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Com’è possibile ricostruire la storia di un paese come il Camerun, o di un continente come l’Africa, martoriati da colonialismi prima e avviati all’indipendenza poi, ritessendo le mille voci di altrettante storie confuse, sfumate e sovrapposte che spesso si contraddicono tra loro? Questa le domanda che si pone Bertha, giovane ricercatrice che parte dagli Stati Uniti e ritorna al paese d’origine con l’illusione di ricostruirne la storia. Qui incontra Sara, ormai novantenne che inizia a raccontare una serie infinita di aneddoti intrecciati che richiedono mesi per essere districati, convincendo Bertha ad abbandonare le sue ricerche sulle origini del nazionalismo camerunense e dedicarsi a questa matassa di storie represse o inespresse. Spesso la giovane ha il dubbio che parte delle storie della decana siano inventate e fatica a distinguere la memoria dalla fantasia, ma tace e ascolta perché sa che una parola scettica basterebbe a uccidere il narratore e la sua storia. Sospesa dunque ogni incredulità, Bertha si lascia ammaliare dalla trama di Sara. Dal racconto riemerge la figura del Njoya (1871-1933), sultano dei Bamun esiliato dai francesi nella città cosmopolita di Yaoundé a causa dei suoi contatti con i tedeschi all’epoca della prima guerra mondiale, e che qui creò una scuola di artisti chiamata Mont Plaisant. Nel suo palazzo riunì artisti e architetti, e promosse lo sviluppo delle arti (era lui stesso uno scultore). Per esprimere la cultura poliglotta della sua corte, inventò un alfabeto che potesse incorporare le tre lingue europee introdotte nel paese dal colonialismo (inglese, francese e tedesco) alle oltre 200 lingue locali che già vi si parlavano. Uomo colto e illuminato, scrisse un libro sulle tradizioni dei Bamun e anche uno che parlava di sesso, ma proprio per la sua scomoda eccentricità fu una di quelle figure cancellate dalla storia nazionale. Il testo dimostra l’importanza della storia africana tra gli anni dieci e trenta del Novecento, fondamentale chiave di lettura per la storia postcoloniale fino ai giorni nostri. Già negli anni venti infatti molti africani vivevano in Europa e molti camerunensi vivevano a Berlino, in una società che stava incubando il nazismo, ma la maggior parte di loro non sarebbe sopravvissuta ai lager. La versione ufficiale della storia camerunense inizia solitamente negli anni cinquanta con la lotta anticoloniale, ma è opinione del pluripremiato autore che l’avventura intellettuale del Camerun cominci molto tempo prima.
Recensione di Francesca Giommi.
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