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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Frigessi, D., L'Indice 1986, n. 5
La storia dell'ebraismo nell'Ottocento è dominata dalle vicende dell'ebraismo russo e non solo per ragioni quantitative. Nell'impero zarista gli ebrei vissero in condizioni molto difficili. Il liberalismo di Alessandro II si esaurì già verso il 1870, successivi interventi legislativi - il numero chiuso per gli ebrei nelle scuole e un interminabile servizio obbligatorio di leva - aumentarono la segregazione e la persecuzione della popolazione ebraica. L'antisemitismo che si scatenava nei pogrom era del resto spiegabile - almeno in parte - con la struttura economica dell'ebraismo russo, "una minoranza non agricola in una società agricola".
Anche per reazione a questa situazione, nella Russia del tardo Ottocento si crearono le basi del movimento sionista. Come interpretare il sionismo: una risposta speculare alle persecuzioni o il coronamento di tutta la storia ebraica? Lorenzo Cremonesi, milanese e ricercatore all'università di Tel Aviv, rintraccia nel suo libro alcuni aspetti ed offre alcune interpretazioni di questo movimento alle sue origini: il sionismo erede dell'illuminismo, "eresia laica dell'ebraismo", "rivoluzione copernicana" che aspetta dagli uomini, non più da dio, la soluzione della questione ebraica o il sionismo come movimento nazionalista che per crescere e svilupparsi ha bisogno delle persecuzioni e fa quindi un uso - secondo alcuni suoi oppositori - strumentale dell'antisemitismo?
Il sionismo ebbe all'inizio almeno due anime, illuminista l'una e quasi per definizione contraria all'assimilazionismo, l'altra ispirata invece all'idea messianica di Sion e tramandata dagli ebrei dell'est europeo che furono appunto "palestinocentrici" in opposizione ai "territorialisti" occidentali. Di questi ultimi faceva parte il fondatore del sionismo politico, Theodor Hertzl. I "territorialisti" concepivano la terra promessa in maniera strumentale, indipendentemente dal luogo dell'insediamento. Fu proprio il dibattito centrale sulla Palestina a far emergere il contrasto tra due diverse concezioni della nazione destinate ad influire fino ad oggi sul concetto di "stato ebraico". Per gli uni era il popolo ebraico a costituire il fondamento della nazione, per gli altri era la terra dei padri, a garantire l'ebraicità dell'insediamento.
La prima e la seconda emigrazione ebraica, circoscritta e selettiva, di origine per lo più russa, in Palestina fondava sul lavoro, soprattutto agricolo, la possibilità per il popolo ebraico di riappropriarsi della dimensione temporale e di trasformarsi socialmente. Il rifiuto della realtà urbana, il ritorno alla natura, il modello del 'mir' si mescolavano a progetti di rigenerazione sociale ed a realtà di colonizzazione e di conquista. Attraverso la competizione sul lavoro questi primi pionieri pensavano persino di poter risolvere pacificamente la questione del possesso della Palestina. E nel quadro di questa prima fase, spesso teorizzati e vissuti come tentativo di realizzare il socialismo, i 'Kibbutzim' ebbero il carattere d'un esperimento che intendeva tradurre nella realtà sociale i due principi fondamentali del sionismo: la conquista del lavoro e quella della terra.
Libri come questo, che nascono da un'attenta riconsiderazione, e dall'interno, di fatti troppo poco noti possono essere importanti per capire il presente e le sue contraddizioni tragiche attraverso il recente passato.
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