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Ancora Poesia, con la maiuscola. Leggere le parole in inglese trascina in un mondo altro. Una magia di suoni, di affastellamenti, di ore ed ore passate a limare, come Michelangelo i suoi marmi, per poi tirarne fuori le forze dei suoi Mosè, le angosce e le bellezze delle sue Pietà. Ripeto, il verso non sempre mi facilita, non sempre è nelle mie corde. Anche qui, a volte mi perdo, a volte la frase è troppo complicata, rimanda a troppo altro che il mio scarso intuito non riesce a decifrare. Ma è affascinante, alto, intriso di bellezza. Ve lo consiglio.
Un’opera in versi di straordinaria bellezza che canta la “bellezza”. Consigliata soprattutto a chi ami sia la poesia di Derek Walcott sia la pittura impressionista. Del resto, Walcott, noto ai più come scrittore, era anche un pittore non improvvisato, come testimoniano molte delle copertine dei suoi libri pubblicati da Adelphi. “Il levriero di Tiepolo” è una sorta di un “romanzo in versi”, che ha per protagonista il pittore impressionista Pissarro, conterraneo del poeta, ma nato circa un secolo prima di lui. Credo che la poetica che ispira questo testo possa essere racchiusa nell’incipit del secondo capitolo: “La verità della vita ricordata dovrebbe essere/ una freschezza di dettagli”. Ecco, ho amato quest’opera anzitutto per l’impeccabile gusto del dettaglio e per la freschezza delle sensazioni, che possiamo cogliere in versi come : “goccia di pioggia o rugiada nell’incanto misurato/ sul palmo di una foglia, la comunione dei colori”. O : “la luce definiva la sua gioia sui moli”. O per le felici descrizioni come questa: “L’imbrunire autunnale sfumò/ in un cielo lilla, i petali dei lampioni s’accesero/ mentre sedeva alla finestra sorseggiando il tè che lui aveva servito,/ alzando e abbassando la tazza di porcellana/ con precisione da geisha, e una risata tintinnante”. Versi intarsiati da innumerevoli riferimenti, espliciti o impliciti, alla pittura e alla letteratura. Valga per tutti quel che scrive di Venezia: “I suoi pali erano la mia selva oscura”. Un viaggio nel tempo e nello spazio, nel quale “le vele delle pagine si girano” e noi, attraverso le parole del poeta, vediamo i colori e sentiamo i profumi del paesaggio e dell’arte.
Recensioni
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Eccolo: "Autunno e una bionda attraversa Christopher û / treccine a corona color pelle: Veronese. // Osservo. Una coppia di levrieri bianchi salta via da lei / sguinzagliata per spumeggiare fra le ginocchia di Atteone". Qui Walcott si paragona ad Atteone fermo a rimirare Diana nuda e perci= sbranato dai cani della dea. "Nella luce dorata quel noli tangere / che tiene la sua cornice e il suo distacco su una strada // quell'espressione che non ha parole da dire / come se fosse un affresco ripeterà // una vecchia divisione". Forse la bella intoccabile newyorkese ribadisce la condizione emarginata del vecchio voyeur-Atteone? L'antico tab· fra donna bianca e uomo nero? L'osservatore la spoglia mentalmente: "Quanti racconti / da raccontare fra lei e i suoi vestiti // (pur non cos8 elaborati come i broccati di Veronese); / ho aggiunto altri cani a quello del Tiepolo". I cani del desiderio? "Inarcato nel suo profilo dal muro / la bestia si gir= mi riconobbe e ringhi=". + il cane dell'affresco o uno dei levrieri della ragazza? La confusione è voluta. Ora per= torniamo senz'altro al Greenwich Village: "Poi fermando un taxi giallo-foglia la mia bella / le stratton= il collo e subito sparirono". A Walcott - Humbert Humbert perduta per sempre colei che già chiama la sua bella non resta che prendere uno "stanco taxi" e venirsene magari a Venezia alle cui calli e canali sono dedicate diverse pagine: "Dal mio stanco taxi che sferraglia verso il Kennedy / vedevo gli ultimi aceri insolenti in fiamme; // sul ciglio della strada alberi scheletrici erano in attesa / del fioco sole autunnale pietanza solita". Ma ancora la fine del canto riserva una visione che riporta il poeta alla sua ricerca ossessiva: "Mi girai e vidi correre dietro al taxi / û tra rami incrociati cartelloni un sottopasso-sudario // dal traffico fermo a singhiozzo û l'estasi ombrosa / di un bastardino nero che salta di là dal vetro".
Questo cagnetto in estasi questo "bastardo" è anche il grande Walcott un mago delle parole sontuoso Prospero che non cessa di stupirci. Certo la materia è ricca lutulenta e di non sempre immediata decifrazione come si è visto anche da questo brano abbastanza lineare che ho tentato di commentare. L'assenza di note all'eccellente traduzione di Molesini non facilita la comprensione ma dopotutto siamo adulti e non abbiamo sempre bisogno di essere imboccati. Se sappiamo che Kennedy è un aeroporto di New York bene se no pazienza. La scrittura di Walcott è appunto pittorica e musicale: quanti toponimi che ci fanno venir voglia di andarlo a cercare nelle sue isole a cui lui a differenza di Pissarro ritorna costantemente. Come la pittura e la musica la poesia paradossalmente non si lascia tradurre in parole. Oppure è sempre un po' al di là con l'intelligenza linguistica del maestro che compone in quel suo inglese pastoso.
E che dire della stranezza di un libro sulla pittura ma senza immagini? Non impareremmo di pi· da poche riproduzioni di Pissarro che da tutte le lunghe descrizioni delle sue tecniche e disavventure che fa Walcott? Rispondiamo che cercare per conto nostro le opere del pittore non potrà che arricchire la lettura ma dopo tutto il processo metaforico è reversibile: la pittura metafora della poesia è a sua volta solo parole dunque poesia ma parole-materia dunque pittura. E la musica presiede all'organizzazione del tutto introducendo ora il tema Pissarro ora il controtema levriero-Walcott e richiamandoci sovente al fatto che stiamo leggendo dei versi. E sotto questo trionfo di tinte e di suoni c'è l'amara coscienza storica del bardo moderno che ci parla da un mondo lontano: "Le nostre trib· furono scosse come semi da un setaccio. / I nostri dialetti ben radicati si sforzarono nell'esprimersi // e cosa restava di noi senza quella lenta fede / nella nostra natura? Non la Guinea non la Provenza (à) Camille Pissarro dovette udire il rumore / degli schiavi lamentanti la loro perdita e se li ud8 / tremano nei pioppi di Pontoise / le tremule elegiache lingue che dipinse".
Lo stile grande di Walcott potrebbe accusarsi di una sublimità vacua un ragionare enfatico che dobbiamo accettare a scatola chiusa sulla parola del poeta visionario. Vedi qui la spericolata metafora dei lamenti degli schiavi portati alle Antille che verrebbero ripetuti dalle "lingue" dei pioppi dipinti da Pissarro a Pontoise. Ma Il levriero di Tiepolo per quanto faticoso non è opera di un fumista e se ci affidiamo al ritmo lo possiamo gustare per quello che è: un poema complesso e appassionato che ripaga chi vi si consegni (un po' maniacalmente come il suo autore). Se potessimo disporre di una registrazione di Derek Walcott che legge le sue sonore storie e fantasticherie ci= varrebbe cento critiche e recensioni.
Massimo Bacigalupo
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