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Esiste una sensazione più forte e difficile da spiegare di quella provocata dalla perdita personale??? L'argomento della "perdita" è sempre trattato da Mozzi, ma in questo libro è evidente una concentrazione di dolore molto chiaro!!!
Recensioni
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recensione di Turchetta, G., L'Indice 1998, n. 6
La caratteristica forse più vistosa dello stile di Giulio Mozzi è, mi si passi la contraddizione logica, il tentativo di sparire, di dissimularsi entro un linguaggio di calcolata, rigorosa sobrietà. Non c'è per esempio traccia di termini preziosi o colti o tecnici; anche le voci, per così dire, colorite, compaiono solo se necessarie a rendere il parlato: ma non è certo un caso che anche i dialoghi siano ridotti all'osso. Anche la sintassi appare sottoposta a un regime di drastica limitazione delle dipendenze complesse: stradominio della coordinazione; altissima percentuale di periodi monoproposizionali; i periodi materialmente lunghi, quando ci sono, rispondono all'esigenza di seguire il flusso di monologhi costruiti in genere per serie di elementi semplici.
Le scelte linguistiche di Mozzi discendono, in prima istanza, dall'esplicita opzione a favore di una poetica della "comunicazione", programmaticamente opposta a una poetica dell'"espressione". Ma questa poetica dipende a sua volta, più in profondo, da un'etica "forte", di non celate ascendenze religiose. Per Mozzi le parole devono essere al servizio della verità e delle "cose": cose non solo da rappresentare, ma da "fare". Sbaglierebbe di grosso perciò chi volesse accostare a una qualche forma di "minimalismo" la sua programmatica povertà stilistica, così come la sua minuziosa attenzione ai gesti e ai fatti minimi della quotidianità. Procedendo per slogan, Mozzi è piuttosto un narratore "massimalista", forse anche il più massimalista fra i nostri giovani narratori.
Per cercare di capirlo un po' meglio, consiglierei ai lettori di soffermarsi sul titolo del suo ultimo libro di racconti, "Il male naturale". Il parallelismo formale col titolo del libro precedente, "La felicità terrena", è flagrante: in entrambi i casi infatti c'è un sostantivo astratto relativo alla sfera della morale e dei sentimenti, preceduto dall'articolo determinativo e seguito da un aggettivo che rimanda alla materialità, e che però è anch'esso astratto. Lo stesso parallelismo di forme parrebbe d'altra parte sottolineare un'opposizione di significato. Invece, a ben guardare, i titoli sono quasi sinonimi. Per Mozzi infatti la "felicità terrena" discende necessariamente dalla corporeità, cioè quasi sempre dai rapporti carnali. Per questo essa produce fatalmente, "naturalmente", il "male", cioè sofferenze e colpe. Il "male" uccide la felicità, ma spinge anche a ritrovarla. D'altro canto la sofferenza, che non di rado coincide con l'espiazione, è l'unica strada che ci può riavvicinare alla "felicità terrena": e così via, all'infinito. Una simile filosofia spinge l'autore a un confronto costante e coraggioso con due grandi temi ricorrenti: la morte e il sesso, instancabilmente rimescolati in una vertiginosa dialettica cosmologica: "Tutte quelle che noi crediamo siano le immagini della morte sono in verità le immagini della continuazione della vita. Le vere immagini della morte sono quelle che noi crediamo essere le immagini della vita. L'attività del desiderio sessuale ci dà la sensazione di essere vivi e invece noi siamo animali che si riproducono perché siamo mortali". Mozzi è straordinariamente conseguente nell'affrontare le proprie ossessioni, e sa colpire al cuore con rappresentazioni davvero "forti", da far invidia ai più efferati cannibali. Un racconto come "Bella", che descrive dall'interno una situazione di grave handicap fisico, è già una provocazione; ma "Amore", che rappresenta direttamente un rapporto sessuale fra un uomo adulto e un bambino, è un autentico shock. Anche il lungo racconto "Super nivem" mette in scena una torbida vicenda di omosessualità e pedofilia: qui però Mozzi è tradito dalla propria stessa intelligenza, che lo spinge ad analizzare con acutezza e insistenza morbosamente barocche (e narrativamente esasperanti) il "male" morale del protagonista; tanto che al povero lettore viene da pensare, come a don Abbondio davanti al cardinale Borromeo: "Oh che sant'uomo! ma che tormento!".
Torna nel "Male naturale" (con esiti notevoli, come nel racconto "Un male personale") anche il tema della presenza allucinatoria dei cari morti, da cui era nato già un racconto come "Il bambino morto", forse il più potente della" Felicità terrena". Nel complesso però, pur confermando le qualità dell'autore, quest'ultimo libro ha risultati diseguali, con qualche pezzo davvero un po' tirato per i capelli. D'altra parte si ha la netta sensazione che, proprio per le ragioni sopra ricordate, Mozzi imponga ai lettori un "aut aut", che rende inservibile il bilancino di "poesia" e "non-poesia": o siamo disposti a un corpo a corpo con esperienze e valori estremi, o è meglio che ci ritiriamo.Io credo che valga la pena di raccogliere la sfida.
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