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Molti gli spunti di riflessione sull'educare e sull'insegnare. E' necessario aprire una breccia nel muro che separa le due culture: la scientifica e l'umanistica. Nell'insegnamento bisogna ricorrere sia all'una che all'altra e fonderle in modo armonico, perché per sapere ben-vivere, nella nostra civiltà della dismisura, dell'hybris, non basta la sola prosa, ma è necessaria anche la poesia, in quanto anche se "si vive male senza la ragione, altrettanto male si vive senza passione". L'autore come punto di partenza, per le sue riflessioni, fa riferimento all' "Emilio" di Rousseau, là dove l'educatore dice al suo allievo: "Vivere è il mestiere che voglio insegnarti". E per l'autore insegnare presuppone la presenza di Eros nell'insegnate. Scrive l'autore: "In coloro che hanno sentito la vocazione a insegnare, l'Eros era presente nell' amore per il sapere che avrebbero dispensato, nell'amore per una gioventù da educare. Nei bambini e nei giovani, l'Eros è presente in quella meravigliosa curiosità per tutte le cose, spesso delusa da un insegnamento che taglia la realtà del mondo in pezzi separati, e con il quale anche la letteratura diventa noiosa". L'insegnante, nella sua missione personale, "deve riconoscere la qualità umana dell'allievo, deve manifestare nei suoi confronti benevolenza e attenzione e non rigettarlo mai nella categoria dei cretini e dei deficienti".
Libro molto semplice ma si rende una lettura davvero piacevole e interessante. Adatto a tutti.
Leggibile e chiaro, scritto con grande lucidità e consapevolezza. Il rinnovamento della didattica non può prescindere dal pensiero di Edgar Morì, che con lucidità traccia la strada per un insegnamento che arricchisce non solo il singolo, ma l'intera collettività. Per docenti che cercano strade nuove, aprerte a nuovi orizzonti possibili. Autore assolutamente indispensabile per chi vuole intraprendere la professione di docente.
Recensioni
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Non si tratta di distruggere, si tratta di collegare. Edgar Morin
Edgar Morin, una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea, torna a occuparsi dei problemi dell’educazione, con un nuovo agile volume che completa idealmente la sua trilogia.
È un punto di arrivo ma anche un ulteriore, strutturato, punto di partenza, questo nuovo brillante saggio del filosofo francese. Dopo La testa ben fatta (Raffaello Cortina, 2000) e I sette saperi necessari all'educazione del futuro (Raffaello Cortina, 2001), due pietre miliari della pedagogia contemporanea, l’autore torna sulle sue riflessioni partendo dal principio: dall’Emilio di Rousseau.
Nel libro che ha ispirato intere generazioni di pedagoghi, l’educatore dice del suo allievo: “Vivere è il mestiere che voglio insegnargli”. Ma la massima di Rousseau è eccessiva, a detta di Morin, poiché nessuno può insegnare a vivere, al massimo l’insegnante può aiutarci a imparare a vivere. A vivere si impara attraverso l’esperienza, con l’aiuto dei genitori e degli educatori, ma anche attraverso i libri, la poesia, gli incontri.
Quello che può fare un buon educatore non è dunque tracciare la strada, ma fornire all’allievo gli strumenti per riconoscere le fonti e le cause dei nostri errori e delle nostre illusioni, cercando di limitare il più possibile gli inganni del ragionamento.
Un compito niente affatto facile, perché l’errore e l’illusione sono sempre in agguato nelle nostre scelte quotidiane, la vita in fondo non è che un’avventura che implica incertezze sempre nuove.
La riforma dell’educazione, insomma, non può che essere una riforma del pensiero. Una strada che i nostri giovani hanno appena iniziato a percorrere, una riforma che è più di una rivoluzione, è una metamorfosi.
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