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Un'originale, visionaria storia di un luogo e di una famiglia narrata con ironia.
In questo racconto, in questa storia di un luogo, di una famiglia, di una «educazione sentimentale», la parola villeggiatura - in sé ridente, quasi sfaccettata di riposanti utopie, settecentesca, goldoniana - assume un che di ironico e di sinistro, come se rovine e fantasmi nella palazzina già convenissero al momento stesso in cui fu edificata, nell'utopico 1794. Ed è un racconto di cui si può dire, tout court, che «non somiglia», cui è difficile trovare riferimenti, richiami, rispondenze se non forse - per sfuggenti impressioni, per appena decifrabili suggestioni - a quel Giro di vite di Henry James in cui l'infanzia e i fantasmi trovano una terribile consustanziazione. La memoria, il tempo perduto e ritrovato, la guerra contro il tempo, il convergere delle cose accadute nelle cose che accadono, vi hanno senza dubbio gioco: ma più, senza tempo, la congiura della vita contro la vita, il trascorrere della vita nel sogno, il riconoscere la vita - e il riconoscersi - «nella stessa sostanza di cui son fatti i sogni».
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