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Matera, i Sassi - Amerigo Restucci - copertina
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Dettagli

1991
1 gennaio 1997
VIII-301 p., ill.
9788806126674

Voce della critica


recensione di Abbate, F., L'Indice 1992, n. 6

Matera "tiene forma di uccel senza coda, di cui la città admurata è il corpo, la piazza et magazzini mezzo murati è il collo e la testa, due borghi che vi sono uno... detto Sasso Barisa: no, l'altro... detto Sasso Caveoso son l'aie" (E. Verricelli, "Cronaca di Matera nel regno di Napoli", 1595).
"Giace una parte di essa (Matera) in due profonde valli, e la terza parte sopra gli altri luoghi che signoreggiano all'anzidette valli... Comanda il banditore che ciascuna famiglia di quelle valli, tramontato il sole, incontinente dimostrino il lume davanti le loro case... Onde cosi eseguito, pare a quelli che sono nella terza parte della città sopra il colle, di vedere sotto i piedi il cielo pieno di vaghe stelle distinte in diverse figure... invero è questo un curioso spettacolo, da vedere ed anche udirlo narrare" (L Alberti, "Descretione de tutta l'Italia, et isole pertinenti ad essa", Venezia 1596).
"La città è di aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde, nelle quali, con artificio, e sulla pietra nativa, ed asciutta, seggono le chiese sopra le case, e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e morti la stanza. I lumi notturni la fan parere un cielo disceso, e stellato" (G. B. Pacichelli, "Il Regno di Napoli in prospettiva", Napoli 1703).
La suggestione che la particolare conformazione di Matera emana agli occhi degli antichi viaggiatori appare evidente in questa piccola antologia di "descrittori" che Amerigo Restucci opportunamente riporta, ad arricchire di antiche testimonianze questo suo reportage sul fenomeno Matera, reportage che è insieme storia, critica (specie delle vicende che hanno portato, nel secondo dopoguerra, allo svuotamento dei Sassi, divenuti così una sorta di "grande maschera vuota"), proposta; ma in cui, soprattutto, il testo appare un accompagnamento discreto ed essenziale (e in questo mi pare consistere uno dei pregi essenziali del libro) ad un racconto bellissimo, per immagini, dovute all'obbiettivo acuto ed indagatore di Pino Dell'Aquila.
Non so se il fascino esercitato dalla stranezza "curiosissima" di Matera, per dirla col Pacichelli, vada visto nell'ottica di una lettura un po' troppo simbolica che mi pare di cogliere nelle pagine di Restucci. Non credo infatti che vi siano veramente punte di critica sociale, di stigmatizzazione, o di moralistica presa di distanza nelle testimonianze di quei descrittori. Potremmo tutt'al più cogliere un tratto di garbata, e non certo scandalizzata, ironia in quelle parole dell'Alberti in cui si racconta come i "maggiori della città", cioè gli abitarti della Civita, la parte alta di Matera, "ordinano tanto spettacolo", l'illuminazione serale dei Sassi, per il puro piacere di vedere, sotto i loro piedi, una sorta di cielo stellato alla rovescia.
La magia di Matera era, ed è, tutta estetica, o tutt'al più "antropologica . La suggestione che emana dai Sassi è palmare, anche a non voler dimenticare che nasceva da un'organizzazione di vita al limite della "sopravvivenza organizzata". Non sempre, intatti, la bellezza estetica va di pari passo con la felicità della gente, anzi molto spesso si è storicamente sviluppata proprio sulla pelle delle classi subalterne. Ma non perde per questo il suo valore.
Così quel finto cielo stellato sotto i piedi degli abitanti della Città, ottenuto con una vera e propria "violenza estetica" nei confronti dei subalterni abitatori dei Sassi, non avrà mancato comunque di rappresentare uno straordinario spettacolo La contraddizione è evidente (e rimandiamo volentieri alla bella pagina di Riccardo Musatti che Restucci riporta a p. 275), ma cogliere questa contraddizione è un problema "politico" di noi moderni che è assurdo proiettare su epoche remote. Ed è la contraddizione che non a caso ha fatto nascere il caso Matera, "vergogna nazionale", con il conseguente abbandono dei Sassi e il problema attuale del loro destino e riuso.
La prima parte del libro ripercorre brevemente la storia di Matera, anzi le sue varie "storie", "differenziate dal ruolo che i modi di vita assumono per la particolare orografia del sito". Se infatti nel corso del medioevo è soprattutto lo sperone che divide le due valli dei futuri Sassi ad essere in prevalenza abitato, a partire dal XV secolo, con un processo che va sempre più intensificandosi nei secoli successivi, iniziano a popolarsi proprio le due valli. Inizia dunque la "storia" dei Sassi, e inizia una crescente divaricazione tra le vicende di Civita in alto, "vera città nella città", sito egemone, e non solo per collocazione, e i Sassi, luogo di sempre maggiore subalternità. E, all'interno dei Sassi, la differente situazione dell'abitare in case costruite o nelle grotte scavate nel tufo determinerà un'altra sostanziale divaricazione.
La seconda parte del volume è costituto dal percorso fotografico dei Sassi. La terza, affrontando le vicende di Matera nel nostro secolo, dal momento in cui la città lucana diviene un "caso" sociale e politico ricordiamo la definizione dei Sassi data da Carlo Levi: ("hanno la forma con cui, a scuola, immaginavo l'inferno di Dante") all'abbandono di quei "gironi" infernali da parte degli abitanti, entra direttamente nell'attualità. Siamo di fronte a problemi sui quali Restucci è già intervenuto in pubblicazioni precedenti, e sui quali si sente naturalmente più coinvolto. È questa del secondo dopoguerra una storia abbastanza ambigua per Matera, in cui populismo, illusioni illuministiche, speculazione e scelte politiche già definite a livello centrale s'intrecciano a segnare una vis che finirà per essere tortuosamente ma inesorabilmente e direi catastroficamente segnata: lo svuotamento dei Sassi.
La "soluzione", per così dire, di un problema ne apriva altri, ugualmente drammatici: il fallimento degli insediamenti alternativi, La Martella Borgo Venusio, Serra Venerdì e il degrado progressivo dei Sassi, conseguente al loro abbandono, degrado che impone oggi scelte concrete e non più rinviabili in ordine al loro "riuso".
Su questo intreccio di problemi la critica di Restucci è decisa, specie nei riguardi degli interventi di Piccinato e il suo ignorare "a livello operativo la possibilità concreta di un restauro, almeno parziale, dei Sassi" e contemporaneamente tentare "assurde ricostruzioni dell'atmosfere del vicinato", cioè l'organizzazione. dei rapporti di vita o anche di economia familiare all'interno dei Sassi, "nel quartiere di Serra VenerdI o nel Borgo Venusio".
Il riuso. Come per tutti i beni monumentali che hanno perso la loro originaria funzione e che non è possibile "musealizzare" (prospettiva assolutamente impensabile per i Sassi, a meno di non volerli trasformare in una sorta di "foro romano della civiltà contadina", come ebbe a dire con molta efficacia Carlo Levi, o in una "necropoli di un mondo agricolo-contadino", come si esprime Restucci) l'unica alternativa ad una progressiva distruzione è appunto il "riuso". Quale riuso allora per i Sassi, che non comporti, tra l'altro, costi troppo onerosi per la collettività?
Restucci ricorda come nel 1973 venisse bandito un concorso "per ricevere contributi alla soluzione del problema", e come il progetto "meglio classificato", quello coordinato da Tommaso Giuralongo prevedesse "un risanamento destinato in parte a residenze in parte a funzioni legate ad un'uso fatalmente turistico della zona".
Essendo questa la via che "sembra aver imboccato la comunità materana", un libro come questo di Restucci (e, ci sia consentito di dirlo, di Pino Dell'Aquila) ci pare un contributo importante per una battaglia che è ancora in corso ed è tutt'altro che vinta, una battaglia per impedire, e diamo la parola direttamente a Restucci, che i Sassi diventino "solo un campo di applicazione per tecnologie di consolidamento" (per esplicitare l'affermazione dell'autore, Dio ci scampi dal grigio e famigerato "stile Soprintendenza", o peggio £"stile Provveditorato alle Opere pubbliche" che ancora vediamo continuamente all'opera in tante parti d'Italia), "bensì un laboratorio dove far convergere le più aggiornate metodologie del restauro conservativo"-e vorrei esplicitare: conservativo degli antichi valori, delle antiche tecniche costruttive, degli antichi materiali -, "soprattutto quelle rivolte alle calcareniti che costituiscono il materiale costruttivo di gran parte dell'areale mediterraneo".
E allora "l'uscita dal mito, quale banco di prova dei prossimi anni, spinge a scoprire ed attivare precise capacità, professionalità e funzioni"

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