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Anno edizione: 2017
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Quanto tempo abbiamo a disposizione, dalla culla alla tomba, quanto ne sprechiamo inutilmente, e a quali accelerazioni inutili costringiamo il nostro viaggiare, mangiare, divertirci, collezionando incontri inessenziali, hobby che non ci interessano, esperienze che non ci arricchiscono? Come scriveva già Seneca duemila anni fa, il futuro è incerto, il passato immodificabile: l’unico spazio di vita su cui possiamo agire è il presente, che affolliamo di cose superflue, senza riuscire ad assaporarne la bellezza profonda, lasciandolo invadere da fantasmi mentali (ambizioni, confronti, invidie), materiali (rumori, dipendenze di vario genere, passatempi idioti) e fisici (vicini insopportabili, parenti gelosi, amici nemici) che ci derubano dell’unico vero tesoro che possediamo: il nostro tempo. Già l’introduzione di Valeria Arnaldi ci suggerisce considerazioni preziose sull’importanza di riscoprire la lentezza come “consapevolezza della dimensione orizzontale dell’adesso”, recupero di un respiro più attento al momento che viviamo, in noi stessi e con chi ci è vicino, rivalutazione dell’attesa e degli attimi vuoti, ritrovamento di un pensiero in grado di riflettere senza precipitare nell’ansia del giudizio e del profitto ad ogni costo, esplorazione del sogno e del ricordo. Oltre alle “Lettere a Lucilio” di Seneca, miniera sapienziale che andrebbe assolutamente rivisitata, ci troviamo a leggere Castaneda, Kundera e il fisico Carlo Rovelli, Lewis Carroll e Cioran, l’Ecclesiaste e Cesare Pavese. A riconsiderare non del tutto negativo l’ozio rispetto all’efficientismo, la malinconia nei confronti dell’eccitazione, la passeggiata senza meta piuttosto del viaggio organizzato. Magari riascoltando i più suggestivi “Adagi”o dei musicisti classici, e la splendida “C’è tempo” di Ivano Fossati. Provando a seguire l’indicazione di Sant’Agostino, che definiva il tempo come “un’estensione dell’anima”, da indagare lentamente, dentro e fuori i suoi confini.
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