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La struttura narrativa di questo libro è eccezionale. Ha un’impostazione a metà tra la diaristica e la saggistica che si sviluppa in una doppia narrazione, quella della madre Topazia e quella della figlia Dacia che commenta, con acute riflessioni, i ricordi tratti dal diario materno. La storia narra il viaggio che ha portato la famiglia Maraini dall'Italia al Giappone, dalla libertà al campo di lavoro. Il libro è molto bello e la cosa più pregevole, a mio avviso sono le illustrazioni che ci danno una dimensione umana fortissima ed esplicano ancora di più quello che è il tema di fondo del libro, il rapporto madre-figlia.
Mi aspettavo qualcosa di diverso, magari più organico e con un rigoroso ordine cronologico. All’inizio ho faticato un po’ ad orientarmi, poi col procedere della lettura ho finito coll’entrare nei tempi e meccanismi del testo, finendo così nell’apprezzarlo a pieno. Un po’ quello che capita ascoltando i racconti dei nonni che saltellano qua e là nel tempo, e alla fine ti rimane non una storia, ma tanti racconti fine a se stessi. Certo che la famiglia Maraini è decisamente anticonformista e mooolto in anticipo sui tempi. Interessante.
Premetto che mi piace Dacia Maraini, ma ho fatto fatica ad orientarmi tra le pagine di quest’opera. Forse mi aspettavo qualcosa di diverso.
Recensioni
"In questi frangenti l'assenza del padre è una costante. Dipendeva dal suo lavoro, chiaramente. Un etnologo deve viaggiare. Ma è possibile che un padre sia sempre lontano quando una figlia ha la febbre, quando prende la tosse asinina, quando mette il primo dente o affronta il suo primo giorno di scuola? Ed è davvero solo la natura che spinge una donna a tenere per tutta la notte la mano sull'orecchio malato della figlia?"
Un diario ritrovato che parli di anni lontani è una delle fonti più emozionanti perché il passato riappaia all'improvviso con tutta la sua intensità e la sua forza. Se poi a compilarlo è la propria madre ciò che si legge è anche l'universo di sentimenti e di amore che circonda l'infanzia e che esplode quasi a tradimento nel cuore.
Eppure questa scrittrice, che talvolta si abbandona all'emotività, nell'ultimo libro presenta una prosa asciutta, contenuta anche quando tratta temi di una delicatezza sentimentale estrema. Forse è proprio il pudore, il far parlare i fatti, piccoli e grandi, la quotidiana eccezionalità di una infanzia vissuta in un luogo esotico e lontano, che rende il libro tanto piacevole, e intenso. Le citazioni del diario materno sono lo spunto continuo per il riaccendersi di ricordi e per divagazioni che dal passato giungono al presente e accompagnano tutta la vita, la prima giovinezza come la maturità, dell'autrice.
Il grande amore per il padre, che sarà una costante della sua vita, non le impedisce di cogliere la generosa bellezza della figura materna: una donna giovane e avvenente, intelligente e capace, attiva e sensibile, che decide di seguire in un viaggio avventuroso quel ragazzo biondo che è suo marito, sposato contro la volontà familiare (la volevano accasare con un conte) e che dedicherà con grande intelligenza alle figlie le sue energie e il suo amore durante le lunghe assenze del padre.
Il viaggio verso il Giappone occupa parecchie pagine del libro. Dacia è molto piccola, ha poco più di un anno e viene catapultata, con assoluta naturalezza, su di una nave per una lunga navigazione ricca di soste e di incontri. La bambina (vista l'età non è rimasto nulla di quell'avventura nella memoria della scrittrice), i suoi comportamenti, le stanchezze e le vivacità, i giochi e i capricci sono trascritti con grande rigore dalla madre attenta, nonostante il rapporto forte e intenso con l'innamorato marito, rapporto che in alcuni momenti Dacia bambina ha sentito escluderla.
Il piccolo nucleo familiare giunge in Giappone ed è interessantissimo come viene annotato l'impatto con quel mondo e quella cultura. Ma alle frasi del diario si aggiungono le notazioni della Maraini, divagazioni e ricordi, collegamenti con gli anni successivi, con i viaggi successivi e con le elaborazioni compiute nel tempo.
La curiosità che suscitano i capelli biondi e gli occhi chiari, portano la bambina a cercare sempre più l'uniformità col Paese che la ospita e questo desiderio di essere "uguale agli altri" partirà dalla lingua. Dalle parole materne, e dalle notazioni a commento, emerge una cultura familiare, che il padre stimola continuamente, di grande apertura intellettuale, ricca di curiosità e di sollecitazioni, che negli anni (tornati i Maraini in Sicilia) si scontrerà con la mentalità chiusa dei nonni e con l'ambiente formale che circonda la buona borghesia.
Il diario si ferma al momento della reclusione in campo di concentramento del piccolo nucleo: i due giovani genitori e le tre bambine. Altre due figlie sono nate in Giappone; Dacia parla a lungo delle sorelle, così diverse l'una dall'altra e così amate, fonti di preoccupazione (soprattutto la secondogenita la cui morte precoce è una nube che oscura, in modo retroattivo, tutti i ricordi della scrittrice, anche quelli infantili) per la madre che si trova spesso sola a doversi occupare delle bambine e delle questioni di tipo pratico.
Sono anni sereni quelli descritti, ma segnati, nel ricordo, da accenni a quello che poi sarebbe successo: la fame e la paura del campo, la separazione dei genitori, la morte della sorella Yuki, gli amici e la loro scomparsa...
Un libro nato dalla memoria, ma denso di notazioni di tipo antropologico, culturale, uno sguardo sul Giappone e il suo popolo, filtrato dagli occhi di una bambina occidentale, ma anche da quelli di una donna che ha assorbito la grande lezione paterna.
A cura di Wuz.it
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