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È stato lo stesso Malraux a narrarci la vicenda del tentato furto, da lui architettato e organizzato, di alcune statuette e sculture da uno dei secolari templi khmer sepolti nella giungla. Di razzie di opere d'arte da rivendere sui ricchi mercati internazionali sono piene le cronache. Quel che rende l'episodio così intrigante (correva l'anno 1923) sono le motivazioni e i protagonisti. Non volgari tombaroli, ma uno scrittore ancora in fase embrionale e sua moglie Clara (1897-1982), frequentatrice di ambienti intellettuali. La vicenda fu trasfigurata da Malraux in un famoso romanzo, La voie royale (1930); ora ce ne arrivano una più puntuale cronaca e i backstages, raccontati dalla moglie in un gradevole libro di (contro)memorie. La donna tiene a mettere in luce il suo ruolo nel salvataggio del marito rinchiuso nelle carceri di Phnom Penh. Lei stessa vi aveva subito una breve detenzione; liberata anche grazie allo stratagemma di un simulato tentato suicidio, tornò a Parigi con un viaggio per mare durante il quale ebbe una fuggevole avventura, che però non la distolse dall'impegno di mettere in piedi una sorta di "réseau" di intellettuali di spicco, da André Gide a François Mauriac, da Jean Paulhan ad André Maurois e Jacques Rivière, da Max Jacob a Gaston e Raymond Gallimard, da Philippe Soupault a Louis Aragon e André Breton, che firmarono un appello a favore del marito, all'epoca, anche per loro, sconosciuto.
Clara Goldschmidt aveva sposato nel 1921 André Malraux, quando aveva ventiquattro anni e lui venti. Figlia di una benestante famiglia di ebrei tedeschi, colta, collaborava con traduzioni dal tedesco al periodico d'avanguardia "L'Action". Incontrò André, se ne innamorò. Fatalmente, i due divennero amanti e dopo poco si sposarono. Con tratto leggero, e lievi tocchi impressionistici, Clara ci fa seguire la giovane coppia nei primi casuali approcci, nel matrimonio, poi nei viaggi e tra le amicizie e conoscenze un po' snob di cui era avida. Un rovescio di fortuna tolse ai due le risorse finanziarie di cui avevano goduto fino ad allora. André, ambizioso, convinto del suo genio e poco voglioso di lavorare come un comune mortale, ebbe l'idea della ruberia, da cui sperava di ricavare abbastanza per vivere agiatamente un paio di anni. Gli andò diversamente, ma forse da questo smacco, che lo innalzò alla notorietà, cominciò la sua fortuna. Clara circondava di adorazione il genio di lui, che non la ripagava di uguale considerazione e fin quando i due si separarono soffocò le ambizioni letterarie. Questo libro, uscito nel 1966, è una felice prova delle sue doti di scrittrice. Mentre André investe della sua prepotente personalità il tema e lo torce espressionisticamente, sembra che Clara subisca, per così dire, gli eventi, intenta nell'evocazione di nomi, occasioni, reminiscenze e sensazioni intessute in una filigrana di luce tenue. Sono pagine comunque rappresentative di un certo clima "entre-deux-guerres", quando un intellettuale faceva e disfaceva mode e destini, e la sua autobiografia era un evento o uno scandalo: un clima irripetibile, di cui queste pagine conservano il fascino. Clara Malraux scrisse poi con varia fortuna, e di lei va ricordato l'impegno in difesa dell'ebraismo e l'attiva partecipazione alla Resistenza.
Angiolo Bandinelli
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