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Descrizione


La lunga marcia per i diritti civili in America parte da lontano e non è ancora finita
Il primo fumetto vincitore del National Book Award


«Forse gli americani lo hanno dimenticato. E pochi hanno più titoli di John Lewis per ricordarsi che aspetto ha la democrazia»The New York Times

Oggi tendiamo a pensare che i risultati conseguiti dal movimento americano per i diritti civili siano stati un atto dovuto della democrazia, quasi un esito inevitabile del progresso sociale. Furono invece la dolorosa conquista di uomini e donne, spesso giovanissimi, che dovettero patire violenze indicibili lungo il corso di una protratta stagione di disciplina quotidiana, di addestramento alla non-violenza, di determinazione incrollabile verso uno storico obiettivo di giustizia. John Lewis, protagonista principe di quella stagione, consegna oggi a questo acclamato memoir in forma di graphic novel il vivido racconto dall’interno della lunga, e a oggi incompiuta, marcia americana per l’uguaglianza
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Dettagli

2017
Tascabile
20 aprile 2017
121 p., ill. , Brossura
9788804679202

Valutazioni e recensioni

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Francesco
Recensioni: 5/5

Sono un appassionato della nona arte e penso che il fumetto sia il mezzo ideale per esprimere l'azione, il movimento, l'evoluzione e l'impatto di temi importanti con un linguaggio nel contempo semplice e diretto. Questa graphic novel mi ha fatto ripensare e riflettere come tematiche che oggi diamo per scontate nel mondo occidentale, ma che fino a "pochi decenni fa" non lo erano, quali l'uguaglianza e il diritto di essere trattati da pari a pari, permangano di attualità in un mondo in continua evoluzione e che le rivoluzioni pacifiche portano sempre nel lungo termine a migliorare ed arricchire la società.

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n.d.
Recensioni: 4/5

Bellissima Graphic Novel, comprerò altri

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Andrea C.
Recensioni: 4/5

“Because of you”. Barack Obama sa che senza John Lewis non sarebbe salito su quel podio di fronte al Campidoglio. Per questo, dopo aver prestato giuramento come 44° Presidente degli Stati Uniti, consegna nelle mani di Lewis un biglietto su cui ha scritto tre semplici parole: “E’ merito tuo”. Perché se nel ’59 a Nashville John Robert Lewis non avesse deciso di sfidare le leggi razziali sedendosi al bancone di un fast-food per chiedere un sandwich, non ci sarebbe stato nessun primo Presidente nero della storia americana, nessuna Aretha Franklin che canta “My Country, 'Tis of Thee” di fronte a mezzo milione di persone in delirio, nessun Obey trasformato nello street artist più cool del pianeta grazie alla Hope obamiana. Eppure, nonostante gli insulti, le minacce e i lividi collezionati negli anni, pochi conoscono la sua storia. Siate onesti: quanti di voi, quando si parla di diritti civili degli afro-americani, non pensano a Martin Luther King o a Malcolm X? Di certo non vi verrebbe in mente questo vecchio pastore battista cresciuto tra i campi di granoturco a Troy, in Alabama. Per rimediare, leggete March. Se in Django Di Caprio non vi era simpatico o se avete sbadigliato guardando Selma, questa è la storia (a fumetti) che fa per voi. È una storia straordinaria, perché racconta di come un uomo, armato solo del suo coraggio e di una fede incrollabile, possa far saltare il Sistema. Senza esplosivi. Senza armi. In un’epoca in cui Facebook non esisteva e l’hashtag #BlackLivesMatter non era ancora stato inventato. Qualcuno potrebbe obiettare che i suoi sforzi sono stati vani, perché oggi alla Casa Bianca c’è Trump e il KKK non è scomparso (ha semplicemente sostituito i cavalli con le auto). Ma è proprio per questo che la sua storia va letta. Per sapere quali danni provocano i seminatori d’odio. Quindi mettete da parte i fumetti Marvel e leggete la storia di John Lewis, capace di sconfiggere i nemici senza l’aiuto di superpoteri. Scoprirete che i supereroi esistono davvero.

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Voce della critica

“…Jim parlò del boicottaggio dei bus a Montgomery, di pacifismo, di non-violenza. Parlò di Gandhi, un piccolo uomo dalla pelle scura che in India, seguendo la via della non-violenza, aveva liberato un intero popolo.  E di come applicare la non-violenza, sull’esempio di King a Montgomery, in tutta l’America – sia a sud che al nord -  per sradicare alcuni dei mali che dovevamo affrontare: il male del razzismo, il male della povertà, il male della guerra. Jim Lawson ci trasmise l’urgenza di sviluppare la nostra filosofia, la nostra disciplina, la nostra conoscenza. Le sue parole furono una liberazione. Eccola, pensai… Questa è la via”

Sono queste le parole di un ancor giovane John Lewis, protagonista del libro, dopo aver sentito l’orazione di Jim Lawson nel 1958.

Ed è proprio la vita di Lewis ad essere rappresentata nella prima graphic novel vincitrice del National Book Award. La vita di Lewis, dicevamo, dalla sua infanzia nella contea di Pike, in Alabama, al suo impiego alla Cannon House Office Building, nel presente.

La narrazione inizia con un flashback del protagonista, oggi deputato al congresso degli Stati Uniti, una delle figure fondamentali nel movimento per i diritti civili (lui c’era durante il famoso discorso “I have a dream” tenuto da Martin Luther King nel 1963, al termine della Marcia su Washington; anzi, lui fu il sesto oratore quel giorno: “Di tutti quelli che parlarono alla marcia, sono l’unico ancora al mondo”, dice Lewis). Il flashback ci mostra uno degli episodi più rilevanti del movimento per i diritti civili: la marcia del 7 marzo 1965 a Edmund Pettus, in Alabama (il “Bloody Sunday”). Ma ci lascia in sospeso; verrà sicuramente ripreso nei prossimi due libri della trilogia.

Non spaventatevi: non c’è bisogno di conoscere la storia dei movimenti civili per la libertà degli Stati Uniti per comprendere questo libro. Questa è la storia di un uomo che ha cambiato la propria vita e quella di tutti gli americani seguendo i semplici dettami della non-violenza. Certo, semplici per noi, che parliamo a distanza di decenni, e che non immaginiamo nemmeno la possibilità che i nostri diritti vengano lesi in base a questioni razziali (ma siamo sicuri di essere così lontani da questo mondo?)

Quello che colpisce più di tutto, in questo primo volume, è la determinazione dei protagonisti. Ci si ritrova almeno un paio di volte ad avere un groppo in gola, mentre si legge la fermezza e la volontà dei giovani studenti di colore (e non solo) che, di fronte all’aggressività, alla discriminazione, agli insulti, alla privazione di ogni libertà elementare – come sedersi a mangiare nello stesso posto dei bianchi – reagiscono con la non-violenza. Un esercito addestrato a rispondere ad ogni offesa o brutalità con niente più che indifferenza. Addestrati a subire, a difendersi senza attaccare, guardando negli occhi il proprio aggressore per indurlo a fermarsi. Una tattica che, con le sue drammatiche conseguenze, funziona. Funziona. 

I disegni sono funzionali alla storia raccontata. Ombrosi, tetri, in scala di grigi scuri; a volte anche troppo scuri (il rischio è quello di annacquare il tratto a lungo andare), ma quando ci si trova davanti alle tavole nere, nerissime, in cui il profilo dei visi dei protagonisti è reso attraverso il bianco, non ci si può non scoprire a bocca aperta. La composizione della vignetta rimane piuttosto libera, all’americana, anche se alcune tavole sono rigide, soprattutto quando la narrazione prende il sopravvento sul disegno. Molti sono i vuoti, spesso completamente neri; qualche volta bianchi. Quei vuoti dicono più di mille parole.

Recensione di Eros Colombo

 

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C’è nelle nostre società democratiche e pacificate una violenza sopita. È una violenza che si scatena nel momento in cui l'ordine sociale viene minacciato, ed è dunque su questa stessa violenza — o perlomeno sulla sua possibilità — che l'ordine si fonda. È la violenza che le donne e gli uomini neri d'America hanno dovuto affrontare nel momento in cui hanno iniziato a rivendicare rispetto, libertà ed eguaglianza. Ai linciaggi d’inizio Novecento sono seguite nel Dopoguerra le stragi e gli omicidi mirati: dalle bombe di Birmingham (1963) alle fucilate di Charleston (2015), dal cadavere di Medgar Evers a quello di Malcolm X, il bilancio provvisorio è quello di una piccola guerra civile.

Pluripremiato oltreoceano, March racconta un pezzo di storia del movimento per i diritti civili attraverso gli occhi dell’attivista nero John Lewis, oggi deputato democratico. Lo sceneggiatore Andrew Aydin, specialista dell’argomento, non ha difficoltà a riempire ben tre volumi con la cronaca dettagliata delle lotte, delle manifestazioni, dei discorsi e delle negoziazioni che hanno portato alla fine (formale) della segregazione razziale in America. Tutto all'opposto del Maus di Art Spiegelman, cui qualcuno lo ha paragonato, March è essenzialmente un documentario: non è alla massa indistinta dei personaggi che si affeziona il lettore, semmai alla loro causa. Nate Powell tratteggia in bianco, nero e grigio un’idea vintage di America già codificata in tempi recenti da autori come Darwyn Cooke; ma a differenza del compianto disegnatore di New Frontier, qui Powell si prende la briga di mostrare ciò che si nasconde dietro la facciata scintillante del sogno americano.

Suonerà strano ma leggendo questo libro ho pensato ai racconti dell’orrore di H. P. Lovecraft, a Cthulhu nella sua dimora di R'lyeh che attende sognando: sogna corpi bastonati, bruciati, impiccati che penzolano dagli alberi come gli strani frutti cantati da Billie Holiday — «black bodies swinging in the southern breeze…». Scegliendo di rifiutare il ricatto dello status quo, i militanti afroamericani hanno risvegliato una forza oscura, un mostro dalla pelle bianchissima.

March descrive quella strategia di lotta che porta l’oppressione a rendersi visibile attraverso la pratica della nonviolenza. Non stupisce che molti dei leader della protesta, per cominciare da Martin Luther King, fossero pastori protestanti: la loro strategia era la stessa degli antichi martiri cristiani, riletta alla luce dell’esperienza di Gandhi. La storia del movimento per i diritti civili è stata anche la storia di un’educazione alla disciplina necessaria per condurre questa lotta: sopportando le ingiurie e subendo le percosse, accettando il rischio e resistendo alla tentazione del radicalismo. Era stato proprio un albo a fumetti pubblicato nel 1957, Martin Luther King and the Montgomery Story, a diffondere quel messaggio tra gli afroamericani e a ispirare John Lewis. Mezzo secolo dopo lo stesso fumetto è servito da modello per March, che da parte sua mira a un pubblico perlopiù bianco per il quale (diciamocelo) un ripasso su questo pezzo di storia non è certo inutile.

Mentre al cinema un thriller geniale come Get Out o un documentario come I’m not your negro (per non parlare della serie Dear White People su Netflix) hanno cercato di mostrarci come appare la nostra società agli occhi di un nero — spoiler: un luogo terribilmente ostile e minaccioso — questo libro prova a ricordarci che è esistita, pure se un sacco di tempo fa, una parentesi di speranza.

 

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Conosci l'autore

John Lewis

1920, La Grange, Illinois

Pianista, compositore e arrangiatore statunitense di jazz. Dal 1946 al '48 lavorò con Dizzy Gillespie (Two bass hit, Emanon), nel 1949-50 fu collaboratore di Miles Davis con il gruppo «cool» (Rouge, Move, Budo); dal 1952 si rese noto soprattutto come pianista e «mente» del Modern Jazz Quartet, in cui mise in luce la sua cultura musicale di gusto euro-colto, espressa anche in altri gruppi della Third stream.

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