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Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento - copertina
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Descrizione


La più completa e aggiornata monografia dedicata al Lotto, uno dei pittori più affascinanti e complessi del Rinascimento italiano. Il volume riunisce una selezione di capolavori appartenenti ai diversi momenti dell’iter creativo del maestro veneto e provenienti da importanti musei italiani e stranieri: dalle prime opere degli anni 1505-1510 (allegorie, ritratti, scene sacre), ai dipinti del soggiorno bergamasco, realizzati tra il 1513 e il 1525, alle pale d’altare e ai ritratti del rientro a Venezia, fino alle ultime opere del periodo marchigiano. L'analisi del percorso creativo di Lorenzo Lotto è affidata ai saggi di David Alan Brown, Peter Humfrey, Mauro Lucco, Augusto Gentili, Rosamond Mack, Louisa Matthew, Adriano Prosperi e Wendy Stedman Sheard. Con il volume di Francesca Cortesi Bosco, già edito da Skira, dedicato agli affreschi lotteschi dell'oratorio Suardi di Trescore, questa monografia rappresenta il punto di arrivo degli studi sulla complessa personalità di Lorenzo Lotto.
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Dettagli

1998
1 maggio 2002
240 p., ill.
9788881183517

Voce della critica


recensione di Frangi, F., L'Indice 1998, n. 7

Allestita dapprima alla National Gallery di Washington e quindi trasferita all'Accademia Carrara di Bergamo, la mostra dedicata a Lorenzo Lotto (Venezia, c. 1480 - Loreto 1556) è stata accompagnata da una fioritura editoriale piuttosto cospicua di cui sono testimonianza, oltre evidentemente al catalogo della rassegna, i due libri dedicati al ciclo di affreschi realizzato dal grande pittore veneziano nell'oratorio della villa Suardi a Trescore (Bergamo), pubblicati in singolare e non casuale contemporaneità da Electa e Skira.
Il fatto appare di per sé significativo, in quanto sottolinea la costante necessità, da parte dell'editoria storico-artistica, di sfruttare il volano pubblicitario garantito da una mostra di grande richiamo, risultando per contro sempre più evidenti le difficoltà in cui si imbattono le iniziative in qualche modo isolate, le quali, anche se di indiscutibile rilevanza, trovano spesso l'unica possibilità di realizzazione nell'intervento di uno sponsor, bancario o meno, disposto a sostenere l'impegno.
Non è difficile intuire come questa impossibilità di ottenere una vera e propria autonomia di tempi e di modalità realizzative trascini con sé conseguenze non del tutto edificanti per le pubblicazioni di storia dell'arte, prima tra tutte la prevalenza delle ragioni "esterne" (finanziamenti, occasioni espositive, ecc.) su quelle più intimamente connesse alla portata delle ricerche e degli argomenti trattati. Il tema non è evidentemente di poco conto e bisognerà, prima o poi, che lo si affronti con una riflessione più approfondita di quella consentita in questa pagina, che ha invece l'obiettivo di commentare proprio le recenti pubblicazioni lottesche, a cominciare ovviamente dal catalogo della mostra.
La prima considerazione che esso sollecita è di ordine banalmente dimensionale: a dispetto di quanto farebbero supporre la consistenza del personaggio e della letteratura a esso dedicata negli ultimi decenni, il catalogo ha infatti un aspetto piuttosto snello, che appare in tutto assecondato dal taglio estremamente succinto degli otto saggi che lo aprono, inaugurati da un intervento di Humprey che riassume in poche pagine le vicende a noi note della vita del pittore. Un compito non facile se si considerano il tormentato itinerario biografico di Lorenzo e i suoi incessanti spostamenti per l'Italia, dai giovanili soggiorni a Treviso (1503-1506), a Recanati (1506, 1510-1512) e a Roma (1508), fino alla lunga permanenza a Bergamo, dove risiedette dal 1513 al 1525, e quindi al rientro nella nativa Venezia e ai successivi andirivieni tra il Veneto e le Marche, dove il pittore morirà nel 1556, dopo essere divenuto, nel 1554, oblato della Santa Casa di Loreto.
I saggi che seguono, invece, affrontano con un taglio estremamente scorrevole e piano i vari nodi problematici dell'appassionante vicenda di Lotto, dall'identificazione delle fonti figurative del suo linguaggio (che Lucco propone di individuare soprattutto in Giovanni Bellini, Dürer e Raffaello), alla precisazione della posizione del pittore all'interno della crisi religiosa apertasi in tutta Europa dopo l'affermazione della Riforma protestante, e all'interpretazione del raffinato codice allusivo sotteso a molte opere dell'artista e in particolare ai ritratti, quasi sempre animati dall'inserimento di elementi simbolici connessi alle vicende del personaggio raffigurato: un tema oggetto di indagine da parte di Augusto Gentili, che già ha dedicato all'argomento numerosi interventi.
Nel loro complesso questi contributi brevi e di facile lettura consentono a chiunque di acquisire gli strumenti basilari per avvicinarsi al personaggio Lotto e fanno intendere come, nella dialettica sempre più difficilmente conciliabile tra le ragioni della divulgazione e quelle dell'approfondimento scientifico, i curatori della rassegna abbiano decisamente e "democraticamente" optato per le prime, rinunciando consapevolmente a fare sfoggio di erudizione e scegliendo, anche al cospetto di temi molto complessi, un approccio il più possibile lineare.
Un analogo tenore contraddistingue le schede di catalogo, nelle quali, più che sulle problema-tiche filologiche e sull'interpretazione in chiave squisitamente stilistica e poetica dell'opera, l'accento cade prevalentemente sulle questioni di carattere iconografico, che nel caso della pittura lottesca, come s'è accennato, assumono peraltro molto spesso un peso assai rilevante nella corretta percezione dell'opera. Lo documenta, a titolo esemplificativo, uno dei capolavori della ritrattistica di Lorenzo, vale a dire il "Ritratto di coniugi" del Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, la cui decifrazione semantica è stata oggetto di un lungo dibattito, innescato dalla differente lettura che di volta in volta è stata proposta tanto del biglietto con la scritta "Homo numquam" che il gentiluomo tiene in mano, quanto dello scoiattolo addormentato, che egli indica esplicitamente, e del paesaggio tempestoso che si apre sulla sinistra del quadro e che introduce un accento di inquietudine nell'atmosfera affettuosa che pervade il dipinto.Nella scheda del catalogo Lucco riassume le precedenti opinioni al riguardo e avanza un'inedita ipotesi interpretativa, secondo la quale il doppio ritratto sarebbe stato eseguito subito dopo la morte della donna, raffigurata per questo in una posizione decisamente più elevata rispetto al marito. Si spiegherebbero così gli occhi arrossati dal pianto del gentiluomo, il quale, indicando lo scoiattolo addormentato ed esibendo il biglietto, intenderebbe comunicare come, contrariamente all'animale, all'uomo non sia purtroppo mai concesso di dormire durante la tempesta, che difatti infuria fuori dalla finestra.
Assai suggestiva, la proposta offre la precisa percezione dei diversi livelli di lettura cui spesso è possibile sottoporre l'opera lottesca, sia nel campo della ritrattistica sia in quello della pittura religiosa, all'interno della quale soprattutto stupisce l'insistenza del pittore (anch'essa più volte rimarcata all'interno delle schede di catalogo) sul tema della prefigurazione del tragico destino di Gesù. Il motivo è infatti già chiaramente presente nella magnifica "Madonna col Bambino e Santi" del Museo di Cracovia (circa 1508), nella quale la posizione del Bambino, abbandonato in un sonno scomposto sulle gambe della Vergine, rimanda chiaramente a quella assunta da Cristo nella "Pietà", mentre nelle due composizioni di analogo soggetto - quella della collezione Camozzi Vertova (1522) e quella del Museum of Fine Arts di Boston - Gesù Bambino è addirittura rappresentato seduto su un cuscino funerario, a sua volta appoggiato sopra una piccola bara.
In merito a questa singolarità di opzioni iconografiche in campo religioso, l'esempio certamente più eclatante è peraltro costituito dagli affreschi dell'oratorio Suardi di Trescore, realizzati nel 1524, dunque nel cuore della stagione bergamasca di Lotto, e oggetto dei due volumi prima ricordati, simili anche nella concezione editoriale ("Gli affreschi dell'Oratorio Suardi a Trescore", e "Lotto. La Cappella Suardi di Trescore"). In entrambi i casi, infatti, grande attenzione è dedicata al repertorio iconografico, con una serrata sequenza di dettagli finalizzati a restituire la sobbalzante vivacità narrativa del ciclo, caratterizzato soprattutto dalla ben nota rappresentazione, sulla lunga parete di sinistra del piccolo oratorio, del Cristo-vite, i cui lunghi tralci sono invano aggrediti dai fondatori delle grandi eresie, scacciati a forza da sant'Ambrogio e da san Gerolamo.
Nei saggi che introducono a questa entusiasmante galleria di immagini, Francesca Cortesi Bosco (che già ha dedicato al tema un più articolato contributo, edito nel 1980) e Carlo Pirovano affrontano il commento degli affreschi da angolazioni leggermente diverse. La prima infatti privilegia l'inquadramento del ciclo nel contesto delle inquietudini religiose e dei catastrofismi serpeggianti per l'Italia settentrionale in quegli anni, soprattutto in conseguenza della diffusione delle idee luterane, e analizza in quest'ottica la riproposizione, da parte di Lotto, del motivo evangelico del Cristo-vite (Giovanni 15, 5), evidenziandone il significato antiereticale.Pirovano invece punta prevalentemente l'attenzione sulla straordinaria concezione impaginativa della decorazione, sottolineando in particolare l'atteggiamento di spregiudicata libertà con il quale Lotto inserisce, sotto i tralci di Cristo, le storie di Santa Brigida, in un susseguirsi di episodi che rinnegano l'unitarietà prospettica della parete per favorire il rapsodico fluire del racconto.Va rilevato, inoltre, come, nell'indagare le implicazioni iconografiche del ciclo, lo studioso approdi a conclusioni non del tutto coincidenti con quelle di Cortesi Bosco, negando in particolare l'identificazione del personaggio raffigurato nelle vesti di cacciatore sulla parete di destra dell'oratorio con un autoritratto di Lorenzo, e accantonando, di conseguenza, anche le complesse argomentazioni agganciate dalla studiosa a questa proposta. Sempre sul terreno dell'interpretazione iconologica degli affreschi, un'altra divergenza di non poco conto riguarda peraltro la stessa lettura del motivo centrale del Cristo-vite, che Cortesi Bosco e Pirovano interpretano indifferentemente come allusione sia a Cristo sia alla chiesa cattolica, mentre nel saggio di Adriano Prosperi pubblicato in catalogo si insiste sul fatto che l'immagine non rappresenta la vigna-chiesa, "bensì l'unica vite che vivifica i tralci: Cristo".Ne deriva che, secondo Prosperi, la scena non ha il significato di una celebrazione della struttura ecclesiastica in sé, proponendosi invece come equivalente figurativo di una tendenza ben radicata nella sensibilità religiosa di primo Cinquecento, quella cioè che intendeva riconoscere Cristo come unico fondamento e mediatore della fede.
Per quanto apparentemente sottili, simili "distinguo" implicano un consistente mutamento di registro nella comprensione del significato del ciclo e degli stessi orientamenti religiosi del pittore e dei suoi committenti bergamaschi, lasciando intuire come proprio questo sia il terreno sul quale la storiografia lottesca presenta le maggiori incertezze. A dimostrarlo basterebbe del resto il dibattito innescatosi qualche anno fa circa le presunte compromissioni del pittore con le idee protestanti, incentivato dalla notizia dei due perduti ritratti di Martin Lutero e della moglie che Lorenzo, come egli stesso annota nel suo Libro dei conti, eseguì nel 1540: un episodio che, alla luce dell'accertata e intensa ortodossia religiosa dell'artista, attestata costantemente dai molti dati biografici a nostra disposizione, risulta tuttora difficile da interpretare.
Sarebbe comunque grave dimenticare come, al di là dell'oggettiva rilevanza di queste discussioni, così come di quelle relative alla decifrazione dei raffinati rebus allusivi inseriti da Lorenzo nei suoi ritratti, la grandezza di Lotto stia in realtà altrove, nella palpitante e affettuosa verità psicologica dei suoi dipinti, nelle raffinatezze di lume che immancabilmente li pervadono, nella sostanziale, orgogliosa autonomia del suo linguaggio rispetto agli esempi normativi (Giorgione, Tiziano) della contemporanea pittura lagunare; in quell'ipersensibile vivacità del suo occhio indagatore, percepibile tanto nelle tavole preziose e smaltate, spesso smaccatamente düreriane, della sua stagione giovanile, come la "Giuditta e Oloferne" della collezione della Banca nazionale del lavoro, quanto nelle tele della maturità, come la strabiliante "Madonna col Bambino tra Santa Caterina e San Tommaso" del Kunsthistorisches Museum di Vienna, immersa in un mobile e naturalissimo gioco di luci e ombre al quale la pittura italiana ancora non aveva assistito.
È ben chiaro che veicolare queste qualità al grande pubblico è tutt'altro che facile. Rinunciarvi, però, sarebbe imperdonabile.

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