Nel 1936 si concludeva la guerra d'Etiopia alla quale Ennio Flaiano prese parte come ufficiale. L'esperienza militare africana si sedimenterà più tardi nel primo romanzo dello scrittore, Tempo di uccidere (Longanesi, 1947), vincitore della prima edizione del Premio Strega. Rientrato a Roma, tra l'autunno del 1938 e l'estate del 1939, Flaiano indirizzerà nove lettere a Lilli, una ragazza norvegese conosciuta appunto a Roma. Pubblicate per la prima volta nel 1986, queste lettere appaiono nuovamente oggi in un raffinato libretto, con prefazione di Giuliano Briganti, corredato da alcune fotografie dell'autore e da alcuni suoi disegni che chiosano le lettere con immediata ingenuità, mentre altri rivelano un Flaiano impareggiabile e ironico falsificatore di francobolli. Si sarebbe tentati di definire queste missive "lettere d'amore" a una giovane scandinava che ha vissuto una breve stagione a Roma, ha frequentato Flaiano e i suoi amici, ha appreso in loro compagnia la dolcezza della vita romana e ha lasciato dietro di sé un persistente ricordo di vitalità e freschezza. "Lo sai che tutti ti vogliono bene a Roma?" le scrive Flaiano e aggiunge: "Ti sei fatta benvolere per la tua grazia, la tua bontà, e soprattutto per il tuo senso dell'umano". Di Lilli sappiamo poco o nulla, al di là di ciò che traspare in filigrana nelle lettere di Flaiano. Da una busta riprodotta nel libro apprendiamo che si chiamava Lilli Gierlow e che abitava a Oslo al n. 3 di Prusesgate. Pochi "indizi" che contribuiscono a rendere i contorni della figura di questa ragazza del Nord evanescenti e ancora più intriganti. Nel leggere queste lettere affiora insistente la sensazione che la sincera nostalgia che Flaiano prova per l'assenza di Lilli si confonda e si traduca in una più pungente nostalgia per la Roma condivisa con Lilli e per i rituali che entrambi hanno vissuto insieme agli amici romani. "Ti ricordi quelle serate, noi soli, in giro per Roma? E quella volta al Pincio vicino al busto di Leopardi? Adesso tutto cambia e anche le foglie cominciano piano piano a volare. Roma è immensamente bella". E poi: "La sera passo al Greco dove trovo Santangelo e Mezio. Lì ci guardiamo, parliamo e tutto finisce come il giorno precedente". Lilli appare e scompare nelle lettere di Flaiano. E questo apparire e sparire sembra voluto e fornisce al mittente l'occasione per parlare diffusamente del soggetto che ha accomunato i due e che gli sta fisiologicamente a cuore: "La città dalla quale pensare di allontanarmi non è quasi possibile". La Roma di Lilli e di Flaiano, come ricorda Briganti nella sua coinvolgente prefazione, è un misto delle tonalità violetto-arancioni dei tramonti romani dei quadri di Mario Mafai e di interminabili peregrinazioni notturne senza meta, dopo la chiusura dell'ultima trattoria. Dell'accompagnarsi e riaccompagnarsi vicendevolmente con amici quali Guglielmo Santangelo, Alfredo Mezio, Orfeo Tamburri "per allontanare ‒ nota Briganti ‒ il momento dell'arrivederci". È anche la Roma dei "quartieri" (quello di Flaiano è compreso tra piazza del Popolo e piazza di Spagna), nei quali si vive come in una cittadella fortificata e dalla quale uscire è fonte di insicurezza. "Sono riuscito, dopo mesi di sforzi continui, a portare Santangelo fuori dal suo quartiere" racconta Flaiano a Lilli. Sulla Roma di queste lettere, "così dolce" e un poco claustrofobica, incombono, quasi ignorate, le prime avvisaglie del conflitto che da li a poco sconvolgerà il mondo e anche la Norvegia di Lilli. Alfredo Ilardi
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