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Descrizione


Un misterioso messaggio chiuso in una busta abbandonata tra i fili d’erba di un’aiuola, una lettera d’amore mai spedita, con una ambigua minaccia di suicidio. Il caso vuole che siano Piero e Giorgio, i giovani protagonisti di “Navi di carta”, a trovare l’enigmatico biglietto e a mettersi sulle tracce del suo estensore. Da questo movente si dipana la vicenda di un’investigazione tormentata e contraddittoria che avrà i suoi sviluppi in una Marsiglia invernale e ventosa. Piero e Giorgio si imbatteranno in figure umane sospese tra la nostalgia di un passato irrimediabilmente chiuso e la delusione del presente: un anziano lavoratore del porto che costruisce imbarcazioni in miniatura, una bibliotecaria che li mette sulle piste della sconosciuta padrona del “Titanic”, il cadente albergo in cui alloggiano i protagonisti. Ma soprattutto uno scrittore, che si rivelerà il vero motore della vicenda, sognatore malinconico al quale verrà assegnato un amaro destino.

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Dettagli

1 gennaio 1997
9788806116859

Valutazioni e recensioni

4,5/5
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Giuseppe
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La quarta di copertina mi ha subito incuriosito e così ho deciso di portarmelo a casa. Ad oggi il suo autore è svanito nel nulla e di lui c'è solo mistero. Navi di carta, con cui da esordiente e amatore ha vinto il Premio Calvino, più di trent'anni fa, è stata la sua opera prima ma anche ultima. Mi chiedo come mai, sono davvero curioso; ma di Contardi se ne sono perse le tracce. Eppure questo libro è davvero notevole e mi ha lasciato piacevolmente sorpreso. Ho adorato lo stile, l'atmosfera plumbea e bagnata che pervade l'intero romanzo, di malinconia affascinante e magnetica. E poi il mare, la pioggia, il cimitero delle barche, la metafora continua del naufragio che ho apprezzato tantissimo, i personaggi misteriosi e affascinanti come lo scrittore che vive di notte e il vecchio modellista di barche per turisti. Lo consiglierò ai miei amici.

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Roberto
Recensioni: 5/5

Molto bello! La storia è intrigante. Un piccolo giallo visto con gli occhi da ragazzo, ovvero quelli del periodo più bello da ricordare di ogni vita. E affascinante già solo per via del mare e per la potente descrizione di ogni stato climatico (pag 49!) e per quanto tutto sia sempre intriso di vento e acqua e per la resa dello stato d'animo di ogni protagonista (Leggendo ho ricordato Stagioni Diverse di Stephen King, Io non ho paura di Amanitti e inevitabilmente Oceano Mare...). Grande forza comunicativa ed evocativa delle metafore e delle immagini come quella dove un tramonto altro non è che "luce che viene richiamata in un solo punto..." (Qui addirittura poesia). L'abilissimo Contardi trasferisce lo stato d'animo umano addirittura al mare ("la nave si inclina e il mare comincia a rabbrividire"). Un altro punto nodale è al 14° capitolo dove Piero teme il mancato ritorno dell'amico perso nell'avventura: "...per perdersi in quella città basta essere un poco sognatori o appena stravaganti, per scivolare sempre più giù, da un'illusione all'altra fino a smarrirsi del tutto. Forse si cominciava davvero così, con un primo sbaglio, un impercettibile tentennamento e si finiva per piombare come sassi dentro una spirale inarrestabile che conduceva dritti dritti sotto i ponti...". Viene trasferito sul ragazzo un sentimento adulto che frena le decisioni importanti della vita. Il passo del romanzo che mi è piaciuto di più è la descrizione del viaggio. "Pareva che soltanto attraversando il mare si potesse avere la sensazione di essere davvero in viaggio. Era qualcosa connesso alla solitudine e alla lentezza, l'idea di un cammino percorso con fatica che allontanasse giorno dopo giorno il punto di partenza preparando l'ignoto in un progressivo allargarsi di orizzonte".

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Voce della critica


recensione di Cavaglion, A., L'Indice 1990, n. 5

Giorgio e Piero, due amici affiatati, un giorno trovano in una busta dimenticata in un'aiuola una lettera d'amore mai spedita. D'un tratto la loro esistenza malinconica e riflessiva subisce una scossa e da depressi che erano si trasformano in agguerriti detectives ansiosi di sciogliere l'enigma. Andranno fino a Marsiglia e quasi tutto chiariranno, non senza oggettive difficoltà, ma il viaggio da loro compiuto è di quelli allegorici. C'è un po' di Verne e altrettanto Salgari sullo sfondo di questo romanzo d'esordio con cui lo scorso anno Contardi ha vinto il premio Calvino. È un viaggio immaginario quello che Giorgio e Piero realizzano documentandosi non già sugli atlanti o sui libri di storia, bensì sulla musica francese e, soprattutto, sulla cinematografia anteriore alla nouvelle vague. Come le navi del titolo, anche la Marsiglia di Contardi è di carta e, lentamente, sprofonda nel mare. C'è molto Gabin, colonna sonora originale di Edith Piaf, immancabile il fumo di bistrot: manca soltanto il mitico Pernod e il sorriso di Delon perché si possa concludere che ci si trova qui di fronte ad un sorprendente e, a tratti, seducente, subacqueo (o anfibio) clan dei marsigliesi.
Il lettore dovrà avere la pazienza di lasciar da parte la trama e sorvolare su talune incertezze e contraddizioni strutturali evidenti. I meriti del libro sono stilistici. È nella micro struttura che si annidano i pregi di "Navi di carta". Contardi si rivela qui un eccellente dosatore di similitudini e di metafore. Alcune scene (come per esempio la lotta contro i topi nel vecchio cantiere navale, un piccolo capolavoro) si presentano quasi come miniracconti a sé stanti. Altre immagini, particolarmente felici, rimangono impresse nella mente. Penso per esempio all'indizio da cui prende origine la narrazione: una macchia d'inchiostro a forma di transatlantico che si allarga proprio sopra l'indirizzo della busta misteriosa. È questo un ottimo preambolo per un romanzo che si autodefinisce marinaresco e "acquatico". Tra salsedine e acqua piovana, tempeste d'inchiostro e mareggiate di mare, la vicenda si sviluppa con molti colpi di scena. Sullo sfondo l'immane tragedia del Titanic lascia trapelare una più generale metafora della condizione umana. Quale realtà tale metafora sottintenda è arduo dire, se non altro perché Titanic è semplicemente il nome della pensione dove i due amici alloggiano. Come si è appena detto Contardi ama le piccole imbarcazioni e detesta i vascelli fantasma. Non a caso il personaggio meglio riuscito del libro non è affatto lo scrittore, bensì l'artigiano marsigliese che nevroticamente trascorre la vita costruendo modellini di navi.
Un naufragio, dunque, "casalingo", ammette in conclusione lo stesso autore. Un'avventura descritta con la passione salgariana del sedentario che lavora di fantasia senza muoversi dalla propria stanza e senza correre nessun pericolo, almeno fino al giorno in cui tale stanza non sarà invasa dall'acqua, come accade a Giorgio e Piero nella pensione Titanic. Che, di nuovo, come in un incubo, di un naufragio "di carta" si tratti è dimostrato dal fatto che l'unica vittima di questa assai comica inondazione alberghiera sia proprio la consunta stampa che adornava la stanza dei nostri eroi e raffigurava, inutile dirlo, l'istante preciso in cui il Titanic colava a picco. Contardi è assai abile nell'uso delle similitudini; alcune citazioni filmiche sono particolarmente azzeccate (p. 59) e alcuni paragoni assai felici (per es. p. 23 il cielo spezzato dalle nuvole simile a "incerte sforbiciate" di un bambino). Ma l'intuizione più geniale di questo romanzo è autentica e non di carta, per quanto sia dall'autore collocata nei pressi di una biblioteca (p. 102). Verso la fine i due protagonisti incontrano una testimone che si rivelerà decisiva. Il lettore non si allarmi: Contardi non prevede per la biblioteca comunale di Marsiglia, dove questa testimone lavora, nessuna alluvione catartica. Semplicemente nota ciò che probabilmente tutti noi abbiamo almeno una volta provato, frequentando, in Italia e in Francia, una biblioteca animata e non di carta. Che cioè tutti i bar adiacenti alle biblioteche si assomigliano, perché sempre, immancabilmente, riescono ad assorbire l'atmosfera dei seriosi edifici limitrofi.

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