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Una scrittura travolgente e una Parigi vissuta come un'ossessione senza fine. Comico, ma anche capace di cogliere situazioni umane intricate e drammatiche. Un ex punk a caccia dell'amore totalizzante.
Libro spassosissimo sulle vicende di un italiano espatriato in Francia. Ma anche racconto di ossessioni amorose. Vi sono parti impietose e comiche sul funzionamento dell'università, Nonostante la scena sia dominata da un protagonista principale, preso da fantasmi di amore e di gloria letteraria, sfilano tante figure di una Parigi reale e non turistica: venditori cinesi di macchine fotografiche usate, barboni che leggono Spinoza, indiani maestri di karate, parigine in crisi di nervi...
Ho trovato molta difficoltà a leggere questo libro sia perché è un insieme di avvenimenti e pensieri confusi e scollegati tra loro, sia per la grande carenza di punti. Al contrario abbondano le virgole che creano un'infinità di incisi da far perdere il filo del discorso. L'ho abbandonato dopo 50 pagine.
Recensioni
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Le diverse raccolte poetiche (…) che avevano sinora testimoniato la vocazione lucida e ironica di Andrea Inglese, non ci avevano ancora però dato la misura dell’originalità del suo talento. (…) In Parigi è un desiderio, suo primo romanzo, Inglese ci consegna un ritratto d’epoca, quali in molti hanno tentato senza riuscirci. Epocale, del resto, è lo stesso termine “desiderio” che campeggia nel titolo, ponendo la scrittura sotto il segno di Eros e indicando l’onnipresente tensione che impegna l’io in un confronto serrato con il reale, un impietoso esperimento che impegna tutta una cultura e la porta a una resa dei conti(…). Emblematica, in questo senso, il richiamo a La vita agra di Luciano Bianciardi, ma forse identificare in quel nome una discendenza troppo diretta o univoca per Parigi è un desiderio sarebbe rischioso, perché l’io del libro è non meno imparentato con tanti predecessori, come il Portnoy di Roth e altri antieroi spiazzati e spiazzanti, senza dimenticare la lezione di quella poesia che in fatto di giovanile dissipazione e di oltranze la sa lunga.
Una internazionale di esclusi, espatriati e sconfitti, ognuno sui generis e con pochi riguardi all’etichetta, ai codici prestabiliti; ma che gioca e vince la partita sul piano del linguaggio e della fantasia, scovando il surreale nel reale, per cui la densità sociale dell’esperienza è tanto più pervasiva, quanto più implicita e riflessa nella sfera dell’io, e riverbera fin nel modo d’essere del frammento che assorbe il flusso proliferante dei particolari, trasponendo il vissuto in una spettrografia sul limite del conscio. A un tour de force del genere non si addicono schemi rigidi né equilibrati palinsesti, ed anzi chi provasse a fare il riassunto della trama del libro, in realtà si troverebbe di fronte un ordito così lasco e quasi primordiale che, per renderne conto, non potrebbe che enumerare tutta una serie di minute disavventure che vivono essenzialmente nella dimensione mentale, nel dislivello tra il mondo e l’io (…). La dislocazione dell’altrove e la fascinazione del mito vi possono coesistere con l’anomia, a patto di denunciare la propria insolvenza, un tratto a un tempo collettivo e solipsistico: quel che esemplarmente ne residua sia in Parigi che nel desiderio permea l’epos minimalistico del libro, non meno romanzesco e appassionante per questo.
I capitoli, per lo più brevi come una fitta memoriale o un rimorso o lunghi appena la durata di una lettera, non obbediscono ad altra logica che non sia quella di una continua dilatazione saggistica dell’infinitesimale e di un ricorrente excursus, quasi un ripensamento in progress e un’anamnesi del più prossimo e lampante rimosso: a regolare il passo della narrazione è perciò una specie di risacca monologante che potrebbe non fermarsi mai, volendo smascherare ogni connivenza e indagare ogni dettaglio, ogni volta ripartendo per ciò che sembra una deriva velleitaria e infinita ma è piuttosto, invece, un percorso controllato e scandito da un metronomo interno.
Recensione di Luca Lenzini
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