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Una lunga pazienza cieca. Storia dell'evoluzionismo
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Una lunga pazienza cieca. Storia dell'evoluzionismo - Giulio Barsanti - copertina
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lunga pazienza cieca. Storia dell'evoluzionismo

Descrizione


L'idea che le specie attuali, uomo compreso, si siano evolute a partire da forme precedenti inizia timidamente al principio del Settecento, si consolida verso la fine di quel secolo, dilaga nel corso dell'Ottocento (soprattutto grazie a Darwin) e riceve conferme sperimentali definitive nel Novecento. Ma è un'idea che si dipana in maniera tutt'altro che lineare, coinvolgendo discipline tra loro enormemente distanti. È la storia di chi ha tentato di leggere il grande «libro della natura» indipendentemente dal grande «libro delle Scritture», formulando ipotesi provvisorie che spesso hanno sollevato più domande delle risposte ottenute, ma proprio per questo hanno ampliato gli orizzonti della conoscenza. Una storia frastagliata, nel corso della quale è accaduto anche di imboccare strade che si sarebbero rivelate vicoli ciechi, o di fornire soluzioni soddisfacenti dopo aver azzardato ipotesi molto discutibili.
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Dettagli

2005
5 aprile 2005
XVI-424 p., ill. , Brossura
9788806173296

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Nicola
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Il libro è una ricostruzione del pensiero evoluzionistico dai precursori settecenteschi alla “Nuova Sintesi” degli anni Quaranta del Novecento. Adeguato spazio è riservato a Darwin, di cui viene demolito il “santino”, distinguendo le diverse fasi del suo pensiero e sottolineando come il grande naturalista non fosse immune dalla tentazione di estendere il principio della sopravvivenza del più adatto in ambito sociale. Il volume, rigoroso nella ricostruzione storica e accattivante nello stile, è impreziosito da note che svolgono riflessioni generali a margine di carattere epistemologico e storiografico.

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Voce della critica

A Darwin non piacevano le storie che finivano male: dovrebbero proibirle per legge, scrisse nell'autobiografia. Chissà cosa starà pensando adesso, osservando la storia della sua teoria e le schermaglie fra chi la considera morta e chi la venera come una reliquia intoccabile. Stando alla bellissima ricostruzione che ci propone in questo volume Giulio Barsanti, storico delle scienze naturali all'Università di Firenze, il lieto fine per il momento non si preannuncia.
La buona storia della scienza, come questa, non racconta finali prevedibili, non obbedisce a banali trame popolate di "precursori" e di continuatori, non si lascia affascinare dal vizio fatale di ricostruire il passato alla luce retrospettiva di un presente necessario. Vi è ben poco di lineare in questa storia dell'evoluzionismo: ci sono i "cattivi" che avevano torto per buoni motivi e i "buoni" che avevano ragione per pessimi motivi; ci sono "evoluzionisti" senza evoluzione, tradizionalisti che promuovono avanzamenti e progressisti che li sabotano; ci sono intuizioni prive di base empirica e teorie sbagliate ma corroborate; ci sono beffardi riconoscimenti postumi e baroni trionfanti su castelli teorici di sabbia.
Affinché la complessità delle storie evoluzionistiche, dai primi anatomisti proto-illuministi ai neodarwiniani, non si dissolva però in una molteplicità di rivoli è necessario ricorrere a un criterio dirimente, che Barsanti identifica nella relazione fra idee scientifiche e base empirica. Il che restituisce alla sua storia, tutto sommato, una certa tonalità progressiva. Di storia delle idee si tratta, e non di sociologia della scienza, una "moda" che l'autore rifiuta con gustosi spunti polemici. Tuttavia, per comprendere come sia giustamente possibile definire Darwin al contempo un "progressista whig" e un teorico del selezionismo sociale, un qualche riferimento alla cultura e alla società vittoriana sembrerebbe necessario, se non altro per rimarcare anche alcune differenze fra Darwin, Spencer e Galton.
Gli intermezzi in corsivo sono pungenti e sempre interessanti, soprattutto per il confronto fra le semplificazioni di alcuni modelli epistemologici e la ricchezza degli intrecci fra teorie, ipotesi e idee in campo evoluzionistico. Difficile parlare di rivoluzioni paradigmatiche in questo ambito, sostiene Barsanti: meglio inseguire le specificità storiche degli approcci, gli slittamenti di significato, le ambiguità interne delle teorie che si sono succedute. Si possono così apprezzare raffinatezze storiche come l'insospettabile evoluzionismo di Linneo, il profondo conservatorismo di Lyell, l'ambientalismo di Lamarck, il ruolo dei Vestiges di Chambers, il nesso cruciale fra selezione naturale e biogeografia, l'"inglobamento" di Lamarck da parte di Darwin, il contributo italiano di Daniele Rosa, lo sciovinismo lamarckiano in Francia, le divisioni all'interno della Sintesi Moderna.
Barsanti compie la scelta felice di lasciar parlare direttamente gli autori, evocati in lunghe ma mai pesanti citazioni, opportunamente chiosate. A volte è obbligato a essere un po' sbrigativo e alcuni, in primis la filosofia naturale tedesca e i catastrofisti, ne fanno le spese, ma alla fine il gusto della scrittura prevale (su tutti, valga lo spunto sulla "teologia botanica" di Duncan del 1825) accompagnando il lettore lungo il drammatico "romanzo di formazione" attraverso il quale la scienza moderna concepì le origini naturali di tutti gli organismi, specie umana compresa, laicizzando il mondo vivente. Un libro da non perdere, anche per l'ottima bibliografia, consultabile in una versione anche più estesa sul sito dell'editore.
Purtroppo l'autore non ha spazio per andare al di là di alcuni brevi cenni alla storia della teoria darwiniana dopo l'affermazione della Sintesi. Quindi l'arco temporale trattato si limita a non più di due secoli. Tuttavia, non mancano alcuni riferimenti importanti al destino del darwinismo e al suo presunto superamento. Barsanti propone, alla luce dell'originario pluralismo della proposta darwiniana, di considerare il neodarwinismo della Sintesi un "programma di ricerca" più esteso ma derivato coerentemente dal "primo Darwin". Potremmo aggiungere che oggi siamo in una fase in cui la Sintesi viene ulteriormente reinterpretata in chiave pluralista, mantenendo non soltanto il nucleo centrale della logica esplicativa darwiniana (selezionismo e continuismo), ma recuperando anche quello sguardo binoculare (della macroevoluzione e della microevoluzione insieme) che Barsanti considera brillantemente la migliore lettura del contributo darwiniano originario. Dunque, non soltanto Darwin non è morto, ma ritorna di attualità il suo "naturalismo" dopo le infatuazioni riduzioniste dei genetisti della prima Sintesi. Una bella risposta per chi ancora oggi parla di "diverse teorie" dell'evoluzione in contrasto l'una con l'altra e tutte egualmente congetturali: il dato empirico, combinato alla storia della scienza, rivela ben altro.
Ecco allora che alcuni scorci, come l'umiliante abiura imposta a Buffon o il furioso dibattito fiorentino del 1869 sulle origini dell'uomo fra Aljeksàndr Herzen, l'abate Lambruschini e il filologo Niccolò Tommaseo, inducono l'autore a sospettare che la "lunga pazienza cieca" non sia soltanto la definizione dell'operato dell'evoluzione biologica (come Sainte-Beuve volle definire la "nuda" visione lamarckiana della natura), ma anche la qualità migliore degli evoluzionisti, da due secoli obbligati a sostenere lo stesso tipo di polemiche. In tal senso, le pagine sulla teologia naturale inglese messa a confronto con l'Intelligent Design attuale e con i deliri antievoluzionisti di alcune testate giornalistiche italiane sono strepitose. L'errore di considerare Darwin un "santino" integerrimo non è nulla a confronto dell'ansia devota con la quale si cerca di celebrarne il funerale ogni volta che una scoperta sembra contraddirlo.

Telmo Pievani

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