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La materia e la mente. Lezioni di epistemologia evolutiva - Max Delbrück - copertina
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La materia e la mente. Lezioni di epistemologia evolutiva - Max Delbrück - copertina
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1993
1 gennaio 1997
XXXIV-327 p.
9788806132804

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La mente nasce dalla materia? Da questa domanda scaturisce il viaggio attraverso la scienza - all'origine di questo libro - che Max Delbrück proponeva ai suoi studenti in California. La scienza classica si fonda sul postulato che la mente umana sia un assoluto, in grado di rispecchiare leggi assolute sulla materia, lo spazio e il tempo. Il pensiero contemporaneo rinuncia invece a questo punto di vista, che riproduce il dualismo cartesiano tra mente e materia, abbandonando le rappresentazioni ingenue e semplificate dell'universo: ciò impone anche un nuovo modo di vedere il rapporto tra mente e materia: la prima ci appare infatti meno psichica, la seconda meno materialistica. Il principio ispiratore del lungo cammino dalla materia alla mente è la teoria dell'evoluzione: capitolo per capitolo siamo condotti attraverso l'evoluzione del cosmo, della vita, della specie umana, del sistema nervoso, del cervello, della percezione e cognizione; e di qui allo sviluppo delle formazioni logìche come la teoria dei numeri, la teoria degli insiemi, la decidibilità matematica, fino ai problemi della psicologia e della riproduzione artificiale dell'intelligenza. Chi sia interessato a indagare il rapporto tra idee scientifiche e problemi filosofici fondamentali, troverà in Delbrück una magnifica guida, oltre che un quadro sintetico e autorevole della scienza contemporanea, interpretato da un maestro del nostro secolo.

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Voce della critica


recensione di Santucci, D. - Alleva, En., L'Indice 1993, n.11

Il mercato editoriale sforna di continuo libri sui determinanti bioevolutivi - o specificamente neurobiologici - della mente umana: ed è certamente l'anelito a conoscere i meccanismi del proprio pensare, ricordare, riflettere, oppure a comprendere i processi che regolano gli stati emozionali del lettore, la ragione del successo di queste opere. Un simile florilegio editoriale è un segnale al passo con il procedere tumultuoso delle scoperte relative ai meccanismi di regolazione cellulare o molecolare di singoli neuroni o delle loro associazioni in fasci, nuclei, insiemi reticolari ed emisferi: lodevole è dunque lo sforzo dei singoli ricercatori che si impegnano a divulgare i risultati più salienti delle proprie ricerche - o almeno di quelle di loro colleghi più direttamente impegnati nell'attività di laboratorio.
È questa fame di informazioni relative all'ansia esistenziale del lettore - desideroso di scoprire il funzionamento nei propri meccanismi mentali - che ha forse determinato due anni orsono l'interesse editoriale di volumi quali "Consciousness explained" di Daniel Dennett (in italiano "Coscienza", Rizzoli, recensito da Paolo Leonardi e Luciano Mecacci su "L'Indice", luglio 1993) e di altri simili volumi di analisi critica dell'architettura della mente umana, delle sue particolari espressioni linguistiche, della storia filogenetica dell'umana consapevolezza. Né sono mancati gli epigoni italiani, in questa marea di volumi e di saggi che propongono spiegazioni almeno semplicistiche dei processi mentali umani e animali: opere talora mediocri e non prive di inesattezze anche clamorose - comunque ignare dei principi elementari della biologia evoluzionistica, ovvero dei modi con i quali la storia della vita sulla Terra ha forgiato le variopinte topologie dei tanti sistemi nervosi e le associate funzioni di regolazione fisiologica - incluse le funzioni superiori dell'intelletto dei mammiferi e dell'uomo.
Un discorso a parte merita "La materia e la mente", volume che spazia dall'evoluzione del cosmo, della vita, del genoma (insieme di cromosomi) dell'uomo e soprattutto dall'organizzazione cerebrale fino ai principi generali della fisiologia percettiva e visiva: non tralasciando elementi di base delle materie fisiche quali caso, tempo, spazio, ordine numerico, "decidibilità" - e dedicando un capitolo ciascuno alla teoria della relatività e a quella dei quanti. Se non altro perché il libro porta una firma illustre, quella del premio Nobel Max Delbrück, fisico tedesco emigrato come molti altri scienziati negli Stati Uniti verso la metà degli anni trenta.
Delbrück è allievo del grande fisico danese Niels Bohr, e la sua formazione rivela tutti i dolorosi postumi delle grandi trasformazioni avvenute in seno alla scienza fisica alla fine del secolo scorso. Dal maestro erediterà la volontà di estendere il principio di complementarità ad altre discipline, e - consapevole che oggettività e determinazione assolute non sono categorie di questo mondo - si affaccia alla biologia per evidenziarne gli aspetti di "fisicità", volendosi però mantenere lontano dall'approccio riduzionistico canonico nel caso delle scienze "esatte" e ritenuto da molti inadeguato per quelle "naturali". È tra i pionieri della biologia molecolare - che ancora non sa neppure di chiamarsi così - cui darà un contributo fondamentale. Dopo il Nobel - e prossimo alla pensione - tiene una serie di lezioni al California Institute of Technology (il famoso Caltech di Pasadena) nell'ambito del breve corso su argomenti che lui definisce di "epistemologia evolutiva": gli appunti (registrati) di quel ciclo di venti lezioni, che costituiscono il libro, sono stati pubblicati con il permesso della vedova solo dopo la morte del conferenziere, come doviziosamente spiegato nella premessa e nell'introduzione di Gunter Stent - noto biologo - e di altri ricercatori di grido.
Nell'elegante e piacevole traduzione di Claudio Bartocci, il libro racconta come a partire dalla materia inanimata esplosa dal Big Bang, passando per il brodo primordiale, i nostri antenati del primo quaternario improvvisarono una mente che finirà per osservare la materia di cui è fatta: percezione, cognizione, linguaggio e dualismo cartesiano, presentati come prodotto del naturale evolversi del vivente a partire dall'inanimato. Nella fretta delle pagine, troviamo poche ma incisive righe per la doppia elica di Watson e Crick e molti "eroi" restano dimenticati tra quelli che hanno contribuito al progresso delle conoscenze nelle tante storie di scienza di cui ci racconta il libro. È una corsa pazza tra "le capacità cognitive dell'uomo, così come espresse nelle varie scienze". Si viaggia tra i numeri, naturali, razionali, primi, dentro gli insiemi, l'infinito e gli assiomi - rallentando solo nelle curve strette di qualche dimostrazione poco euclidea. Tutto è logico finché tra paradossi, introvabili interi di Fermat e proposizioni indecidibili di Gödel, si perde la strada: la matematica non è più completa n‚ consistente. Si riparte con la meccanica di Newton, per orbite eccentriche, equilibri di certezze fino alle nubi di Kelvin, l'impossibilità di mancare un etere che ci garantisca dalla quarta impercepibile dimensione, l'effetto Doppler, la relatività. E poi ancora, di corsa, tra i concetti portanti della fisica, le "unità di misura" che ci permettono di "strutturare" la realtà delle impressioni sensoriali, chiare cause e chiari effetti, ma poi arrivano Planck, Heisenberg e Bohr: la descrizione esatta del fenomeno non è più concessa, particelle e onde perdono la loro identità e noi con loro. Dal mondo dei numeri alla costante di Planck inesorabilmente si arrendono le modalità intuitive a priori di percezione dello spazio e del tempo che ci sono proprie.
Allo stesso modo secondo Delbrück, altre modalità intuitive dovranno arrendersi - tutti assieme con Alice nel paese delle meraviglie - per trovare "l'approccio formale che permetta la grande sintesi tra mente e materia". L'autore crede fermamente, dopo questa panoramica storica del progresso delle scienze fisiche, che analoghi "salti conoscitivi" saranno possibili per quelle discipline che tentano di spiegare il funzionamento dei processi mentali della specie umana. E se il progetto d'insieme proposto da Delbrück rimane in qualche modo confuso, gli spunti di riflessione per il lettore curioso davvero non mancano. Tuttavia, trattandosi di un libro edito nel 1986 a partire da una serie di lezioni del 1977 e che spazia in uno spettro così ampio di argomenti, alcuni capitoli soffrono di acute inesattezze e di un mancato aggiornamento bibliografico.
Ma è proprio la parte sulla quale si fonda il presupposto del libro - dove la mente dovrebbe materializzarsi sapendo rispecchiare leggi e regole della materia non vivente per trasmutarsi in un'entità biologica sulla quale le caparbie forze darwiniane dell'evoluzione si sono accanite - elemento basilare per quest'opera di rifondazione logica - a rivelare una notevole fragilità, se non una sostanziale infondatezza.
L'evoluzione del cervello è infatti proposta nella tanto pedante quanto erronea visione secondo la quale procederebbe verso un successivo complicarsi e soprattutto ingrandirsi delle varie forme vertebrate per culminare in quell'essere quasi perfetto e angeliforme - l'immagine di un Dio creatore? - provvisto del migliore (e dunque più voluminoso) "organo del pensiero". Cervelli cioè sempre più grossi con l'incedere del "progresso" evolutivo, per giungere seguendo una retta via darwiniana al grandioso 'cerebrum' del bipede intelligente, l''Homo' sedicente 'sapiens'. Il cane diviene allora "animale mediamente intelligente" - e noi non siamo assolutamente d'accordo - il tapiro stupido, la scimmia, essere dalle fattezze antropomorfe, rientra invece nella categoria degli organismi intelligenti. Dal merluzzo al cavallo, passando per la rana, l'alligatore e l'anatra - riprendendo lavori ampiamente criticati degli anni settanta - viene ricostruita un'immagine antropocentrica e idolatra del sistema nervoso centrale dei vertebrati che tende, neanche tanto dissimulatamente, a rappresentare un cervello umano quale prodotto ultimo e definitivo dell'evoluzione darwiniana. Si cade nello svarione di non considerare biforcazione evolutiva che notoriamente è stata imboccata dagli uccelli (cervello d'anatra incluso) che nessuna continuità evolutiva possiede con il cervello dei mammiferi, ambedue le classi provenendo dal multiforme universo dei rettili coniugato per milioni di anni col polimorfo insieme di dinosauri e assimilati.
Tale visione "per livelli successivi ma lineari di complicazione" viene addirittura riproposta - qui l'uccello è ancora tra la tartaruga e l'uomo - per le cellule del Purkinje, a voler dimostrare, con piacevole ma incolto tratto grafico, la crescente complessità dei neuroni cerebrali - segno certo di complicazione e sofisticazione nei modi di interagire e di funzionare, forse anche di pensare. Purtroppo per l'autore, non c'è dato funzionale che supporti questa delicata e graficamente accattivante "complicazione" neuronale, n‚ le funzioni servite da tali determinanti cellulari procedono linearmente dal più semplice al più complesso (uomo).
La storia del progressivo forgiarsi evolutivo dei sistemi nervosi dei vertebrati è ben altra, e narra che anche gli organi deputati al pensare sono sottostati alle identiche regole di evoluzione e coevoluzione che hanno prodotto forme, dimensioni e stili di crescita, arti e appendici, penne, peli e organi di senso, e tutto ciò che definiamo vivente, rappresentando la risposta di adattamento di un certo insieme di geni (organismo) a una particolare nicchia ambientale. È seguendo queste semplici regole di filogenesi ecologica che finalmente il cervello rintraccia la propria evoluzione per divenire quel sofisticato elemento accessoriato di aree ed escrescenze, frutto semplicemente dello stile di vita degli esseri che ne fanno uso.
Il cervello dei pipistrelli - mammiferi volatori - è costruito in modo tale da permettere movimenti rapidi nello spazio in tre dimensioni, in parecchie delle specie dotato di un sofisticato meccanismo di ecolocazione, n‚ è un cervello atipico, ovvero un'eccezione alla regola - considerato che i pipistrelli rappresentano circa una terzo del mammiferi che vivono sul pianeta Terra. Per non parlare del cervello dei cetacei - delfini inclusi - che dovendo regolare la funzione del sommozzare e del muoversi nuotando nelle tre dimensioni dello spazio con la complicazione neurofisiologica dell'apnea prolungata, viene anch'esso regolarmente dimenticato in tutte le "storie evolutive semplificate" del cervello che propongono stadi di successiva ma lineare crescita di complessità.
Il cervello dei delfini non è più o meno evoluto: è semplicemente altamente diversificato ('highly derived') per la definizione del noto neuroevoluzionista Terry Deacon). Delfini che sono in realtà una sorta di iene terrestri ridivenute esseri acquatici per le curiose sorti delle forme viventi del pianeta, e che da questi "cicli e ricicli" della storia evolutiva hanno subito sostanziali riarrangiamenti nelle gerarchie degli organi di senso, come nei relativi nuclei di controllo cerebrale - fattori questi che modellano forme e funzioni del cervello. Il gigantesco cervello del delfino è dunque una rovina per tutti gli schemi ultrasemplicistici di evoluzione cerebrale ed è perciò colposamente eliminato dalle correnti figurazioni. Il cervello delle scimmie, oggetto di notevole indagine scientifica nell'ultimo decennio, rivela sconcertanti, ma semplici regole, secondo le quali forme e dimensioni cerebrali sarebbero correlabili esclusivamente allo stile di alimentazione delle varie specie.
Insomma, il libro è incentrato su un cospicuo equivoco di fondo, e la tesi che porta avanti è debolissima: anche se la sua lettura, soprattutto per le parti restanti, stimola riflessioni e prospettive d'interpretazione acute e originali. E non si può attribuire a un autore morto che il suo libro non firmato da vivo diventi un testamento poco difendibile. Altre affermazioni del libro sono verosimilmente estratte dalla registrazione non autorizzata dall'autore, e hanno ben poco a che fare con la materialità dell'intelletto, come a pagina 85: "Ma le piante differiscono dagli animali, come la Germania dalla Francia: nell'avere una centralizzazione molto minore. La Germania venne smembrata e pure continuò a prosperare. La Francia senza Parigi e Parigi senza la Francia sono inconcepibili"...
C'è da chiedersi se, oltre all'ansia di avere in catalogo qualcosa che metta insieme mente ed evoluzione, altro abbia motivato l'editore Einaudi a proporre un'opera così desueta e in fondo così poco completa. C'è da chiedersi se si tratti di un'operazione di archeologia editoriale, cioè il voler riproporre con questo testo un punto di partenza criticabile per successive discussioni e aggiornamenti. Riempie però di costernata perplessità la quarta di copertina, dove al lettore viene nascosto che l'autore del libro è deceduto nel marzo 1981 (forse per rendere "contemporaneo" il libro?), e che contiene lo svarione secondo il quale sarebbero state le ricerche sulla fisiologia della visione (in realtà ben poco memorabili) a fargli tributare il Nobel? Max Delbrück ottenne il meritatissimo premio (con S. Luria e A.D. Hershey) per gli studi pionieristici e illuminanti sul virus batteriofago - il "fago" dei nostri libri liceali - e resta una delle figure eminenti della biologia di questo secolo. Anche se questo libro non ne è forse un'adeguata celebrazione.

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