Journey in Satchidananda

Il grande John Coltrane era scomparso ormai da tre anni quando sua moglie Alice Coltrane (nata McLeod) proseguiva nello sforzo di perpetuarne la memoria e seguirne le tracce. Non si trattava di esperimento calligrafici, “in stile”, volti a ripercorrere e ricostruire la musica del grande sassofonista, ma di un anelito a cogliere l’essenza della carica spirituale tanto presente negli ultimi progetti del defunto marito e compagno: il tutto unito ad una spiccata predilezione (ed è questo un tratto distintivo di Alice Coltrane) per gli aspetti più meditativi e inclini alla pratica dello yoga. Frutto di una seduta di incisione in studio con l’aggiunta di un brano dal vivo, l’album JOURNEY IN SATCHIDANANDA del 1970 (il riferimento è al guru Swami Satchidananda, di cui Alice era discepola) è uno dei risultati più convincenti. Circondata da musicisti fidati, alcuni dei quali a loro volta ex collaboratori di John Coltrane, Alice – concentrandosi sull’arpa – dirige e ispira Pharoah Sanders (a sua volta al solo sax soprano, mai tanto fedele alla lezione di “Trane” come in questo caso), Cecil McBee al contrabbasso e Rashied Alì alla batteria, con il contributo quanto mai indianeggiante di Tulsi alla tamboura e di Majid Shabazz alle campane ed al tamburello. Nell’unico brano dal vivo, che completa un album affascinante, troviamo il grande Charlie Haden al posto di McBee, e – invece di Tulsi e Majid – Vishnu Wood (più noto come contrabbassista) all’oud, vale a dire il liuto del mondo arabo, qui in bella evidenza. Un album storico, di grande impatto quanto pionieristico nel mondo di quella che sarà la World Music.