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Mezzogiorno e modernizzazione. Elettricità, irrigazione e bonifica nell'Italia contemporanea
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1986
1 gennaio 1997
XII-418 p.
9788806592387

Voce della critica


recensione di Rossi Doria, M., L'Indice 1987, n. 4

Da alcuni anni, malgrado la giovane età, Giuseppe Barone studia e pubblica saggi su alcuni temi, che in questo libro sono trattati in un completo, definitivo e coerente quadro d'insieme. Il libro merita particolare attenzione per tre diversi motivi che conviene successivamente esaminare: l'importanza delle tematiche e delle vicende studiate; i materiali e il metodo in base ai quali esse sono studiate; gli stimoli alla discussione, al consenso o al dissenso, che dalla lettura scaturiscono sia per le conclusioni che dai fatti narrati l'autore esplicitamente ricava, sia per quelle che nel testo risultano implicite.
I rapidi e decisivi progressi della elettrotecnica negli ultimi anni del secolo scorso e i primi del nostro, consentendo il trasporto a distanza dell'energia, hanno aperto nuovi orizzonti sia per la produzione e utilizzazione dell'energia stessa e di quella idroelettrica in particolare sia per gli effetti che ne potevano derivare nello sviluppo economico del paese.
L'uomo politico, che prima e più coerentemente si rese conto della eccezionale importanza per l'Italia di una tale novità, fu Francesco Saverio Nitti, che aveva allora poco più di trent'anni e stava per entrare in parlamento. Già in due suoi saggi del 1901 egli aveva presentato le sue idee al riguardo, ma queste trovarono più chiara formulazione e maggiore ascolto col volume del 1905, dal titolo "La conquista della forza". Attorno a queste idee si formò subito un concreto movimento di azione, al quale, oltre al Nitti e ad altri politici della sfera giolittiana, parteciparono alcuni dei gruppi finanziari e industriali allora più intraprendenti e, quel che più conta, alcuni dei tecnici e dei giovani funzionari statali più intelligenti che il Paese abbia mai avuto.
Nel primo capitolo Barone ricostruisce la formazione di questo eterogeneo ma compatto gruppo di azione, le coerenti linee del disegno politico perseguito, l'iter delle leggi e degli altri provvedimenti che ne hanno favorito la graduale realizzazione, le connessioni che allora cominciarono a stabilirsi tra una moderna politica dell'energia, una diversa e più efficace politica dei lavori pubblici e, in particolare, della bonifica e della difesa del suolo. Così facendo si veniva ad affrontare in modo nuovo la questione meridionale, impostasi finalmente proprio in quegli anni all'attenzione del paese. Secondo Barone "alla fine del primo decennio del XX secolo andava maturando una più organica consapevolezza della questione meridionale come problema essenzialmente idraulico, da risolvere nel quadro di una democrazia industriale governata da un nuovo blocco di potere fondato sull'alleanza tra industriali elettrici, tecnocrati riformatori e politici radicali, secondo un disegno preconizzato da Nitti sin dal 1907".
Dopo questa fase iniziale, culminata al tempo in cui Nitti fu ministro dell'agricoltura, industria e commercio, i successivi sviluppi lungo le linee dello stesso disegno si ebbero nel corso della guerra (quando Ivanoe Bonomi, ministro dei lavori pubblici nel governo Boselli, eman• il decreto con il quale si riordinava finalmente la legislazione sulle acque, "fornendo uno strumento legislativo di grande efficacia per una moderna politica in materia") e particolarmente nei primi anni del dopoguerra, alle cui tematiche e vicende è dedicato il secondo affascinante capitolo della prima parte del libro. Siamo abituati a considerare i primi anni seguiti alla "grande guerra" come anni di disordini sociali, di idee confuse e di governi deboli, tanto più sorprendente e importante appare, perciò, il quadro che di quegli anni ci dà Barone mostrando come allora siano "venuti a maturazione, proprio per effetto della guerra, processi di trasformazione avviatisi nel mondo contemporaneo fino dagli anni 80 del XIX secolo" e con i quali - si potrebbe aggiungere - abbiamo ancora a che fare anche oggi dopo tanti successivi mutamenti. "Il punto centrale-scrive Barone - riguardava la trasformazione della realtà italiana in una moderna società di massa, che reclamava strumenti di intervento e di sviluppo qualitativamente diversi rispetto all'Italia liberale".
"In questo senso - continua il Barone e val la pena di riportare per intero questo passo del suo volume perché ne presenta la tesi principale - il disegno modernizzatore più lucido e conseguente sarebbe venuto proprio dai quadri del nittismo e del socialriformismo. Ossia il progetto di rifondare su più solidi supporti l'egemonia borghese, con riforme istituzionali e di struttura che ampliassero le basi sociali del consenso, spezzando il blocco di potere agrario-industriale suggellato dalla svolta protezionistica del 1887, per sostituirlo con un nuovo e più articolato blocco sociale incentrato sull'alleanza tra industria moderna, tecnici e politici riformatori, che altro non era se non il disegno abbozzato da Nitti sin dal 1907, cui la congiuntura postbellica tornava ad imprimere un profilo decisamente operativo".
Come un tal disegno abbia preso forma e forza nei pochi anni che precedettero l'avvento del fascismo è mostrato dal Barone nel corso di questo capitolo. In esso sono, infatti, accuratamente ricostruite e interpretate le vicende, oltre che dei processi dell'industria elettrica e della legislazione in suo favore, della costituzione e del primo avvio dell'Opera Nazionale Combattenti, concepite come istituto per la pronta realizzazione di una moderna bonifica delle migliori zone costiere del Centro e Sud Italia e come ente di riforma agraria. Sono qui ricostruite, inoltre le tappe e le vicende di quello che avrebbe dovuto diventare il programma economico e sociale di un governo riformatore che nascesse dal possibile accordo tra socialisti e popolari. Il preannunzio e la chiara formulazione di questo programma si ebbe nel giugno 1920 col celebre discorso di Filippo Turati "Rifare l'Italia", a base del quale era l'idea di "una temporanea alleanza tra gruppi industriali e finanziari in espansione e forse politiche riformatrici, i cui primi obiettivi avrebbero dovuto essere la valorizzazione industriale del Sud e la disarticolazione del blocco agrario meridionale".
Già in questo capitolo Barone mostra contro quali ostacoli e quali incomprensioni di fatto urtava un tale avanzato e ragionevole disegno. Nel terzo capitolo di questa parte - dedicato alle successive vicende nei primi anni del governo fascista - il peso degli ostacoli e delle incomprensioni risulta prevalente e determinante di un diverso corso delle cose tanto da portare alla sconfitta dell'ambizioso piano nittiano e socialriformista, malgrado che alcune delle sue linee di azione continuassero ad essere seguite, e fossero anzi arricchite, come è il caso delle costruzioni idroelettriche, della legislazione per la integralità della bonifica e di una più moderna ed efficace organizzazione del ministero e della politica dei lavori pubblici. Barone ricostruisce in particolare i termini dei contrasti interni della politica economica fascista dei primi anni, le vicende e il significato della riforma Cornazza e della controriforma Sarrocchi del ministero dei lavori pubblici nonché le ragioni della vittoria conseguita dall'organizzazione dei proprietari fondiari meridionali. Barone considera anzi questa ultima come causa principale della sventurata fine del coraggioso progetto di modernizzazione del paese e del Mezzogiorno.
Di particolare interesse in quest'ultimo capitolo della prima parte sono i passi nei quali Barone accenna ai modi nei quali i protagonisti dell'orgoglioso progetto elettroirriguo reagirono alla loro sconfitta. Mentre per i politici - Nitti, Turati - e per qualcuno dei tecnocrati politicamente più impegnati, come Ruini, non ci poteva essere altra via che l'esilio all'estero o in patria, per gli industriali e finanzieri e per la maggior parte dei tecnocrati non fu difficile adattarsi e inserirsi nella nuova realtà fascista. Per evitare una débƒcle completa era perciò necessaria una strategia flessibile, che alla fermezza dei principi associasse una disponibilità al compromesso politico che, per le imprese capitalistiche di bonifica, fosse almeno tale da "garantire i notevoli investimenti fondiari già effettuati dagli elettrobancari nelle regioni meridionali" e per i tecnocrati non chiudesse la strada per continuare in qualche modo nel nuovo regime - che dimostrava chiaramente di averne bisogno - la loro opera gli intelligenti ed operosi funzionari, tecnici o giuristi.
Nella seconda parte del libro, più lunga della prima, intitolata "I quadri regionali", sono appunto narrate le vicende delle singole iniziative e imprese capitalistiche per la bonifica, la irrigazione e la moderna conduzione agricola avviate in quegli anni con capitali elettrobancari nel Mezzogiorno e nelle isole, dalla estensione delle irrigazioni in Sicilia (Conca d'oro e Piana di Catania), alla costruzione dei laghi silani e alla dipendente azienda agricola in val di Neto, a varie iniziative in Puglia, sino ai grandi serbatoi in Sardegna e alla creazione della azienda agricola di Arborea (allora Mussolinia) e alle iniziative nelle Paludi Pontine.
In questa seconda parte, oltre alla ricostruzione delle specifiche vicende regionali, molta luce si fa su uomini e cose d'Italia in quegli anni. È opportuno, tuttavia, qui ricordare quel che ho detto all'inizio e che vale per tutto il libro, ossia il fatto che ciascuna delle vicende narrate, delle imprese avviate o realizzate, delle leggi emanate come ognuna delle idee o delle opinioni dei numerosi protagonisti è ricavata dallo studio attento di infiniti documenti scoperti dall'autore in un gran numero di archivi pubblici e privati selettivamente adoperati. Si potrebbe, perciò, dire che questa, che è narrata come una singola storia unitariamente concepita, risulta di fatto da un gran numero di microstorie, ciascuna delle quali è in sé compiuta ed esaurientemente documentata.
Convinto come sono della eccezionale importanza del libro, penso che sia anche opportuno accennare alle critiche e alle discussioni cui esso si presta. Appare, anzitutto, convincente la critica già formulata da altri (Bevilacqua su "il Manifesto") che "nell'insieme il programma del fronte modernizzatore, così come Barone lo ricostruisce, risulta sopravvalutato e idealizzato"; tuttavia non si può negare che esso abbia dato un taglio nuovo a molti problemi e alla stessa impostazione della questione meridionale. Concepito, come fu, come un programma realizzabile in pochi anni e nelle circostanze economiche e politiche degli anni in cui fu concepito e avviato, esso fu certamente una utopia incapace di incidere seriamente sulla realtà quale era. Visto, tuttavia, a distanza di oltre cinquant'anni, alla luce di quel che si è realizzato negli ultimi decenni in condizioni tanto diverse da quelle di allora, a quel programma va indubbiamente attribuito il valore di una impressionante anticipazione dei programmi dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno in questo dopoguerra in alcune delle sue parti più valide.
C'è, penso, anche da dire che nella ricostruzione di quelle vicende - ed è a questo titolo che il libro va giudicato - la mancanza di tre ordini di considerazioni sorprende in un ricercatore così attento e accurato quale è il Barone: l'assenza di ogni riferimento alla inflazione e ai conseguenti mutati rapporti tra i prezzi, che ha dominato tutti gli aspetti della vita negli anni in cui il progetto riformatore prese consistenza; l'assenza di ogni riferimento al contrasto, che tanto evidente risultò in seguito, tra la utilizzazione dei serbatoi ai fini della produzione di energia elettrica e quella ai fini della irrigazione; e, infine la mancanza o la povertà di riferimenti alla posizione e alle relazioni degli interessi idroelettrici meridionali rispetto ai generali interessi della industria elettrica nazionale prevalentemente concentrati nel nord, viste nel quadro della riorganizzazione della intera industria italiana nel primo dopoguerra.
La correzione di queste lacune, a mio avviso, porterebbe a modificare, almeno, due delle conclusioni, l'una esplicita e l'altra implicita, che il Barone trae dalla storia da lui narrata. Nel terzo capitolo della prima parte Barone afferma - e dimostra con ricchezza di particolari - che i veri affossatori del programma modernizzatore sono stati i proprietari fondiari meridionali, con il loro "Comitato promotore dei consorzi di bonifica", guidato da Ferdinando Rocco, fratello di Alfredo, autorevole ministro di Mussolini. Nessuno può certo negare il carattere reazionario, il peso politico in quel momento e quella che Barone chiama "la capacità di aggregazione interclassista" degli agrari meridionali, ma attribuire loro la parte prevalente nell'affossamento del programma modernizzatore significa non tener conto del contemporaneo processo, ben più decisivo, di adeguamento e inserimento dei gruppi industriali e degli stessi elettrici nel regime fascista e dell'ovvio abbandono o ridimensionamento dei programmi elettroirrigui meridionali nel quadro della riorganizzazione della industria italiana nella nuova situazione.
L'ultima osservazione, che la lettura di questo bellissimo e importante libro suscita, riguarda la implicita ispirazione di fondo del libro stesso che ha indotto Barone a sceglierne l'argomento e anche a sopravvalutarlo e idealizzarlo. Nella brevissima premessa con la quale il libro comincia, Barone lo colloca nell'ambito di una nuova storiografia, libera "dalla subalternità ad opzioni culturali precostituite", volta a "superare la tradizionale analisi e denuncia delle cause della questione meridionale" e a "misurarsi con una immagine più complessa e meno stereotipata del Mezzogiorno".
Dietro questa legittima e interessante esigenza storiografica si sente, tuttavia, la presenza di qualcosa di più importante: la intolleranza, anzi l'ostilità verso "la ipoteca ideologica del meridionalismo liberale", che ha condizionato a lungo non solo le analisi, ma anche la politica e l'azione dei cosiddetti meridionalisti. Se è facile comprendere perché vi siano uomini portati a preferire quelli che - come Nitti - sono stati chiamati i "meridionalisti del possibile", a distanza di tanti decenni sembra assurdo che uno storico del valore di Barone senta il bisogno di manifestare ancora una sorta di ostilità verso quelle altre correnti di pensiero, la cui tradizione - che egli chiama "ipoteca ideologica"-ha rappresentato la maggior forza per il ritorno del paese e del Mezzogiorno a libertà. Non è, infatti, un caso che negli anni stessi in cui il progetto elettroirriguo di modernizzazione meridionale si dissolveva come neve al sole costringendo i suoi capi politici a dimenticarlo nel lungo esilio e i suoi realizzatori ad abbandonarlo nelle pieghe del compromesso con il regime fascista, attorno agli uomini del meridionalismo liberale si stringessero e si formassero i più fermi oppositori a quel regime.

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