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L' Italia repubblicana vista da fuori (1945-2000) - copertina
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L' Italia repubblicana vista da fuori (1945-2000) - copertina
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Descrizione


È tipico degli italiani pensare che una volta attraversate le Alpi tutto funzioni meglio, che quanto a modernità, civiltà e cultura politica si debbano prendere a modello i paesi dell'Europa del nord o gli Stati Uniti. Non è detto che anche questo stereotipo non nasconda un fondo di verità, ma è certo che di uno stereotipo si tratta e che può essere oggetto, ma non strumento di studio. A partire da questa considerazione, è nata l'idea di affidare a un gruppo qualificato di osservatori stranieri un'indagine sulla storia d'Italia nella seconda metà del ventesimo secolo. Tre degli autori sono storici, due sono scienziati politici, altri due sono rispettivamente un sociologo politico e un antropologo. I temi trattati sono gli avvenimenti politici, i processi di modernizzazione, i mutamenti dei valori e delle identità, il Mezzogiorno, l'economia e la società. In questo libro chi ha personalmente vissuto gli anni della storia recente potrà trovare uno specchio per considerare e riconsiderare le proprie convinzioni. E i più giovani vi scopriranno una messe di informazioni e di spunti - accompagnati da una vasta bibliografia utili per lo studio delle vicende del paese e dei tratti che ne identificano le peculiarità.
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Dettagli

2007
22 novembre 2007
498 p., Brossura
9788815118103

Voce della critica

C'è un'osservazione del curatore di questo volume che merita attenzione: il periodo in cui gli italiani sono diventati una nazione è stato quello della repubblica. Tra i fattori coadiuvanti vi sono stati l'enorme investimento nel sistema scolastico, il rafforzamento – quantitativo e qualitativo – della presenza su tutto il territorio nazionale dei partiti politici e delle organizzazioni e associazioni laiche e religiose, l'avvento della televisione che ha diffuso l'uso della lingua italiana, un'emigrazione interna senza precedenti, una mobilità spaziale e sociale dovuta a crescita economico-culturale, benessere e anche infrastrutturazione. Ciascuno di questi fattori ha subito degenerazioni, oppure freni nel proprio percorso di sviluppo, e si è soliti condannare senza appello l'Italia. La sentenza è: arretratezza cronica e irreversibile.
Da una raccolta di saggi scritti da studiosi stranieri ci si poteva aspettare un simile tono deprecatorio. Così non è, perché si distinguono i periodi e gli ambiti nei quali il processo di modernizzazione ha avuto luogo dal secondo dopoguerra a oggi. E le sfumature, in storiografia, contano. Forse proprio questa peculiare via alla modernità spiega come mai la storia d'Italia abbia da sempre attratto così tanti studiosi stranieri. Modernizzazione è dunque il concetto-guida dei saggi contenuti nel volume. La stessa crisi degli anni novanta è dai più letta come sfasatura tra politica e economia, coinvolgendo la società civile. Non condivisibile, però, è la preoccupazione di Woolf, quando sostiene che il più recente calo di partecipazione degli italiani al voto e la disaffezione verso i partiti siano un segnale allarmante per il futuro della democrazia. Fermo restando che ad appuntamenti elettorali significativi l'affluenza è sempre oltre il 70 per cento, dovrebbe essere proprio la storia dell'Italia repubblicana a spiegare perché quei modelli di partito siano stati sconfessati e come sia venuto meno quel tipo di partecipazione politica più simile alla militanza ideologica. Resta indubbio che la maturazione di una liberaldemocrazia sconti anche la crescita della dose di individualismo diluita nella società. È soprattutto il saggio di Patrick McCarthy a sottolinearlo: l'eredità del Sessantotto e della sua rivolta antiautoritaria sta proprio in questo. L'Italia di oggi è figlia del boom degli anni sessanta e dell'avvento definitivo della società dei consumi.
C'è un'altra osservazione di McCarthy che merita attenzione: è un errore sperare troppo dalla società civile perché è stata modellata dalla classe politica ed essa stessa deve essere modernizzata. Persiste un'idea negativa dell'individualismo, pur praticato in abbondanza dai cittadini italiani. A giustificare tale idea le difficoltà incontrate nel passato a costruire una comunità nazionale. Manca ancora l'idea dell'individualismo come responsabilizzazione del singolo, titolare di diritti e di doveri verso la collettività. Gioca in questo un ruolo frenante anche la convinzione, per David Moss assai più radicata in Italia che nel resto d'Europa, secondo cui tutto ciò che si ottiene nella vita è strettamente connesso al background familiare. La politica italiana si è incaricata per decenni di avallare una tale convinzione e il "clientelismo sistemico" ne è stato la traduzione.
Danilo Breschi

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