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Anno edizione:
Anno edizione: 1999
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Sch”nberg, Arnold, Leggere il cielo. Diari 1912, 1914, 1923, il Saggiatore , 1999
Borio, Gianmario (a cura di), Sch”nberg , Il Mulino , 1999
recensioni di Migliaccio, C. L'Indice del 2000, n. 07
Alla fine del ventesimo secolo gli appassionati di musica contemporanea possono usufruire della pubblicazione quasi simultanea di due interessanti volumi dedicati al padre delle avanguardie musicali novecentesche: i diari del periodo 1912-23 e una raccolta di vari contributi critici. Se all'inizio del secolo il fondatore della "Seconda scuola di Vienna" veniva vilipeso dalla critica e deriso dal pubblico borghese, oggi invece lo si riconosce unanimemente come un "classico" e soprattutto come il compositore che ha segnato tutta la storia della musica del Novecento. A lui si deve la più radicale rivoluzione del linguaggio musicale mai verificatasi, quella che ha portato il sistema tonale alle estreme conseguenze del suo sfaldamento e quindi alla definizione di un sistema alternativo, il dodecafonico, che doveva utopisticamente riformulare le regole e le prescrizioni su cui si basa il lavoro compositivo. Gli anni cruciali che vedono l'elaborazione di questa svolta vanno dal 1911 al 1923, ossia dalla pubblicazione del Manuale d'armonia, coeva alle opere "atonali", fino alla stesura della prima opera dodecafonica, la Suite op. 25 per pianoforte.
Proprio a questi anni appartengono gli scritti che ci vengono proposti nel volume, curato da Anna Maria Morazzoni, intitolato Leggere il cielo: si tratta di appunti, annotazioni sparse, qualche breve articolo e considerazioni soggettive varie, che presumibilmente vanno interpretati come schizzi di un'ipotetica autobiografia, o anche come liberi "monologhi interiori", frutto di un lavorio autoanalitico molto congeniale all'introverso carattere del compositore. Il lettore si troverà forse nell'imbarazzo voyeuristico tipico di chi legge diari e memorie tanto sincere. Certo, dovrà faticare a trovare frasi interessanti e illuminanti in mezzo a cose del tipo "ieri sera ho disdetto il concerto", "domani l'editore mi pagherà" oppure "ho pranzato con quel tale" - spesso un illustre sconosciuto - eccetera. E il Diario delle nuvole di guerra, da cui è tratto il titolo, scritto negli anni del conflitto mondiale - nel quale Schönberg si arruolò volontario - non si distingue molto da un semplice bollettino meteorologico, anche se ci viene presentato come sintomo della raffinata sensibilità visiva del musicista, nonché come "una maniera di esorcizzare la possibilità di morire a causa della guerra". In generale questi scritti ci forniscono comunque il ritratto di uno Schönberg nella sua più intima umanità, ossessionato da incubi e visioni della moglie defun-
ta, amareggiato dagli insucces-
si delle esecuzioni dei suoi pezzi e dalle conseguenti polemiche con i criti-ci, e soprattutto fervidamente animato da un'ansia di ricerca che lo spingeva a coniugare in modo sempre più stretto musica e pittura, azione e riflessione, teoria e pratica compositiva.
Ma per ricostruire i molteplici aspetti della complessa personalità artistica del compositore viennese occorreva in effetti una ricognizione dei più significativi contributi critici scritti negli ultimi anni; è ciò che Gianmario Borio ci propone nell'ampia silloge del Mulino, nella quale vengono tradotti dodici importanti saggi, alcuni inediti, di musicologi prevalentemente austriaci e tedeschi. Essi coprono l'ampio raggio delle variegate sfaccettature in cui Schönberg può essere studiato: innanzi tutto le relazioni interdisciplinari che la sua musica intrattiene con la poesia, sia nel senso di un'ascendenza letteraria sia come testo da musicare. Scrittori come George, Strindberg, Werfel e Dehmel (su cui si sofferma il saggio di Walter Frisch) furono le letture preferite del giovane Schönberg, e compongono il quadro di riferimento culturale cui il musicista attinse. Ma ugualmente fondamentali sono i rapporti con la pittura, in particolare con quella di Kandinskij (su cui scrive Klaus Kropfinger); all'artista russo egli era legato, oltre che da un cordiale rapporto di amicizia, da quelle numerose affinità estetiche che si concretizzarono nei rispettivi scritti, pressoché contemporanei, Lo spirituale nell'arte e Harmonielehre.
Comprendere la relazione tra Schönberg e Kandinskij vuol dire non solo ricostruire la cultura espressionista di inizio secolo, ma anche entrare nel vivo del problema teorico del rapporto tra musica e pittura, e quindi dell'autonomia dell'arte: mettendo entrambi come istanza primaria della creazione artistica la "necessità interiore" dell'opera, e grazie alle loro riflessioni incrociate su temporalità dell'immagine e spazialità dei suoni, i due artisti sono riusciti a dare una risposta equilibrata e approfondita a queste fondamentali questioni.
Se per capire la musica di Schönberg, anche nella sua autonomia, non si possono eludere gli agganci interdisciplinari, così non si può trascurare il suo pensiero estetico, che d'altronde è sempre congiunto con problematiche di ordine tecnico e materiale: in tal senso i saggi di Martina Sichardt, Rudolph Stephan e Carl Dahlhaus chiarificano in modo sintetico e con opportuni riferimenti analitici la non facile questione dell'origine del metodo dodecafonico, delle sue motivazioni estetiche, legate sia alla definizione del "pensiero musicale" - cioè dell'"idea" o della Gestalt motivica - sia al problema tecnico della "variazione in sviluppo", ossia di quel particolare procedimento compositivo che - per essere estremamente sommari - unisce la pratica contrappuntistica con quella sonatistica, al fine di garantire la consequenzialità degli eventi sonori e la coesione strutturale del pezzo. Si può affermare che questo sia il vero cruccio del pensiero musicale schönberghiano, ma anche un importante snodo teorico di tutta la riflessione musicologica contemporanea. L'analisi del Moses und Aron condotta da David Lewin, poi, è molto significativa, perché si rivolge a un'opera veramente sui generis: in essa, infatti, Schönberg concentra mirabilmente problematiche estetiche, religiose, autobiografiche, musicali e persino sociologiche, essendo basata sulla corrispondenza simbolica tra la proporzione Dio: Mosè: Aronne: popolo e quella pensiero: compositore: esecutore: pubblico.
Non meno interessanti sono, infine, i saggi dedicati all'influenza della cultura ebraica (Ringer), al sistema armonico delle tarde composizioni tonali (Martin Schmidt), allo Schönberg trascrittore di Brahms (Gülke), teorico dell'interpretazione (Danuser), pedagogo (Krämer) e animatore culturale (Szmolyan): infatti, oltre a essere un instancabile educatore e didatta, egli aveva fondato, nel 1918, l'"Associazione per le esecuzioni musicali private", in cui venivano eseguite le opere più significative del momento; secondo quanto lo stesso fondatore prescriveva, nelle sedute si dovevano evitare applausi ed elogi e si disdegnava deliberatamente ogni sorta di cerimonia e blandizia borghese: un'istituzione un po' elitaria, ma estremamente coerente, rigorosa e selettiva, come d'altronde erano lo stesso Schönberg e la sua arte tanto raffinata quanto per
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