tenet Opera Rotas, detto Quadrato magico. Perché nelle frasi, "quando le leggi a rovescio e il conto torna, c'è qualcosa di magico, di rivelatorio", dice Primo Levi: come sapeva Alighiero Boetti con le sue "felici coincidenze", tutte contenute in un quadrato perfetto ("Avere fame di vento"). Siamo in zona di forte tangenza con l'arte, proprio come quando si entra nel campo degli Scambi e giochi di parole.

Quanti bambini dicono "cimena" per cinema: l'errore di pronuncia, il refuso, il motto di spirito si basano su questa smagliatura nella lingua. E se lo scambio ha senso, come in "amore amaro", ecco il gioco di parole. Nel gioco di parole rientra tanto la rima, naturalmente, che ne ripete la parte finale, quanto il metagramma, e cioè mutamento di lettera e di senso fino a raggiungere il significato opposto di quello iniziale in meno mosse possibili: gioco sul quale si basa l'intraducibile Fuoco pallido di Nabokov, non a caso primo traduttore russo di Alice. Quanto a Lewis Carroll, il suo "racconto ingarbugliato" A tangled tale pone dieci "nodi" in dieci capitoli, che si sciolgono in un'Appendice della stessa misura del testo.

Ma per la verità l'umorismo anglosassone, a differenza del nostro (Pirandello in testa), è giocato molto nelle parole. Pensiamo alle gags, ai puns, Irish jokes, wits e limericks e nonsenses che costituiscono il cuore dell'indiavolata conversazione delle commedie di Oscar Wilde, o più recentemente quelle del bravissimo Tom Stoppard, che dichiara la sua ammirazione per i romanzi fatti quasi soltanto di note a pie' di pagina di Flannery O'Brian...

Questo libro invita la lepre a correre. Ma qui invece chiudiamo col capitolo iniziale sull'enigma, che a differenza dei giochi non conosce scioglimento, come l'indovinello del Cappellaio Matto, perché chi domanda conosce già la risposta (vedi Dio che chiede a Caino: Dov'è tuo fratello?). L'enigma è l'essenza del Dio: e l'ineffabile, l'ossimoro e l'adùnaton sono il linguaggio della mistica. L'enigma si fonda su una lacuna, una mancanza: "L'Amante - dice Bartezzaghi - è di fronte all'Enigma del sé, che spera che l'Altro risolva". Forse solo il linguaggio può dare una risposta. Infatti, come dice Karl Kraus, "quanto più da vicino si guarda una parola, e tanto più lontano essa guarda".

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Stefano Bartezzaghi

1962, Milano

Viene da una famiglia di enigmisti - il padre, Piero, era un famoso cruciverbista - e come autore ha esordito con un rebus nel 1971. Collabora con «la Repubblica» con rubriche di giochi (Lessico e nuvole) e di linguistica (Lapsus). Ha pubblicato numerosi volumi, tra i quali una storia del cruciverba, L'Orizzonte verticale (Einaudi 2007), Non ne ho la più squallida idea. Frasi matte da legare (Mondadori 2007), il racconto Variazioni (nel volume collettivo Questo terribile, intricato mondo, Einaudi 2008), Lezioni di enigmistica (Einaudi 2009), L'elmo di Don Chisciotte, contro la mitologia della creatività (Laterza 2009), Scrittori giocatori (Einaudi 2010), Non se ne può più - il libro dei tormentoni (Mondadori 2010), Sedia a sdraio (Salani 2011). Nell'ottobre...

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