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Pietas e allattamento filiale. La vicenda, l'exemplum, l'iconografia
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1997
1 marzo 1998
350 p., ill.
9788839204530

Voce della critica


recensione di Beta, S., L'Indice 1998, n.10

Una giovane madre che allatta il suo bambino o la sua bambina è una cosa normale che non fa notizia. Ma una puerpera che, con il suo latte, nutre il padre o la madre salvando loro la vita, è qualcosa di molto diverso - qualcosa di sorprendente, di inusitato, di inaudito. E sono proprio ""inusitatum"" e ""inauditum"" gli aggettivi che Valerio Massimo, un autore latino vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I d.C., sceglie per definire una simile azione: nel quinto libro dei suoi "Fatti e detti memorabili", all'interno della sezione "de pietate erga parentes", Valerio Massimo racconta la storia di una figlia che, per salvare la madre condannata a morire di fame, penetra di nascosto nel carcere e la tiene in vita nutrendola con il latte delle sue mammelle; più avanti, Valerio Massimo cita una seconda variante della storia, che vede una figlia allattare, questa volta, il padre prigioniero.
A Roma, la storia dell'allattamento filiale era ben conosciuta, perché si legge anche in altri autori, come per esempio Plinio il Vecchio e il mitografo Igino; ne esiste anche una testimonianza poetica, rappresentata dai sei versi di un anonimo epigramma dipinto sulla parete di una casa pompeiana. Ne possediamo inoltre anche una versione greca, posteriore di qualche secolo a Valerio Massimo: Nonno di Panopoli, nelle "Dionisiache", narra la storia della giovane Eria, che con il suo latte salva la vita del padre, il principe indiano Tectafo, re dei Bolingi, prigioniero del crudele Deriade.
Questa storia singolare ha fornito lo spunto per l'organizzazione di un convegno che, nel maggio 1996, ha visto i numerosi partecipanti affrontare il tema della "pietas "e dell'allattamento filiale sotto gli aspetti più svariati. Le quattordici relazioni spaziano dalla letteratura alla storia dell'arte, dall'antropologia alla giurisprudenza. Chi prenderà in mano questa raccolta di interventi scoprirà che, nell'antichità l'iconografia della "Caritas Romana" e della "Pietas Graeca", è presente in quattro pitture parietali pompeiane, in due terrecotte invetriate d'età neroniana e in un frammento ceramico decorato a rilievo; che lo stesso tema figurativo, dopo essere quasi scomparso nel Medioevo, ritorna a partire dalla fine del Quattrocento, vale a dire contemporaneamente all'"editio princeps" dell'opera di Valerio Massimo, ispirando pittori come Bernardino Luini, Perin del Vaga e Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
L'analisi di questa strana vicenda permette inoltre di aprire insolite prospettive nel mondo degli antichi. L'ampia relazione di Roberto M. Danese affronta il problema del rapporto fra la trasmissione del latte e la linea della generazione: il lettore sarà informato sulle singolari qualità del latte umano, efficacissima medicina per le malattie degli occhi, nonché sul suo stretto legame con il sangue. Lucia Beltrami, attraverso l'esame approfondito di alcune declamazioni attribuite a Seneca Padre e a Quintiliano, mostra come i giovani romani avessero il dovere di nutrire i genitori per restituire i "beneficia" più elementari ricevuti fin dalla nascita, vale a dire la vita e la nutrizione; Settimio Lanciotti analizza invece la consacrazione di un tempio alla Pietas dovuta all'iniziativa di Manio Acilio Glabrione.
La maggior parte degli interventi riguarda tuttavia la sopravvivenza della storia di questo sorprendente allattamento nelle culture e nelle letterature successive all'età classica, dall'agiografia cristiana alla letteratura esemplare del Medioevo, dal "De mulieribus claris" del Boccaccio ai sonetti del Belli, dalle tragedie francesi del Settecento ad alcune stanze dell'Aroldo di Byron, fino al gesto di Rose of Sharon nel capitolo finale di uno dei più celebri romanzi di John Steinbeck, "Furore".

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