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Licenziare i padroni? - Massimo Mucchetti - copertina
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Licenziare i padroni? - Massimo Mucchetti - copertina
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Descrizione


Negli anni 90, la privatizzazione delle imprese pubbliche e le inchieste di Mani pulite sembravano favorire l'aumento delle grandi imprese e un'economia basata sulla trasparenza e la concorrenza. Il capitalismo italiano, invece, ha meno protagonisti di prima. I padroni hanno usato i soldi del mercato per regolare i loro conti anziché investirli nella crescita. Tra il 1986 e il 2001, solo la Fiat ha distrutto ricchezza per 27 mila miliardi di lire, mentre la Fininvest, che ne ha guadagnati 11 mila, è un caso unico nel panorama italiano. Nel paese che sogna il diritto al licenziamento senza giusta causa dei lavoratori, l'autore si chiede se lo stesso principio possa essere applicato agli azionisti, quando le giuste cause sono così frequenti.
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Dettagli

2004
Tascabile
10 maggio 2004
249 p., Brossura
9788807818196

Valutazioni e recensioni

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michele68
Recensioni: 5/5

Sono grato a M.Mucchetti perché il suo libro “ Licenziare i padroni?” mi ha introdotto nella letteratura economica italiana attraverso quattro storie italiane paradigmatiche. Ho fatto abbastanza fatica a portare a termine la lettura, infatti l’ho conclusa dopo alcune riprese dall’inizio, ma sono molto soddisfatto, visto che in questo modo sono riuscito ad apprezzarne i contenuti nella prospettiva di dare un senso alla proposta del titolo. Mi è piaciuto e lo tengo a portata di mano.

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enrico
Recensioni: 4/5

Il libro ha due gradi pregi: é scritto in modo chiaro e offre un'analisi lucida, ben suffragata dai fatti, delle vicende dei maggiori gruppi industriali del nostro paese. Anche le parti quantitative sono ben dosate e comprensibili. Ne esce un quadro poco lusinghiero e (credo) nel complesso poco conosciuto, con qualche indicazione interessante sui provvedimenti da prendere per evitare il ripetersi degli errori passati. Spero che lo leggano in tanti e che ne tengano conto quando dovranno orientare le loro scelte politiche

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roberto cocchis
Recensioni: 4/5

L'autore ce la mette proprio tutta: ma la materia, per i non addetti ai lavori, è di una barbosità letale, quindi si fa comunque fatica a finire il libro. Che dire del contenuto? In effetti, dimostra ciò che tutti sospettiamo: che, al di là delle quotidiane lagne tramite i mass media su burocrazia, "lacci e lacciuoli", "meno stato e più mercato", etc., l'imprenditoria italiana è prevalentemente in mano a personaggi i cui unici talenti risiedono nelle amicizie e nelle parentele. Un Bill Gates, qui, non combinerebbe nulla, non per la burocrazia, ma perché non è il cocco di nessuno che conta. In compenso si vedono cose che, se non facessero piangere, sembrerebbero inventate dai più brillanti umoristi: con quello che ha preso di liquidazione Paolo Fresco (il manager che ha dato il colpo di grazia alla Fiat), Agnelli avrebbe potuto mandare in crociera ai Caraibi, con tutte le famiglie, tutti gli operai di Melfi e Termini Imerese, invece che in cassa integrazione (pagata dallo Stato, quindi da noi). Insomma, ogni volta che vediamo in tv gente che viaggia nell'aereo privato e pretende di aprirci gli occhi sulle cause e i rimedi di una crisi che (si deduce facilmente dal linguaggio) è stata provocata da noi e dalla nostra perversa ambizione di voler trascorrere un'esistenza dignitosa, dovremmo sempre ricordare quei modi di dire popolari che esprimevano lo spirito del facile successo e della facile ricchezza: "Franza o Spagna, purché se magna", "Chiagni e fotti", e chi più ne ha più ne metta. Chissà che non gliele insegnino al MIT o alla London School of Economics, certe furberie.

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Voce della critica

Licenziare i padroni? A leggere il libro, che rivela dati economici analizzati attraverso uno stile narrativo brillante, verrebbe da rispondere di sì e senza neanche bisogno di riformare l'articolo 18. E chi sono i padroni licenziabili? Mucchetti ne individua quattro - licenziabili per motivi diversi - che rappresentano gli stereotipi dell'imprenditore italiano di fine secolo. Il padrone "classico", Giovanni Agnelli; il "banchiere", Vincenzo Maranghi; il "manager" rampante, Marco Tronchetti Provera; infine il "politicante", Silvio Berlusconi. L'intento del libro è quello di fornire una risposta alla seguente domanda: perché non si è imposto un cambio della rotta quando si era in tempo? Prima che Fiat, Montedison, Ferruzzi e Olivetti (baluardi del capitalismo privato italiano) franassero negli anni novanta? La tesi dell'autore è che durante gli anni novanta (gli anni della "Grande Occasione"), quando era presente sul mercato borsistico una grande liquidità, i capitalisti a capo delle maggiori aziende italiane non hanno approfittato della congiuntura favorevole per risollevare le sorti delle imprese di cui tenevano il timone. Avrebbero potuto generare quella ricchezza in grado di combattere la sottocapitalizzazione in cui le imprese si trovavano innescando un meccanismo virtuoso di sviluppo industriale i cui benefici sarebbero andati all'intera collettività. Invece hanno preferito assecondare la propria cupidigia e dall'alto delle proprie holding bruciare miliardi di vecchie lire in speculazioni finanziare piuttosto che investire in ricerca e sviluppo diventando (o meglio ridiventando) il volano dell'industria italiana. Hanno mostrato al paese l'avverarsi di due profezie (entrambe ricordate dall'autore). Quella di Luigi Einaudi sulle "piramidi societarie", che danneggiano le industrie in quanto danno potere ai manager, togliendo loro responsabilità, e quella di Enrico Cuccia, secondo cui il capitalismo familiare italiano si sarebbe trasformato da produttore industriale a erogatore di servizi. Mucchetti individua il seguente criterio per avallare la propria tesi: analizza la capacità delle imprese di generare (o distruggere) ricchezza per gli azionisti considerando il periodo 1986-2001 (ossia dopo il compimento della prima grande ristrutturazione industriale). I dati sono presentati in un'appendice di facile lettura anche per chi non è avvezzo a elaborare certi numeri. Il risultato è che nel periodo in questione le grandi imprese private (Fiat, Olivetti, Montedison, Pirelli) hanno distrutto ricchezza per migliaia di miliardi di lire. Hanno creato invece ricchezza lo stato (Telecom, Enel, Eni) e i privati che hanno continuato a innovare (Luxottica, Benetton, Fininvest). Tuttavia anche in queste imprese persistono anomalie: Tronchetti Provera è il manager che specula senza rischiare nulla di suo; mentre del caso Berlusconi l'autore ricorda i motivi per i quali il "nuovo Centauro" ha "scalato" niente meno che l'Italia, a cui, com'è noto, lui e i suoi prepongono il sostantivo "azienda". Grande occasione sprecata.

Giandomenica Becchio

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Conosci l'autore

Massimo Mucchetti

1953, Brescia

Laureato in filosofia all'Università Statale di Milano, è iscritto all'albo dei giornalisti dal 1981. È in quell'anno, infatti, che comincia l'attività da professionista sul quotidiano Bresciaoggi, organo di una cooperativa della quale è stato uno degli amministratori. Poi passa a Mondo economico, settimanale de Il Sole 24 Ore. Dal 1986 al 2004 ha lavorato all'Espresso dov’è stato vicedirettore. Attualmente è vicedirettore del Corriere della Sera. È stato titolare di alcuni corsi di teoria e tecnica del linguaggio giornalistico presso lo Iulm di Milano.Nel 2012 Feltrinelli editore pubblica una sua lunga intervista con il banchiere Cesare Geronzi, sotto il titolo Confiteor. Potere, banche e affari. La storia mai raccontata.

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