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L' insostenibile leggerezza dell'essere
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L' insostenibile leggerezza dell'essere - Milan Kundera - copertina
L' insostenibile leggerezza dell'essere - Milan Kundera - 2
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insostenibile leggerezza dell'essere

Descrizione

Esercitato da lungo tempo a percepire nella «Grande Marcia» verso l’avvenire la più beffarda delle illusioni, Kundera ha saputo mantenere intatto il pathos di ciò che, intessuto di innumerevoli ritorni come ogni amore torturante, è pronto però ad apparire un’unica volta e a sparire, quasi non fosse mai esistito.

«Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell'intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere» - Italo Calvino

«Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell'aria, tra il fantastico e il possibile: mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla "compassione" verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Così accade nel romanzo: Tomás ama Tereza, Tereza ama Tomás: Franz ama Sabina, Sabina (almeno per qualche mese) ama Franz; quasi come nelle Affinità elettive si forma il perfetto quadrato delle affinità amorose.» - Pietro Citati

«Un libro che racconta come il pensiero del bene condizioni la vita di una persona quanto il male.» - Francesco Piccolo per Maremosso


Protetto da un titolo enigmatico, che si imprime nella memoria come una frase musicale, questo romanzo obbedisce fedelmente al precetto di Hermann Broch: «Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire». Questa scoperta romanzesca non si limita all’evocazione di alcuni personaggi e delle loro complicate storie d’amore, anche se qui Tomáš, Teresa, Sabina, Franz esistono per noi subito, dopo pochi tocchi, con una concretezza irriducibile e quasi dolorosa. Dare vita a un personaggio significa per Kundera «andare sino in fondo a certe situazioni, a certi motivi, magari a certe parole, che sono la materia stessa di cui è fatto». Entra allora in scena un ulteriore personaggio: l’autore. Il suo volto è in ombra, al centro del quadrilatero amoroso formato dai protagonisti del romanzo: e quei quattro vertici cambiano continuamente le loro posizioni intorno a lui, allontanati e riuniti dal caso e dalle persecuzioni della storia, oscillanti fra un libertinismo freddo e quella specie di compassione che è «la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia, delle emozioni». All’interno di quel quadrilatero si intreccia una molteplicità di fili: un filo è un dettaglio fisiologico, un altro è una questione metafisica, un filo è un atroce aneddoto storico, un filo è un’immagine. Tutto è variazione, incessante esplorazione del possibile. Con diderotiana leggerezza, Kundera riesce a schiudere, dietro i singoli fatti, altrettante domande penetranti e le compone poi come voci polifoniche, fino a darci una vertigine che ci riconduce alla nostra esperienza costante e muta. Ritroviamo così certe cose che hanno invaso la nostra vita e tendono a passare innominate dalla letteratura, schiacciata dal loro peso: la trasformazione del mondo intero in una immensa «trappola», la cancellazione dell’esistenza come in quelle fotografie ritoccate dove i sovietici fanno sparire le facce dei personaggi caduti in disgrazia.
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Dettagli

28
1989
Tascabile
29 maggio 1989
318 p.
9788845906862

Valutazioni e recensioni

4,41/5
Recensioni: 4/5
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.

Anna
Recensioni: 5/5
Arte pura

Nonostante i concetti filosofici complessi, questo libro è arte. Amore, libertà, responsabilità, identità, sono tutti temi che si snodano durante la lettura offrendo spunti di riflessione sul significato della vita. Una lettura ricca di profondità, complessità e bellezza.

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Scarlett
Recensioni: 4/5

Il romanzo è interessante per le tesi che espone e il periodo storico e l’ambientazione, tuttavia l’autore crea un certo distacco con il lettore che è poco coinvolto emotivamente e più interessato all’aspetto filosofico.

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Q
Recensioni: 5/5
Libri

E molto interessante lo consiglio vivamente

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Tabucchi, A., L'Indice 1985, n. 5

C'è un concetto elementare che portiamo dentro di noi: che la vita è irripetibile. Ogni nostro istante, ogni nostra azione, ogni nostro gesto, insomma tutto ciò che ci è dato da vivere avviene una volta sola, non avverrà mai più. Eppure viviamo come se ciò fosse un concetto trascurabile, perché se provassimo a rifletterci mentre viviamo, la vita diventerebbe una paradossale nostalgia: la nostalgia del presente. Su questo concetto, insieme elementare e insostenibile, Milan Kundera ha scritto un intero romanzo, un grande romanzo. Un romanzo non è grande se non ha in sé almeno un'interrogazione metafisica. Interrogazione che non è incompatibile col realismo, come a volte si tende a credere, perché realismo e metafisica possono andare perfettamente d'accordo; anzi, più che il fantastico, che è la negazione della metafisica, è spesso il reale che postula interrogativi metafisici, o che fa scattare quella metafisica del reale che il nostro secolo, a partire da Kafka e da Pirandello, ha visitato con i suoi autori maggiori.
Kundera è appunto un romanziere realista e metafisico; di un realismo e di una metafisica estenuati e dolenti: e per questo capaci di lampi, di penose intuizioni, di apparizioni brucianti, di guizzi e di spasimi. Di colpi di coda, mi verrebbe da dire, come di un animale morente che sra lasciando il suo vecchio corpo e sotto i nostri occhi sta producendo un altro corpo a lui consanguineo e a noi sconosciuto, un essere vivente che gli esce dalle viscere e che si sta sostituendo a lui. Il romanzo di Kundera è infatti un testo in mutazione: non è più un romanzo ed è già un altro romanzo, non è tradizionale ma non è neppure quello che con un aggettivo un po' logoro viene definito "sperimentale". Roman philosophique? Certo, ma non nell'accezione settecentesca del termine: "L'insostenibile leggerezza dell'essere" non è un romanzo moralistico e non è un romanzo sulla ragione, anche se parla di etica e di ragione (e di sentimenti) Se dovessi nominare un filosofo che presiede a questo libro farei il nome di Francis Bradley, del quale Borges ha scritto che "esclude l'awenire e che riporta l'Attuale all ' agonia del momento presente che si disintegra nel passato".
Fino dall'inizio il senso della finitudine congela le figure di questo romanzo in una luce livida, in una fissità da fotografia, nella dimensione dell'Irreversibile. "Sono già molti anni che penso a Tom s, ma soltanto alla luce di queste considerazioni l'ho visto con chiarezza. L'ho visto alla finestra del suo appartamento, gli occhi fissi al di là del cortile sul muro della casa di fronte, che non sa che cosa deve fare''. Le considerazioni del narratore riguardano l'idea dell'eterno ritorno e dell'inesistenza del ritorno, che si traducono nell'idea della leggerezza e della pesantezza e che introducono alla storia. Ma quando la storia comincia, quando cioé il narratore sorprende il suo personaggio alla finestra dell'appartamento, la storia è anche in qualche modo già conclusa. Noi non sappiamo perché, ma intuiamo che la vicenda che ci verrà raccontata è come una fotografia; una fotografia che, come ha detto Susan Sontag, è simultaneamente una pseudo-presenza e l'indicazione di un'assenza. A metà del romanzo,per esempio, veniamo a sapere attraverso un altro personaggio che Tom s e Tereza sono già morti in un incidente: eppure la loro storia prosegue nel romanzo, essi continuano a vivere fatalmente per noi fino al momento in cui moriranno. La loro storia, gia avvenuta, è irreversibile, la loro vita nella narrazione è solo una pseudo-presenza: essi sono un'assenza. Kundera durante il romanzo fa il nome di molti filosofi, da Parmenide a Scoto Eriugena a Nietzsche: manca tuttavia quello di Jankélévitch, il filosofo dell'irrevocabile e della nostalgia, che sono i concetti portanti dell'"Insostenibile leggerezza dell'essere" specialmente laddove il romanzo tocca, non solo con la storia, ma anche con le riflessioni extra-narrative dell'autore, temi come la resistenza all'irreversibile (il rallentamento del divenire, l'accelerazione del divenire, l'incomprensibilità del divenire), il consenso all'irreversibile (la libertà come potere a senso unico) e la questione dell ' irrevocabile (l 'attrazione dell'essere stato e del dover essere, la dizione della tautologia). Ha scritto Jankélévitch che "contro la tautologia ottusa, sorda e cieca, e soprattutto muta, protesta il paradosso della contraddizione". Kundera ha un modo molto originale di definire il dover essere e la tautologia ottusa: il Kitsch. Egli definisce il Kitsch "un accordo categorico con l'essere", la mancanza di paradosso e di contraddizione. In tal modo egli sposta il concetto di Kitsch dal piano estetico al piano ontologico, ne fa una vera e propria categoria dell'essere. Viene da pensare se nella visione di Kundera non ci sia un accordo un po' troppo categorico con la sua stessa visione, il che gli potrebbe creare alcuni problemi, perché una teoria di questo genere mi pare plausibile purché essa preveda un margine di dubbio nei confronti di se stessa, insomma tolleri l'ironia e l'autoironia altrimenri il problema cacciato dalla porta rischia di rientrare dalla finestra. È comprensibile che, esule da un regime come quello cecoslovacco (il cui sistema di vita, come in altri regimi analoghi, è fondato sul Kitsch), Kundera sia portato a elevare a regola universale cio che lo ha perseguitato fin dalla nascita. Ma in tal modo egli crea una categoria totalizzante che trasforma la vita in una mostruosa trappola senza scarnpo. Non mi pare infatti che la soluzione o l'evasione da tale trappola possa essere costituita, come il romanzo tende a far credere, dal comportamento della pittrice Sabina, seguace del "tradimento continuo" e figura letteraria forse un po' esile che ricorda certe figure letterarie o cinematografiche degli anni cinquanta. Le figure di grande spessore de L'"Insostenibile leggerezza dell'essere" sono invece proprio quelle alle quali il narratore non attribuisce funzioni metaforiche rigidamente esemplari: Tereza, Tom s e la loro assurda e "necessaria" storia d'amore. La requisitoria contro gli intellettuali occidentali e le loro manifestazioni politiche pecca forse di una certa presupponenza: essi vengono sostanzialmente presentati come una banda di citrulli guidati da un accordo categorico con l'essere (dunque il Kitsch) che certo semplifica molto le cose. Probabilmente a questa visione così radicale, anche se fondata su alcuni elementi legittimi, contribuisce in larga misura il disagio dell'esule, che può trasformare la coscienza ironica in coscienza cinica: quella coscienza cioé che sceglie le massime e gli esempi e che cerca freddamente la situazione senza uscita, la dimensione del tragico.
Dove questa dimensione trova un'indimenticabile grandezza è invece, come dicevo, proprio dove "si fa carne", dove diventa personaggio. nelle figure di Tereza e di Tom s; protagonisti di una sconfitta desolata e attonita che è una forma agghiacciante di tragedia. Perché se è vero che nei dannati di Dostoevskji il culmine della loro sconfitta è anche l'inizio del loro riscatto, Tereza e Tom s sono due figure senza riscatto e senza rinascita, spaventosamente prigioniere di una tragedia senza esito e senza catarsi. Una tragedia che sembra avere per coro il popolo cecoslovacco ma il cui coro più adeguato e misterioso è forse l'insostenibile "sorriso" del loro cane Karenin, che malato di cancro li precede nell'ombra.


(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Corduas, S., L'Indice 1985, n. 5

Sul luogo che Kundera occupa nella letteratura "praghese" o "boema" di oggi, posso rispondere soltanto ponendo alcune questioni, anche preliminari, parziali e provocatorie, dando qualche risposta provvisoria; tentando di arrestare un grumo o rotonda pietra, fatta di equivoci, che va rotolando non so bene dove in nome di Praga e della osannata Mitteleuropa (termine che a Praga non usa).
Perché parlare, per i contemporanei, di letteratura boema quando - intreccio di cose praghesi, tedesche ed ebraiche - questa letteratura non esiste più almeno dagli anni trenta? E Kundera davvero non é boemo. In primo luogo é nato a Brno, in Moravia (e non a Praga, come dice erratamente il risvolto del suo ultimo libro); é cresciuto come scrittore una prima volta tra Brno e Praga, poi a Praga e infine, da molti anni, a Parigi. È dunque uno scrittore ceco con una memoria boema e una prospettiva europea. Se questa precisazione dovesse apparire irrilevante o scontata, vorrei aggiungere che non é mai esistita, nella lingua ceca, la parola "Boemia" (si dice Cechy), e che la duplicità di boemo/ceco affligge ancora seriamente (spesso inconsciamente) la cultura ceca, sia dentro che fuori di Boemia e Moravia, oltre che le culture nostre.
Esiste quindi un equivoco che potrebbe portare il nome di boemocentrismo o pragocentrismo (io lo chiamo anche pragomania). Una implicita conferma si può scorgere nell'uso cocciuto, da parte di Kundera come di altri emigrati, del termine "Boemia " perfino quando si parla dell'invasione sovietica: come se Moravia e Slovacchia non fossero state invase anch 'esse. Fa fede di tale cocciutaggine (che in Kundera è certamente cosciente e motivata) il fatto che egli, rivedendo la traduzione italiana con l'editore, abbia puntualmente riscritto Boemia, come nell'originale ceco, là dove trovava Cecoslovacchia.
Altra questione: sono davvero "romanzi" i libri di Kundera? Se li si guarda con lo sguardo del nostro occidente, forse sì e forse no. Hrabal definisce il romanzo kafkiano "romanzo in forma di goccia " e quello hasekiano (Svejk) "romanzo in forma di treno accelerato locale"; ci si può permettere forse di definire i romanzi kunderiani "romanzi in forma di quartetto, beethovenianamente fondato sulla variazione". Non trovo casuale il fatto che già dai titoli e dalla successione dei capitoli di quest'ultimo libro si possa estrarre una quartina ABBA; oppure che Kundera costruisca a pag. 56 uno schema di quartetto (esecutori) più trio (ascoltatori) più trio (i tre ultimi quartetti di Beethoven). Lo fa sapendo benissimo che qualsiasi sala di quel paese musicalissimo sarebbe invece piena di attenti ascoltatori. Analogamente, "Adagio lamentoso" si intitola uno straordinario testo breve in memoria di Franz Kafka di Hrabal - e si tratta di Mahler invece che del Settecento o di Beethoven, ma sempre di variazioni.
Se li guardiamo con gli occhi di quell 'altro occidente che è Praga, dobbiamo dire che, essendo le due più forti tradizioni della cultura letteraria ceca la poesia e il racconto, i libri di Kundera sono romanzi, anzi Kundera è fra coloro che stanno costruendo il romanzo ceco. Tuttavia è opportuno ricordare che si tratta di romanzi composti con racconti che si fronteggiano quasi specularmente.
Ancora una questione: non bisogna dimenticare che Kundera scherza, gioca - in un senso non banale - con se stesso, con la scrittura, col lettore. In questo la sua memoria, boema e ceca, è forte. Weiner e Fuks, per fare un nome boemo e uno ceco non sono estranei, ad esempio, rispettivamente all'autocommento e alla metafora tornante di Kundera. Né può essere un caso che Kundera ami tanto Ladislav Kl¡ma, scrittore e filosofo tradotto anche in italiano, gran teorico del "ludibrionismo". Sarebbe facile dimostrare come questo gioco continuo si traduca, per la scrittura, in quasi tutti i tipi possibili di scrittura ad esempio saggistica: filosofa, teoria del romanzo, scienze, musica, e perfino la filologia. A tale proposito, io vorrei notare che il punto di partenza non sono solo le citate opposizioni di Parmenide e l'eterno ritorno di Nietzsche, ma anche la vecchia storia per cui, coincidendo A con non A, "tutto é vano", e l'unica possibile scelta è "un provvisorio ritorno all'umano " (L.Klima). Si prenda il titolo stesso del libro: la parola ceca tradotta con " insostenibile" è l'esatto equivalente per etimo, piano stilistico e frequenza d'uso, dell'italiano "insopportabile". Il che vien detto non per criticare la scelta, bensì per sottolineare come già nel titolo figuri il peso (da portare), inscindibile dalla leggerezza.
Un' ultima questione: com'è il ceco di Kundera o anche: quanto è ceco come scrittore Kundera? Rozze le domande, rozze le risposte. Il ceco di Kundera è volutamente non difficile ed è diventato certamente, se lo si confronta con quello del suo primo romanzo (" Lo scherzo ", 1967), per l'appunto più "leggero". Questa affermazione ha a che vedere con una serie infinita di questioni che qui è impossibile approfondire. Dirò soltanto che pur essendo ben pertinente l'anomalia di scrivere sapendo già che non si verrà letti nella propria lingua, l'origine della scrittura kunderiana sta già certamente, a mio parere, nei racconti e nel saggio (sul romanzo) del 1963; e che non trovo inutile prendere in considerazione il parere, udito a Praga, che forse Kundera potrebbe non necessariamente scrivere in ceco. ( Si tratta di un parere provocatorio, e giurerei che Kundera lo conosce; non giurerei invece sulle sue reazioni). Non è un caso, ed è un bene che Kundera sia a Parigi, ami Diderot e l'illuminismo. Ed è su quella leggerezza (nella quale egli traspone il peso della vita e della cultura) che si fondano propriamente la risonanza e il carattere ormai europei di Kundera.
Quanto alla seconda domanda, considerando Kundera nell'insieme (in quello che a Praga verrebbe chiamato il suo "gesto culturale" complessivo) si può forse sommariamente dire che egli è scrittore per metà europeo e per metà ceco (non soltanto "praghese"). Ma - per concludere queste sommarie premesse a un discorso su Kundera - sarebbe forse più giusto dire che un 'incognita per fortuna resta, un uno per cento di apertissimo dubbio, dal quale certamente scaturiranno altri libri. Quel dubbio che prende quando si vede Kundera ridere di Smetana - che non ama - e proclamare la grandezza di Dvoràk; mentre si resta attoniti quando domandandogli che cosa pensi del " Dramma giocoso " di colui che fece così importanti visite a e per Praga, non c'è risposta, proprio sul Don Giovanni; quest'opera somma del grande Amadé...

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Milan Kundera

1929, Brno (Repubblica Ceca)

Milan Kundera è stato uno scrittore ceco. Ha esordito come poeta (L’uomo è un grande giardino, 1953; Monologhi, 1957) ottenendo poi un vasto successo con le serie di novelle Amori ridicoli (1963, 1964). Ha debuttato poi come drammaturgo nel 1962 con I proprietari delle chiavi, ambientato nel periodo dell’occupazione fascista. Il suo primo romanzo, Lo scherzo (1967), è una satira violenta e dolorosa della realtà cecoslovacca negli anni del culto della personalità. A causa delle sue posizioni, i successivi romanzi di Kundera – La vita è altrove (1973), Il valzer degli addii (1975), Il libro del riso e dell’oblio (1978) – sono stati vietati in patria e pubblicati all’estero. Storia, autobiografia e intrecci sentimentali...

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