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Questa nuova edizione delle lettere di don Lorenzo ne contiene dodici in più dell'ultima raccolta e ignora diversi tagli, effettuati per ragioni non più attuali. Don Milani aveva nella lettera il genere di scrittura più consono al suo temperamento. Malgrado i testi siano sovente opera collettiva, puntano al "levare" attraverso una continua limatura e sono calcolati fin nelle virgole. Per convincersi della funzione illuminante accordata alla parola basterà citare una secca dichiarazione di poetica: "L'arte dello scrivere è la religione". E di seguito: "Il desiderio d'esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l'amore". Essere cristiano è la premessa del magistero. Altro punto chiave: "Non si può far scuola senza una fede sicura". La parola da ricercare e trasmettere con amore è la Parola. Al di là delle discussioni sull'eredità o delle annessioni propagandistiche che si sono fatte, il nocciolo ostico e antimoderno della lezione sta in questa asprezza profetica. E la scuola non è exemplum esportabile. È un'esperienza di santità, un cammino verso la "grazia di misurare le parole". Indifferente al brusio della politica come le aule ora vuote di Barbiana. La verità doveva affiorare come la grazia: quello era l'approdo. C'è chi la verità la conosce in partenza, chi ci arriva per vie tortuose. Per raggiungerla sono superflui i dogmi: "Io non li rammento mai perché ci credo". Se si vuol dare a don Milani il posto che gli spetta sarebbe il caso di non santificarlo tra le icone del buonismo democratico e digeribile. Il suo "anticlassismo" chi più parla di classi? era teso alla purezza dell'ascolto, all'eguaglianza davanti a Dio. Lasciò scritto ai suoi ragazzi: "Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non sia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto". Roberto Barzanti
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