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Novelle amorose ed esemplari - María de Zayas y Sotomayor - copertina
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Novelle amorose ed esemplari - María de Zayas y Sotomayor - copertina
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Descrizione


Nel 1637 uscirono in Spagna, dove ebbero subito grande risonanza, queste venti novelle che si situano nella tradizione classica dei racconti del Boccaccio e dei Racconti di Canterbury e che rimandano echi del racconto cavalleresco, pastorale, moresco e bizantino. Sono tutte novelle d'amore e vi prevalgono compiacimenti sensuali e realistici, esposti con fine intuito psicologico. L'originalità del narrare sta nel fatto che Maria de Zayas è una donna-scrittrice, cosa non frequente nella Spagna del suo tempo, quasi una scrittrice femminista ante litteram, che illustra le sue opinioni su amore, castità, fedeltà, adulterio senza eccessive remore e concependo la vita non in senso tragico, ma come qualcosa che in fondo fa ridere.
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Dettagli

1995
1 gennaio 1997
XX-340 p., ill.
9788806124410

Valutazioni e recensioni

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Maunakea
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Novelas amorosas y ejemplares, o Decamerón español datato circa 1637, relgalato più per l'impatto estetico e ad esclusivo beneficio di mostra nella libreria, ho provato a leggerlo senza impegno, posizionato ove capita di leggere due o tre pagina di quando in quando, credevo non sarei mai arrivata a finirlo, come mia abitudine ho saltato di pacca a prefazione, le trovo assai fastidiose, perchè mi parlano di un libro che ancora non ho letto, di un autore che non so se mi piace, quindi prima leggo il libro poi, se il mio interesse è ancora vivo, piglio anche in mano la prefazione,che spesso non è altro che un riassunto amplificato del libro stesso, che, lettain aticipo mi avrebbe privato del gusto di leggere il tutto. Decamerone spagnolo, perchè le storie sono vagamente simili e raccontato come una successione di storie da parte di diversi narratori in serate successive. Alcune storie sono ovviamente favolette semplicistiche e datate... l'intervento del diavolo, filtri d'amore e similari, altre invece riescono ad essere non noiose se non avvincenti. Della letteatura spagnola sono totalmente ignorante, d'altronde resta sconosciuta ai più, quindi difficlmente si mette in relazione con le contemporanne produzioni dell'epoca. A farla breve un libro interessante e rivalutabile, sicuramente un regalo che si può apprezzare.

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Voce della critica


recensione di Poggi, G., L'Indice 1995, n. 8

"E poiché io ho la mania di leggere tutto, persino i pezzettini di carta trovati in terra per via...": così si esprimeva Cervantes nella prima parte del "Don Chisciotte" innescando, e proprio a partire da questa incursione autobiografica, la spirale di specchi e proiezioni narrative che avrebbero caratterizzato il romanzo. Non molto tempo dopo, con un'analoga rivendicazione alla lettura, una nobildonna madrilena si sarebbe rivolta al suo pubblico, affinché non solo si dilettasse delle sue novelle, ma anche riflettesse sulla discriminazione che escludeva il cosiddetto sesso debole dall'arte del leggere e dello scrivere: "Dunque se tutto ciò è vero [che anche le donne possono diventare letterate] quale sarà mai il motivo per cui noi donne non siamo considerate idonee a leggere libri? Io infatti, se vedo un libro nuovo o antico, abbandono il cucito e non ho pace finché non l'ho letto tutto".
Godibili ora anche in edizione italiana, per la cura e la traduzione di Sonia Piloto di Castri, le dieci novelle "amorose ed esemplari" cui Donna Maria de Zayas y Sotomayor premette queste vibrate parole costituiscono altrettante storie narrate all'interno di una cornice boccaccesca: dieci casi o vicende, dieci "meraviglie" (così le definisce la stessa Zayas) tese a incantare lettrici e lettori del variegato pubblico barocco. E ho anteposto le lettrici ai lettori non tanto per ubbidire a una formula che ormai, se non fosse perché dettata da una sana aspirazione all'uguaglianza, rischia di diventare di maniera, ma perché mi sembra che lo spirito che anima la narrativa della Zayas sia quello di dilatare il più possibile l'orizzonte di ricezione di un genere che ancora si disegnava su ruoli convenzionali e stilizzati, su di un codice mobile più nel complicarsi esteriore degli eventi - fughe, peripezie, travestimenti - che in una loro effettiva implicazione con il reale.
Simile nell'impianto e negli artifici narrativi a quella di tanti suoi predecessori e contemporanei, la novellistica della Zayas se ne distanzia tuttavia in ragione di un atteggiamento concreto, quasi autobiografico, nei confronti della materia narrata. Per cui l'eterno gioco dell'amore, che costituisce l'humus di tanti intrighi barocchi, è per lei l'occasione di indicare e sottolineare la differenza di comportamenti fra uomini e donne, un pretesto per stabilire complicità con quello che si indovina essere un pubblico aristocratico e preferibilmente femminile.
Credo che sia proprio questo circuito fra autrice, eroine e lettrici, fra donne narranti e donne narrate a disegnare il tanto dibattuto femminismo di Maria de Zayas, femminismo che, comunque lo si voglia osservare, non arriva mai a sovvertire il rigido sistema di ruoli e istituzioni patriarcali in cui si iscriveva la società seicentesca, ma si attesta piuttosto ai livelli di una sua interpretazione in chiave di differenza, laddove la donna cessa di essere un tramite, una proiezione letteraria, per vivere in prima persona gelosie, passioni, perfino erotici coinvolgimenti.
Per arrivare a questo, la Zayas finisce per spostare impercettibilmente l'asse attorno a cui ruotava la novella d'ispirazione italiana e per eluderne i persistenti filtri retorici, in ragione di una tecnica variata e composita, dove il ricorso ad artifici canonici (il travestimento, l'agnizione, la descrizione di luoghi e persone) si mescola a quegli effetti magici e soprannaturali che, più che confermare il supposto romanticismo della scrittrice, denunciano piuttosto la sua abilità nello scorciare, annodare, ricomporre frammenti di storie tanto quotidiane quanto, a volte, incredibili e avventurose.
Strettamente legata al modello cervantino, la scrittura della Zayas sembra insomma aggirarne i postulati di verosimiglianza, partecipando da un lato alle aspettative illusorie, alla fuga dalla realtà propria del tardo barocco, e aprendo dall'altro l'arte del "novellare" a una più vasta fruizione, a uno stile che ammonisse ma al tempo stesso avvincesse e in cui lo stesso concetto di esemplarità, ancora così gravido in Cervantes di risonanze morali, diventasse attenzione al privato, a un'intimità in cui tutti - e soprattutto le donne - potessero riconoscersi.
Questa tendenza a volgere il genere verso una letteratura di consumo e a ritagliarne le pretese stilistiche sui criteri di una più immediata funzionalità e comprensione lo si può scorgere nella cura che la Zayas dedica agli interni, ai dialoghi, a tutte quelle forme di comunicazione (biglietti, messaggi, serenate) che tanto da vicino richiamano il telefono delle odierne, interminabili telenovelas. E che le novelle della Zayas contengano i germi di una narrativa di consumo (già Carmelo Samon… le aveva accostate ai romanzi d'appendice), che, insomma, nonostante la ridondanza della loro prosa barocca, esse convoglino messaggi facilmente decifrabili, lo conferma la stessa maniera in cui la traduttrice conduce questa versione italiana (la prima integrale) della raccolta. Scegliendo di spezzare in più punti il filo argomentativo della narrazione a favore di un suo sviluppo più rapido e lineare, la Piloto di Castri mostra di privilegiare l'aspetto istintivo che preme dietro alla scrittura della Zayas cedendo a volte, è vero, al fascino di un rifacimento in chiave moderna, ma attenta sempre, se non alla lettera esatta del testo spagnolo, al ritmo profondo, comunicativo e intimamente femminile che lo genera.
Peccato solo che uno sguardo volutamente frettoloso alla bibliografia critica sulla Zayas abbia dissuaso la curatrice del volume dall'addentrarsi nel dibattito femminista già avviato da Alessandra Melloni ("Il sistema narrativo di Maria de Zayas", Quaderni iberoamericani, Torino 1976) ed Emilia Mancuso ("Maria de Zayas: una donna in difesa delle donne nella Spagna del Seicento", Il Ventaglio, Roma 1980); peccato che non si sia soffermata a confrontare la sua versione italiana della raccolta con quelle già approntate, sia pure in via parziale, da Eugenio de Zuani e dalla stessa Mancuso.
Peccato, perché ciò le avrebbe evitato qualche inesattezza o interpretazione troppo disinvolta: come quando, nel "Giudice della propria causa", finisce per schierare Carlo V nientemeno che contro Federico Barbarossa, là dove il testo spagnolo ("sucedi¢ el caso referido en Fez, a tiempo que el César Carlos V... estaba sobre T£nez contra Barbarroja") allude ovviamente non all'imperatore medievale, ma al corsaro infestante, nel Cinquecento, le coste del Mediterraneo. Sviste che non rendono il giusto onore all'importanza dell'edizione einaudiana, e anzi parrebbero dimostrare come, quando il nuovo avanza, scemi l'attenzione verso i dettagli: sia pure minimi, sia pure storici.

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