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Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum» - Carl Schmitt - copertina
Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum» - Carl Schmitt - 2
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Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum» - Carl Schmitt - copertina
Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum» - Carl Schmitt - 2

Descrizione


Del Nomos della terra si potrebbe dire che sta al diritto internazionale e alla filosofia politica del nostro tempo come Essere e tempo di Heidegger sta alla metafisica: opere inevitabili, che faranno sempre discutere e alle quali sempre si tornerà. Carl Schmitt pubblicò questo libro nel 1950, quando ancora si trovava in una posizione di totale isolamento in Germania. Ma proprio in quest’opera, che è un po’ la summa del suo pensiero giuridico e politico, si sollevò nettamente al di sopra di ogni contingenza. E questo gli permise di aprire la prospettiva su fatti che in quegli anni erano impensabili: per esempio il terrorismo o la guerra civile globale come agenti decisivi del futuro. A questi risultati Schmitt giunge attraverso una disamina minuziosa delle varie teorie che sono apparse nell’epoca aurea dello jus publicum Europaeum, dimostrando una volta per tutte che, per sfuggire alla furia delle guerre di religione, il gesto salutare è stato la rinuncia allo justum bellum. Di conseguenza, il delicato passaggio dalla justa causa belli allo justus hostis ha reso possibile «il fatto stupefacente che per duecento anni in terra europea non ha avuto luogo una guerra di annientamento». In quel breve intervallo lo jus publicum Europaeum si combinava con l’avviarsi del funzionamento della machina machinarum, «prima macchina moderna e insieme presupposto concreto di tutte le altre macchine tecniche»: lo Stato moderno. Allora la «guerre en forme», questo gioco crudele, salvato però dal rigore della sua regola, conferiva una nuova unità a un certo ambito spaziale (una certa parte dell’Europa) e lo faceva coincidere con il luogo stesso della civiltà. Poi il gioco si frantuma dall’interno: nell’agosto 1914 comincia una guerra che si presenta come tante altre dispute dinastiche – e invece si rivela subito essere la prima guerra tecnica, che nega già nel suo apparato ogni possibilità di «guerre en forme». Così emerge anche la guerra rivoluzionaria, variante finale della guerra di religione, sigillo delle guerre civili. La forma moderna della verità, la più efficace, la più distruttiva, è tautologica: ciò che è rivoluzionario è giusto perché è rivoluzionario: con ciò si ripropone e trova sbrigativa risposta la questione della justa causa belli.

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Dettagli

4
1991
3 giugno 1991
Libro universitario
460 p.
9788845908460

Valutazioni e recensioni

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Stefano
Recensioni: 5/5

Uno dei libri più importanti rispetto all'ambito della politica e del diritto di tutto il XIX secolo, paragonabile, come recita l'aletta di copertina, ad "Essere e Tempo" di Heidegger rispetto ai due campi di riflessione sopra citati. Uno sguardo sulla storia del diritto internazionale moderno e sulla sua dissoluzione in cui vengono trattati numerosissimi concetti fondamentali e proposta una determinata posizione rispetto al pensiero giuridico. Guerra, nemico, pace, spazio, globalizzazione, storia: tutti campi che vengono toccati trasversalmente e che restituiscono una narrazione dello sviluppo della storia del diritto internazionale che nell'uso di categorie proprie del giurista tedesco si rivelano anche negli scritti successivi come profetiche rispetto agli effetti della globalizzazione e alla comprensione dell'assetto geopolitico post-bellico. Un libro senz'altro impegnativo e che restituisce tutto lo spessore teorico del giurista di Plettenberg soprattutto se accompagnato dalla lettura degli scritti teorici più importanti, come "Il concetto del politico", "Il concetto discriminatorio di guerra" e "Terra e Mare". Senza dubbio un acquisto obbligato per chi vuole affacciarsi alla riflessione politica post-bellica e agli sviluppi del diritto internazionale contemporaneo.

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Pierfilippo Pierucci
Recensioni: 2/5

Non sono riuscito a finirlo, ed è la prima volta in tutta la mia vita che non sono riuscito a finire un libro. Due stelle solo perchè comunque rimane un parere puramente soggettivo, affrontato da uno studente universitario al primo anno di facoltà, "newbie" del settore del diritto internazionale. Non metto in dubbio il "potere" di Carl Schmitt nel settore del diritto internazionale, però è un libro troppo pesante, spesso quasi incomprensibile. Un libro "snob", se devo trovargli un aggettivo, troppo propenso ad azzardare il termine colto, quando, neofiti come me, bisognano di una mano nella comprensione dei tanti concetti complessi affrontati. Non acquistatelo se non avete una base solida dell'argomento.

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lilimarlene
Recensioni: 5/5

Uno splendido libro di filosofia e per chiunque si stia avvicinando al pensiero conservatore. Carl Schmitt è un pensatore della politica di capitale importanza,va conosciuto e studiato di più. Quest'opera è senz'altro di gigantesco spessore, non può mancare nella formazione di un filosofo.

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Voce della critica


recensione di Staff, I., L'Indice 1992, n. 1
(recensione pubblicata per l'edizione del 1990)

La ricezione italiana di Carl Schmitt non conosce battute d'arresto. L'uscita del "Nomos della terra" prosegue la serie delle traduzioni italiane degli scritti schmittiani di diritto internazionale. Cominciata tra il 1938 e il 1942 per la rivista fascista "Lo Stato", raggiunse un certo apice nel 1941 con la pubblicazione, da parte dell'istituto nazionale di cultura fascista, dell'opera di Schmitt "Il concetto d'impero nel diritto internazionale. Ordinamento dei grandi spazi con esclusione delle potenze estranee". Chi conosce gli scritti schmittiani di diritto internazionale apparsi nel periodo rispettivamente nazionalsocialista o fascista, non avrà difficoltà a capire "Il Nomos della terra". La tesi di fondo è sempre la stessa, benché formulata in modo più larvato e apparentemente più neutrale.
Questi cambiamenti a livello linguistico non devono stupirci. Nel 1950, l'anno di pubblicazione di questo libro in tedesco, sarebbe infatti stato difficile anche per Carl Schmitt ripetere quello che egli nel 1933 a proposito degli ordini del 'Führer' Hitler aveva definito "nomos": "Noi non ci lasciamo fuorviare da una sofistica antitesi tra politica e diritto e tra diritto e potere, secondo, cui la volontà del Führer non sarebbe di per sé stessa 'diritto'. Anche seguire la volontà di un condottiero è, come ci ha insegnato Eraclito, un nomos" (in "Deutscher Juristentag 1933, 4. Reichstagung des Bundes Nationalsozialistischer Deutscher Juristen e. V.", Berlin 1933, pp. 242 sgg. [252]).
"Il Nomos della terra" si presenta dapprima come una semplice ricostruzione delle linee di sviluppo storico del diritto internazionale, esposta in modo brillante dal punto di vista linguistico, cosa che venne già apprezzata nel 1935 da Delio Cantimori che tuttavia non entrò nel merito del rigore intellettuale di Schmitt.
Schmitt delinea la nascita dello 'jus publicum europaeum come "diritto interstatale", con cui termina "l'ordinamento spaziale della 'respublica christiana' medievale (pp. 142-44).
La guerra secondo l'interpretazione dello 'jus publicum europaeum' è "guerre en forme"; la sua giustificazione è data dalla qualità dei nemici, intesi come "justi hostes", vale a dire che alle parti in conflitto viene attribuito un carattere statuale analogo e un analogo "diritto economico comune'' (pp. 164 sgg. e 263 sgg.). Schmitt ribadisce così la validità del suo famoso schema di amico-nemico secondo il quale una compagine statale si caratterizza attraverso una "sostanziale" omogeneità anche sul piano del diritto internazionale: la "sostanziale" omogeneità degli stati europei garantisce un ordinamento spaziale eurocentrico e una "limitazione della guerra" (pp. 174 sgg.). Il sovrano statale decide circa la "justa causa" di una guerra tra stati: egli è "portatore del nuovo ordinamento spaziale" (pp. 186 sgg.).
Schmitt considera come ultimo grande atto dello 'jus publicum europaeum' il congresso sul Congo (1884-85) che ebbe luogo a Berlino sotto la presidenza di Bismarck. Risultato del congresso furono le Disposizioni sul Congo che Schmitt definisce l'"ultimo singolare documento di una fede ininterrotta nella civiltà, nel progresso e nel libero scambio, e della pretesa - che su tale fede si basava - alla libera occupazione da parte europea del suolo aperto del continente africano" (p. 272). Questa fase dello 'jus publicum europaeum' era certamente improntata a concezioni universalistiche ma - come rileva Schmitt - "con il termine umanità si intendeva innanzitutto l'umanità europea, con civiltà ovviamente solo la civiltà europea e il progresso era l'evoluzione lineare di questa civiltà" (p. 288).
La "de-localizzazione" dell'universo eurocentrico si verificò per Schmitt nella seconda metà del XIX secolo, con la progressiva espansione dell'economia mondiale e con la sostituzione di un "ordinamento spaziale" con accordi internazionali positivistici, che si riferivano a contesti geopolitici esclusivamente eterogenei come le conferenze dell'Aja del 1899 e del 1907, che per Schmitt segnavano l'"abdicazione del diritto internazionale" (p. 305). La zona di influenza degli Usa si estende e con questa "linea dell'emisfero occidentale, una nuova linea globale non più eurocentrica ma, al contrario, tale da porre in questione la vecchia Europa viene contrapposta alle linee eurocentriche dell'immagine globale del mondo" (p. 368). Interventi internazionali portano alla de-localizzazione delle potenze sovrane e "la sovranità territoriale si trasforma in un vuoto spazio di eventi economico-sociali" (p.324). Gli Stati Uniti si contrapposero all'Europa con la pretesa morale di essere considerati il baluardo della libertà (cosa che Schmitt, cattolico convinto, fa risalire alla coscienza degli americani, derivante da un atteggiamento calvinistico-puritano di essere degli "eletti"), ed elevarono "lo standard di legalità democratica a principio giuridico internazionale" (p. 404). I vecchi ordinamenti spaziali, che per Schmitt si appoggiavano ancora alla fede nella loro legittimità e non solo a idee di legalità, tramontavano. La definizione di amico e nemico in base al grado di legalità democratica insieme alla disponibilità di mezzi tecnologici di annientamento, spalanca per Schmitt l'abisso di una discriminazione giuridica e morale altrettanto distruttiva (p. 430).
Per "giustificare l'impiego di tali mezzi di annientamento" in "una guerra giusta" c'è bisogno per Schmitt di nuove "linee di amicizia" (p. 431), vale a dire di nuovi forti blocchi di potenze che siano capaci di decidere circa la legittimità dell'utilizzazione di mezzi di annientamento sui "grandi spazi internazionali".
Emanuele Castrucci sottolinea nella sua postfazione che chi deve prendere tali decisioni deve avere per Schmitt una "coscienza integra". Castrucci conclude la sua postfazione con le parole che Schmitt pone al termine della prefazione del "Nomos della terra", definendole particolarmente belle e piene di speranza: "È agli spiriti pacifici che è promesso il regno della terra. Anche l'idea di un nuovo Nomos della terra si dischiuderà solo a loro".
Il lettore si commuove.
Questa commozione può comunque durare nel migliore dei casi solo finché il lettore summenzionato non si sia liberato dall'irretimento prodotto dagli artifici retorici di Schmitt e non abbia fatto uso del proprio intelletto analitico, uso già consigliato da Kant, di cui Schmitt (cfr. pp. 203-4 dell'opera recensita) non tiene in gran conto le massime. Risulta allora chiaramente un'ininterrotta continuità di pensiero tra il concetto di Nomos che Schmitt aveva ricollegato al 'Führer' Hitler nello scritto del 1933 da me prima citato e la definizione di Nomos che per Schmitt dovrebbe improntare il "nuovo" ordinamento del nostro mondo. Il Nomos è per Schmitt (come si legge alle pp. 54 sgg. nel "Nomos della terra") un concetto che riguarda il piano dell'Essere, con il quale si intende il "fondamento primo, legato al suolo, nel quale si radica ogni Diritto" (p. 26). Nel 1950 il concetto di Nomos viene allo stesso modo contrapposto da Schmitt nel "Nomos della terra" all'ordinamento parlamentare, parallelo allo sviluppo democratico, come già era avvenuto nel 1928 nella sua Dottrina della Costituzione, nel 1932 in "Legalità e Legittimità" e, in particolar modo, nel 1934 nel suo articolo "Il Führer tutela il Diritto". Come l'unità statale interna è determinata per Schmitt dalla "sostanziale omogeneità", così anche i grandi ordinamenti spaziali ancora da creare devono avere una struttura omogenea. Questo postulato di Schmitt implica anche il suo rifiuto nei confronti di tutte le organizzazioni internazionali esistenti nel XX secolo, dal momento che, secondo le sue concezioni manca loro sia l'omogeneità strutturale che quella a livello di interessi comuni. Tutti gli accordi infranazionali ed internazionali del nostro secolo sono per Schmitt obsoleti, dal momento che essi non garantiscono il Nomos della terra, rappresentando invece semplici "Nomomachie". La democrazia rappresentativa si fonda sull'autonomia della ragione, è un'"autolegittimazione" (Schmitt, in "Teologia politica", II, p. 114) e in quanto tale non è capace di creare legittimità. Carl Schmitt conosce solo la democrazia dell'identificazione, il popolo non può decidere, può solo acclamare ("Verfassungslehre", p. 77), ciò che corrisponde al noto modello delle dittature.
Ma nel "Nomos della terra" c'è anche un altro aspetto su cui mi sembra importante attirare l'attenzione. Schmitt sottolinea con forza che nel XX secolo il profilo mondiale del diritto internazionale (la "recinzione della guerra") sarebbe sostanzialmente cambiato attraverso il Patto Kellogg del 1928 e a partire dallo Statuto di Londra del 1945. La "criminalizzazione" dei nemici sarebbe nata in quel momento (p. 367). In questo modo Schmitt si scaglia contro le "ingerenze" di stati estranei nelle "questioni interne" di un paese o, più chiaramente, contro la denuncia e la condanna di cittadini di uno stato per "crimini contro l'umanità". Qui il consigliere di stato del regime nazionalsocialista Carl Schmitt si sente personalmente colpito e discriminato a causa del suo appoggio ai crimini dei nazisti contro gli ebrei, i cosiddetti "appartenenti a razza diversa" e le persone politicamente sgradite. I lettori italiani possono capire cosa rappresentino in realtà per Schmitt le "linee di amicizia" ("Il Nomos della terra", p. 431), e quale "forma immediata" (p. 58) abbia assunto per lui il Nomos della terra dopo il 1945, dalla lettura dei suoi diari, appena pubblicati nella Repubblica Federale (Carl Schmitt, "Glossarium. Aufzeichnungen der Jahre 1947-1951", a cura di Eberhard Freiherr von Medem, Berlin 1991). Scopriranno che gli ebrei sopravvissuti (e sono pochissimi!), insieme agli emigranti rientrati nella Rft e in generale ai vincitori del Reich nazionalsocialista sarebbero coloro che discriminano "gli spiriti pacifici di questa terra" e in special modo il "povero" Schmitt (come egli si autodefinisce), distruggendo definitivamente il "Nomos della terra" (cfr. "Glossarium", D. 119, 252, 282, 290, 297, 298).

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Carl Schmitt

1888, Plettenberg

Schmitt, Carl fu un giurista e pensatore politico tedesco. Docente di diritto presso le università di Bonn, Berlino e Colonia, con l'avvento del nazismo, Schmitt elaborò le linee guida e i principi giuridici di base del nuovo regime. Arrestato nel 1945, fu processato e poi assolto, ma dovette lasciare l'insegnamento. Tra le opere principali si ricordano: La dittatura (1921), Teologia politica (1922), Il concetto del politico (1927), Dottrina della costituzione (1928), Legalità e legittimità (1932).

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