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Immagino che il confine tra il capolavoro ed la narrativa autoreferente e scarsamente fruibile sia labile. Preferisco non leggere libri che appaiono irritanti dalle prime pagine ma poi voglio sempre arrivare in fondo. Con il risultato che cancello il nome dell'autore dalla mia memoria. Peccato perché bisognerebbe sempre dare una seconda chance! Concordo:copertina non certo di buon gusto!!!
Non penso di aver capito questo libro del quale conservo un'impressione frammentata e angosciante. Non sono riuscita a capire la natura del male contenuta in questa storia, se si tratta di una realtà ontologica, se sia l'elaborazione di un senso di colpa connaturato alla specie umana,se sia frutto di deviazione patologica. Se alla base di tutto ci sia una visione manichea, una visione nichilista. Se il bene esista,se si differenzi dal male. Dove in tutto questo si possa trovare un po' di redenzione.Insomma: non ho capito un tubo e mi dispiace. L'unico sollievo è esser arrivata all'ultima pagina.
Credo sia tra gli obiettivi di questo libro mettere alla prova chi legge: lo smarrimento è necessario, riflette il pensiero dell'autore e salva l'autenticità dell'intenzione. L'idea del labirinto è, di fatto, almeno per me, la cosa più vicina alla descrizione dell'esistenza umana. Nella visionaria miriade di vie in cui il personaggio creatore si decortica, la strada dolorosamente trova la maniera di ricomporsi, riemerge dai ricordi, dilaga nei mille volti del presente -che sono solo apparentemente slegati- e si propone come netta condivisione della conoscenza del male. E' così che, dall'alto, lo vedi, finalmente, quell'intrico,quel mare, quella "legione". Il male che sì, è naturalmente ovunque, diventa necessario alla salvazione ché altrimenti il bene non ha motivo di risorgere:"come possiamo amare qualcosa che è già salvo? Come possiamo amare qualcosa che non sia imperfetto, fragile e perduto?"
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