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La lingua nei lager nazisti - Donatella Chiapponi - copertina
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La lingua nei lager nazisti
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La lingua nei lager nazisti - Donatella Chiapponi - copertina

Descrizione


Lagersprache è detta la lingua usata nei campi di concentramento nazisti. Questo linguaggio era spesso costituito da un impasto plurilingue - con predominanza del tedesco - espressione della composita popolazione multietnica e cosmopolita internata. L'autrice disegna le caratteristiche di questa "lingua internazionale" centrata sulle necessità più elementari: "pane", "freddo", "dolore", "botte" erano i termini più usati di un linguaggio di sopravvivenza in cui la violenza fisica costituiva "una variante dello stesso linguaggio". L'impoverimento lessicale configurava un gergo essenziale, ridotto, estremo. Se questa era la lingua dei dominati, quella dei dominatori manifestava un distillato di violenza.
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Dettagli

2004
13 maggio 2004
140 p., Brossura
9788843030156
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Indice

Prefazione. Il lager come società complessa, di B. Mantelli/ La quotidianità nel lager: routine nel regno della morte/Breve introduzione al sistema concentrazionario nazista/Vocabolario della giornata tipo/I fatidici imprevisti: perquisizioni, controllo dei pidocchi, punizioni e selezioni/ La gerarchia sociale del lager: dominatori e vittime/Menschen e Untermenschen/La lingua: spartiacque tra sommersi e salvati/ La lingua dei lager (Lagersprache): considerazioni su un fenomeno complesso/Sono stato un Hàftling: memoria e testimonianze sulla deportazione nazista/Approcci di studio e ricerca/Il tedesco: la lingua franca dei lager/Le caratteristiche della Lagersprache/ La lingua dei dominatori/Il linguaggio della violenza: un mezzo per annientare la dignità umana/Il linguaggio di copertura: eufemismo e segreto/ La lingua dei detenuti/L'universo cosmopolita nei lager: il Lageresperanto/Il linguaggio eufemistico dei detenuti e la Tarnsprache/ Appendice/ Intervista a Liana Millu/ Intervista ad Anja Lundholm/ Intervista a Marta Ascoli/ Bibliografia

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monica
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Un linguaggio molto povero formato da solo alcuni vocaboli che a noi risultano incomprensibili ma per chi veniva condannato a vivere nei Lager nazisti, ognuno di essi aveva un valore inestimabile. Un vocabolo formato da un miscuglio di varie lingue che esprimeva un vero e proprio concetto o azione, una matita una gamella o un pidocchio ed altri ancora, potevano rappresentare la disperazione oppure una momentanea gioia per il prigioniero. Vocaboli conosciuti sia dai prigionieri che dai carnefici e per tutti esprimevano il medesimo concetto, ma ovviamente vissuto in una prospettiva ben diversa. Pochi vocaboli che esprimevano la cruda e misera realta' del Lager. Molto interessante.

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Non era il tedesco la lingua dei lager nazisti, per lo meno non il tedesco parlato e scritto che conosciamo. La lingua delle ss era un gergo violento e aggressivo, urlato, utilizzato per interagire con persone che, per lo più, ignoravano il tedesco. Specularmente, e proprio dal tentativo di creare un patrimonio comune di parole comprensibili, nacque la Lagersprache. A questa lingua, parlata da un gruppo isolato di parlanti di provenienza geografica disparata, costretti a vivere in condizioni di estrema eccezionalità, è dedicato il saggio di Chiapponi, germanista di formazione genovese. In cinque capitoli l'autrice compone un affresco della situazione linguistica dei detenuti nei lager e della lingua dei nazisti, mettendo in luce la funzione fondamentale del linguaggio nell'universo concentrazionario, inteso come strumento di interazione ai fini della sopraffazione, ma anche della sopravvivenza. Riprendendo le categorie di Wolf Oschlies (autore di uno dei pochi studi specifici sulla cosiddetta Lagersprache) e collazionando le numerose testimonianze dei sopravvissuti, Chiapponi descrive il gergo dei detenuti, che nelle memorie dei "salvati" diventa l'unico modo possibile per dare espressione al ricordo. Il saggio dedica anche un capitolo alla lingua dei dominatori, anch'essa lingua segreta, ricca di eufemismi, sigle e di altri espedienti volti a celare la disumana realtà dei campi (su questo aspetto poche sono le indicazioni bibliografiche). Risulta così chiaro che il tedesco dell'amministrazione dei lager, la lingua incomprensibile dei dominatori (ma non l'unica, si veda l'uso del polacco nei campi di sterminio dell'Europa orientale), non diversa dalla vulgata del regime hitleriano, viene per imposizione e ripetizione assimilata e utilizzata dagli Häftlinge ai fini della sopravvivenza. Mancava nel panorama italiano una disamina linguistica dell'universo concentrazionario: lo studio si pone, accanto all'ormai classico Lessico della violenza nella Germania nazista di Aldo Enzi (Patron, 1971), come utile raccolta di materiali per chi studia, dal punto di vista storico e linguistico, la lingua del nazismo.

Marcella Costa

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