Le prime frasi del romanzoUNOAlle scuole superiori valgono tre regole, stampate in maniera indelebile sulla trama interstellare dell'universo.
Regola numero uno: sono tutte stronzate.
Ora, prima che vi venga in mente di avere davanti la solita rottura di palle esistenziale del solito ragazzino adolescente, dovreste sapere che io non sono un «ragazzino». In effetti, sono un colosso. Ho sedici anni, e sfondo per un pelo la barriera, diciamo così, dei centodieci chili.
Vi sento già dire: Eh, addirittura! Secondo voi sono balle?
Fatemelo dire con altre parole: peso
più di un quintale.
E a volte è già una bella sfiga anche solo non fare schifo in matematica.
E non è che sono grasso e basta; sono grosso, in generale. Un metro e novantotto, precisi. Sono come un delfino umanoide semievoluto, testimonianza solenne di un darwinismo andato storto. Come il figlio di Jabba the Hutt e Chewbacca, generato dalla Forza per immacolata concezione. Uno come me le stronzate non doveva nemmeno cercarle; erano loro a trovarmi, come un missile teleguidato da un sensore tarato a lardo. Eccovi giusto qualche fulgido esempio.
«Ehi, Cliff!» disse Kyle Dunston, il 17 settembre dell'anno scorso, dopo che mi era caduta la matita nell'ora di algebra II del professor Gunther. «Lo sai che, quando ti chini, il solco tra le natiche fa chiudere bottega al Grand Canyon?»
«Datti una calmata, Neanderthal» disse Lacey Hildebrandt il 2 dicembre, mentre cercavo di raggiungere la coda per il pranzo. «Sono sicura che alla mensa hanno già finito sia le merendine glassate che i neonati.»
«Mi scusi, signor Hubbard» disse il suddetto professor Gunther il mese scorso, mentre a fine giornata – il 23 marzo – correggeva il mio compito di recupero sui polinomi. «Potrebbe cercare di
non sembrare un aereo a reazione, quando respira? Non riesco nemmeno a pensare.»
Ecco chi ero: Clifford Hubbard, quello che ha il culo come il Grand Canyon, divora merendine glassate e neonati, e quando respira sembra un aereo a reazione. Meglio noto, tra la popolazione della Happy Valley High School, come Neanderthal.
Tutto questo si dimostra senza dubbio pertinente alla seconda regola delle scuole superiori: gli altri fanno schifo.
E non solo gli studenti, come il professor Gunther aveva dimostrato così ampiamente. Tutti. Per esempio:
- Il vicepreside Swagley, che mi guardava sempre come se fossi un evaso camuffato da minorenne. Di sicuro avevo nascosto la tuta arancione nel bosco, vicino a dove avevo sepolto i cadaveri di tutte le mie vittime.
- Il mio tutor, il professor Gubler, che mi aveva suggerito di cercare lavoro nel campo dell'ingegneria sanitaria ambientale. Ora, lasciando da parte gli stereotipi (secondo cui sarei stato poco più di uno spazzino), questa è una branca più che rispettabile dell'ingegneria, un lavoro con uno stipendio decente e che si preoccupa di brutto della sicurezza dell'ambiente. Purtroppo, mio padre faceva veramente lo spazzino - prima di diventare un disoccupato professionista, a ogni modo - e Gubler lo sapeva. E questo lo trasformava, in automatico, nel Gran Visir dei Bastardi.
- La cuoca della mensa, la signorina Prudy, che sgranava gli occhi come a domandarsi che ci facevo in coda da lei, e non alla vicina tana dei satanisti che serviva merendine glassate e neonati.
L'elenco potrebbe continuare all'infinito. E questo ci porta ad Aaron Zimmerman.
Il solo e
unico Aaron Zimmerman.
Non che fosse più o meno stronzo degli altri. In realtà, il suo livello di bastardaggine era grosso modo nella media. Era lo stronzo più popolare di Happy Valley, tutto qui.
Insomma, facciamocene una ragione. Era un ragazzo molto cool.
Quanto cool? Immaginate
Una pazza giornata di vacanza come una specie di biografia di Aaron Zimmerman, di questo essere umano alla cui volontà, per miracolo, l'intero universo si piega. Solo che, invece che da Matthew Broderick, Aaron sarebbe stato interpretato da un adolescente prodotto dall'ingegneria genetica, un clone, o meglio un ibrido tra Brad Pitt e Tom Cruise. Quarterback della squadra di football? Eccolo! Una media altissima in tutte le materie? Pronti! Non ho mai visto il batocchio del ragazzo, ma secondo me era grosso come una piccola testata nucleare. Voglio dire, perché no? Il mondo intero, senza se e senza ma, era dalla sua parte.
Prima dell'avvento della lista, tuttavia – della «lista» parleremo tra poco –, ero entrato in contatto una sola volta con Aaron Zimmerman. Del resto, perché uno popolare come lui avrebbe dovuto riconoscere la mia esistenza?
Be', perché la mia testa aveva intercettato il suo pallone da football, è ovvio.
Il 12 aprile (alle 12.50, se vogliamo essere precisi).
Avevo messo la mia «felpa fortunata» – tutta nera, con un quadrifoglio stampato davanti –, anche se in realtà era più che altro un soprannome ironico, perché quando ce l'avevo addosso mi capitavano sempre cose atroci. Me l'aveva regalata Shane, il mio fratello maggiore, per il mio compleanno, ed ero quasi sicuro che l'avesse comprata da una specie di sciamano, perché era iellata con i controcazzi. C'era un buco, nella stoffa interna della tasca a marsupio, e io ci infilavo sempre il pollice destro, così ogni volta lo allargavo un altro po'. Non riuscivo a resistere. Un tic nervoso, immagino, che ti viene quando indossi una bomba a orologeria innescata dal destino.
Nel frattempo, alla mensa, Aaron aveva lanciato il suddetto pallone al suo compare, Kyle Dunston – sì, quello del mio culo e del Grand Canyon –, con una traiettoria che doveva passare sopra la testa di tutti.
Purtroppo, anche il mio cranio passava sopra la testa di tutti. Il pallone, dunque, mi arrivò proprio in faccia. Centodieci chili o no, il pallone per poco non mi faceva superare la linea del cambio data. Invece di rompere il continuum spazio-temporale, tuttavia, mi limitai ad andare a sbattere contro l'armadietto più vicino. lasciandoci sopra una perfetta impronta fossile a forna di Neanderthal. Per circa cinque secondi rimasi così stordito da non avere la minima idea di cosa fosse successo. Il mio processo mentale era una cosa tipo questa:
Guh...
Ugggggggh...
Blleeeaaaarrrrrggggggh...Mi stavo ancora disincastrando dal cratere nell'armadietto, quando Aaron, novello Mosè, si fece strada tra la folla come davanti al Mar Rosso. Mi porse la mano per aiutarmi. La strinsi.
«Ehi, tutto bene?» chiese, e per metà rideva, per metà sembrava quasi sincero. «L'hai proprio sistemato quell'armadietto.»
Avevo ancora problemi ad articolare qualcosa di sensato, perciò mi limitai a continuare a sbattere le palpebre, incapace di afferrare quella cosa sempre sfuggente che chiamiamo realtà. Aaron sorrideva, mentre guardava l'armadietto sfondato, e nella mia confusione il suo poteva anche passare come un
autentico sorriso.
«Amico, che ti mangi a colazione? Merendine glassate e neonati?»
Lo so che sono grosso, e nel mondo in cui viviamo, grosso di solito equivale a stupido. Ma non sono stupido. In quell'attimo, ebbi una triplice illuminazione:
- Quella frase non era sua, era di Lacey Hildebrandt
- Aaron Zimmerman per un po' era uscito con Lacey Hildebrandt. (Questa potrebbe sembrare chissà quale coincidenza, ma in realtà non lo era. Aaron era come James Bond: l'eroe si beccava sempre la ragazza, mai una malattia venerea. O magari ce le aveva tutte! Chi poteva saperlo?)
- Durante la loro breve storia, i due ovviamente si erano fatti grasse risate (ah ah ah) alle spalle di Neanderthal, il divoratore di merendine glassate e neonati.
E questo ci porta alla terza regola delle scuole superiori: i pugni sono più forti delle parole.