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Dettagli

4
2021
7 ottobre 2021
208 p., Brossura
9788833937021

Descrizione

In questo libro Francesco Filippi ripercorre la nostra storia coloniale, concentrandosi anche sulle conseguenze che ha avuto nella coscienza civile della nazione attraverso la propaganda, la letteratura e la cultura popolare. L'intento è sempre quello dichiarato nei suoi libri precedenti: fare i conti col nostro passato per comprendere meglio il nostro presente e costruire meglio il futuro.

«Il nuovo saggio di Francesco Filippi racconta la rimozione collettiva della sanguinaria occupazione italiana in Africa. E la "favola bella" che ci siamo raccontati: di aver agito per il bene degli occupati» - Maurizio Crosetti, Robinson

«Anche quando, all'interno del più ampio discorso postcoloniale, si identificano gli italiani come parte attiva dell'imperialismo bianco e violento, ci si trincera spesso dietro agli stessi argomenti pensati dagli invasori: di fronte alle brutalità dell'invasione bianca si obietta appunto che "però gli abbiamo costruito le strade...". Come se queste infrastrutture – peraltro all'epoca utili più agli occupanti che agli occupati – potessero compensare i massacri, la cancellazione di intere culture e la perdita di indipendenza di milioni di persone.»

Tra i molti temi che infiammano l'arena pubblica del nostro Paese ne manca uno, pesante come un macigno e gravido di conseguenze evidenti sulla nostra vita qui e ora. Quando in Italia si parla dell'eredità coloniale dell'Europa si punta spesso il dito sull'imperialismo della Gran Bretagna o su quello della Francia, ma si dimentica volentieri di citare il nostro, benché il colonialismo italiano sia stato probabilmente il fenomeno più di lunga durata della nostra storia nazionale. Ma è una storia che non amiamo ricordare. Iniziata nel 1882, con l'acquisto della baia di Assab, la presenza italiana d'oltremare è infatti formalmente terminata solo il primo luglio del 1960 con l'ultimo ammaina-bandiera a Mogadiscio. Si è trattato dunque di un fenomeno che ha interessato il nostro Paese per ottant'anni, coinvolgendo il regno d'Italia di epoca liberale, il ventennio fascista e un buon tratto della Repubblica nel dopoguerra, con chiare ricadute successive, fino a oggi. Eppure l'elaborazione collettiva del nostro passato coloniale stenta a decollare; quando il tema fa timidamente capolino nel discorso pubblico viene regolarmente edulcorato e ricompare subito l'eterno mito autoassolutorio degli italiani «brava gente», i colonizzatori «buoni», persino alieni al razzismo. Siamo quelli che in Africa hanno solo «costruito le strade». Se la ricerca storiografica ha bene indagato il fenomeno coloniale italiano, a livello di consapevolezza collettiva, invece, ben poco sappiamo delle nazioni che abbiamo conquistato con la forza e ancora meno delle atroci violenze che abbiamo usato nei loro confronti nell'arco di decenni.

Valutazioni e recensioni

4/5
Recensioni: 4/5
(6)

Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.

Recensioni: 5/5

Molto interessante. Argomento che non conoscevo a fondo e il libro dettaglia dal punto di vista storico molto bene gli orrori e le mancanze dei colonialisti.

Recensioni: 5/5

Lo sapevate che esistevano gli human zoo? E che l’ultimo zoo in Italia in cui venivano letteralmente esposte persone è stato aperto solo 80anni fa?! Io personalmente no. Questo libro è stato illuminante. Va letto, va studiato e va esposto. È necessario parlare in maniera chiara di ciò che è stata l’Italia conquistatrice per capire cosa è l’Italia di oggi. Rimango sempre più dell’opinione che certi esseri umani non sono degni di farsi chiamare tali.

Recensioni: 5/5

Un buon compendio di mancanze e brutture perpetrate dal governo italiano da fine '800 ai primi anni del 2000.

Recensioni: 5/5

Un buon libro, un testimone credibile e documentato del nostro colonialismo come non diverso, e non certo migliore, degli altri colonialismi occidentali. Un testimone che ci ricorda che le nostre bassezze, le nostre furberie, le nostre atrocità, nei confronti dei “colonizzati”, erano e sono inaccettabili e che la vulgata della nostra cattiveria come una cattiveria di tipo soft, è quanto di più antistorico si possa sostenere. Di contro, però, non mi sento di condividere la tesi dell’autore che, anche con poca modestia, nelle conclusioni pone il suo lavoro come imprescindibile per la comprensione e l’accettazione dell’”Alterità” da parte di noi italiani, come armi fondamentali per contrastare il razzismo. Gli stimoli per comprendere e cercare di combattere il razzismo sono molteplici e derivano tutti dalla capacità di guardare alla storia nella sua complessità, di trarne degli indirizzi e di praticarli nella quotidianità. È nella pratica, però, che nascono i perché: uno stato multiculturale è un possibile gestore di una società multietnica, anche se, di fatto non esistono esempi in tal senso? fin dove è possibile una pacifica convivenza con un mio “diverso”, senza che questo comporti una rinuncia alle mie convinzioni? posso accettare che, come “fatto culturale”, si uccida l’”infedele”, ci si appropri della roba altrui, si considerino le donne minus habens? Domande che meriterebbero risposte.