Indice
Le prime pagine del libro
Sono a casa, nella Stube, per noi dell’Alto Adige una via di mezzo fra una sala da pranzo e un soggiorno: mamma prepara la cena, canederli in brodo, e io accendo il computer per leggere le email.
Sono soddisfatta, nei giorni scorsi è piovuto, l’acqua ha sciolto la neve sotto i 1500 metri e ne ho approfittato per un allenamento sul Planetenweg, il “sentiero dei pianeti”, che da San Valentino, nella Val d’Ega dove sono cresciuta, si snoda lungo un anello in mezzo ai boschi per una decina di chilometri.
Non ho guardato quanto ho impiegato, non lo faccio quasi mai: non voglio che il mio lavoro sia un lavoro. Non ho controllato con precisione nemmeno i metri di dislivello, ma sono certa di essere andata a tutto gas, è il cronometro interno Lunger a dirmelo. Improvviso i percorsi, mi alleno guardando il cielo, il sole e assecondando i miei sbalzi di umore che un giorno mi spingono a fare tremila metri di dislivello mentre il giorno seguente solo mille.
L’aria tersa, l’odore del muschio umido, la terra morbida e bagnata sotto le scarpe, continui scorci di montagne che conosco da una vita: dopo una simile giornata mi sento meravigliosamente bene e, mentre sorseggio del succo di mela per ristorarmi, scorro rapidamente la posta eliminando ciò che riconosco al volo come spam e leggendo distrattamente qualche newsletter alpinistica di cui immagino già il contenuto.
«Due o tre canederli?» mi chiede mia madre.
«Tre» le rispondo.
Ho faticato tanto, mangiato pochissimo e stasera voglio proprio abbuffarmi. Papà sta per tornare a casa e anche le mie sorelle sono passate a salutare. Saremo tutti assieme e già assaporo il piacere delle chiacchiere e delle risate, tra un «Che cosa hai combinato di nuovo, Tamara?», e un «Invece voi come state?»: il team Lunger riunito attorno alla tavola.
Mi loggo su Facebook, ci sono diversi messaggi, li passo velocemente, due minuti e sono già stufa marcia di stare davanti al computer ma mi cade l’occhio su un nome. “Noooo!”
Leggo e rileggo il mittente, senza aprire il messaggio, e mi dico che quasi non ci speravo più.
Siamo in un mondo veloce e, se una risposta arriva dopo due settimane, sembra quasi caduta dal cielo.
«Tamara, fra poco è pronto, chiama Magdalena per vedere dov’è» dice la mamma.
“Che faccio” mi chiedo,“apro prima o dopo?”
Mi fingo saggia: “Tamara, adesso mangi e poi leggi con calma cosa ti ha scritto... Ok, leggi subito, non scherziamo!”
Il pensiero della Tamara saggia dura giusto un battito di ciglia.
Apro il messaggio di Simone, Simone Moro, per me un semisconosciuto che da anni rincorro perché mi porti sugli ottomila con lui.
Ciao, allora, quando mi porti in Nepal? è quello che gli ho scritto due settimane fa, dopo averlo aggiunto su Facebook con l’obiettivo di ricordargli, cercando di non risultare troppo insistente, una promessa fattami tempo addietro.
Devo verificare, ma ti faccio sapere appena posso è stata la sua pronta risposta. Sulla parola “appena” mi sono arrovellata parecchio nei giorni successivi, prima di decidere che avrei provato a non pensarci troppo. Dicono sia serio, ha fama di essere preciso: ma due settimane di silenzio sono davvero lunghe.“Basta, lo apro.”
Ti porto, scrive stringatamente Simone. Tamara, ti prometto che ti porto.
È il 2009. Il primo di aprile. È un pesce di aprile? Per un attimo penso che forse mi stia prendendo in giro... Ma poi mi dico che no, non è possibile, non scherzerebbe mai su una cosa del genere.
Dammi il tuo numero che ti chiamo e organizziamo, e chiude.
È tutto vero, quindi. Andrò in Nepal, Tibet, Pakistan? Chissà. Ma è un inizio. Più che un inizio, una quasi partenza. Una sicura svolta.
E quindi salto. Salto sulla sedia della Stube. Urlo di gioia, urlo per fare festa, urlo così tanto da far tremare le pareti.
Mamma si gira, mi guarda, si domanda che cosa stia succedendo.
La abbraccio. «Simone! Simone! Facebook!» urlo, lasciandola ancora più turbata.
«Cosa c’è, cosa fai?» mi chiede, perché persino per i miei standard sto saltando e urlando troppo forte.
Respiro, prendo fiato, le spiego che farò un ottomila, che finalmente Simone Moro ha intenzione di portarmi con sé e che la mia nuova carriera sta per cominciare.
E poi urlo di nuovo e faccio i salti di gioia.
«Tu sei completamente pazza» dice mia madre. Ma i suoi occhi luccicano di gioia per me, la sua bambina, totalmente incapace di diventare adulta.