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Nomi distanti - Antonella Anedda - copertina
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Nomi distanti - Antonella Anedda - copertina
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Descrizione


Le prime righe di questo libro ci parlano di mare, di freddo, di tremore; di «volti e corpi nel buio»; di richiami e risposte che «remano verso l'essenziale di ciò che sembra inesprimibile». Nel 1998, quando uscì "Nomi distanti", all'attivo Antonella Anedda aveva, presso piccoli editori lungimiranti, solo un libro di versi (che però una maestra come Amelia Rosselli aveva riconosciuto come «quasi capolavoro») e uno di prose. Se oggi invece è riconosciuta come la voce lirica forse maggiore della nostra lingua, lo si deve anche all'"allenamento" trascendentale, agli esercizi materiali e spirituali allora affrontati in questo libro segreto, pubblicato ancora più alla macchia: in ubriacante «slalom in ascesa» tra le lingue, traducendo e "variando" versi e prose di maestri più o meno vicini come Emily Brontë e Marina Cvetaeva, Ezra Pound e Zbigniew Herbert, Osip Mandel'stam e Philippe Jaccottet. Del resto proprio le categorie di Vicino e Lontano, di Proprio e Straniero, metteva radicalmente in questione Nomi distanti: come insegnato dal maestro fra tutti più decisivo, Paul Celan, quando pensava di raccogliere le versioni poetiche della sua «vita a fronte» sotto il titolo Vicinanza estranea. Il poeta straniero («tutti i poeti sono ebrei» diceva Cvetaeva, e traduceva appunto Celan) «scuote e sommuove», secondo Walter Benjamin, la lingua di chi accoglie, di chi traduce. Non è un incontro pacifico, non è irenica «fusione di orizzonti»: è fare esperienza, anche traumatica, dell'alieno, dell'«intruso». Ma quello choc, che tanto ci ha turbato, certe volte finiamo per scoprire che ci ha salvato la vita. Per esempio forgiando la lingua di colei il cui nome, non più distante, si salva come Antonella Anedda. (Andrea Cortellessa)
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Dettagli

2020
1 novembre 2020
176 p.
9788893800976

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alida airaghi
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“Nomi distanti” raccoglie “non esattamente versioni, non esercizi, non variazioni. Libere versioni? Risposte da lontano”. Echi di poeti amici, ascoltati in silenzio, per recuperare e rendere “l’essenziale di ciò che sembra inesprimibile”. Se la traduzione è insieme la più umile e la più presuntuosa delle arti, Anedda cerca per sé un nuovo ambito e ruolo, “una terza voce in un terzo spazio”, tra l’originale del poeta e il contraffatto per eccesso di fedeltà del traduttore. Prendendo l’avvio dal verso di un poeta lontano nello spazio e nel tempo, vicinissimo nel pensiero, l’autrice ricrea un suo universo di suoni e immagini; risponde a un richiamo imperioso, lascia che in sé transiti e fermenti, e infine si esprima in una sua autonoma e individuale voce. “Provo a trattare la vita con lentezza”: è in questo splendido verso la chiave, forse, di interpretazione della poesia di Antonella Anedda, e nel reiterarsi di espressioni quali “cautela”, “distacco”, “pazienza”, “mancanza”, tutti termini che indicano in qualche modo una volontà di controllo, di autodifesa, il timore di un’adesione più piena al semplice esistere. Ma in realtà, al di sotto di questa esitazione, si intuisce una forza difficile da domare, sia negli incipit delle poesie, sempre memorabili, sia nella ricerca severa di precisione con cui definire esattamente l’oggetto della poesia. Stranamente e senza nessuno stridio, in Anedda la leggerezza si concilia con la dolcezza, la precisione con l’indeterminatezza, la descrizione del particolare esterno con l’introspezione più acuta: e il dolore più immedicabile con la sospensione miracolosa di ogni sofferenza. “Lasciami parlare del dolore / da te a me; scavato fino al fondo. / Anche questa è altezza / lascia che la misuri, qui, dalla terra / in giù, dal cielo al fuoco”. Abbiamo a che fare con una poesia nutrita di dolore, che nel dolore trova la sua linfa: in cui testo e vita si tengono reciprocamente a bada, chiedendosi l’un l’altro di non farsi troppo male.

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Antonella Anedda

1958, Roma

Antonella Anedda, nata a Roma nel 1958, si è laureata in storia dell’arte moderna ed ora insegna lingua francese presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Arezzo.È autrice di Residenze invernali (Crocetti Editore, Milano, 1992), Notti di pace occidentale (Donzelli editore, Roma, 1999) – che si è aggiudicata nel 2000 il Premio Montale – e Il catalogo della gioia (Donzelli editore, Roma, 2003).Il resto della sua produzione è costituito non solo dal volume di traduzioni e variazioni Nomi distanti (Edizioni Empirìa, Roma, 1998), ma anche da tre raccolte di saggi o prose liriche: Cosa sono gli anni (Fazi Editore, Roma, 1997), La luce delle cose. Immagini e parole nella notte (Feltrinelli, Milano, 2000)...

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