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Pietre, piume e insetti. L'arte di raccontare la natura - copertina
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Pietre, piume e insetti. L'arte di raccontare la natura
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Pietre, piume e insetti. L'arte di raccontare la natura - copertina

Descrizione


Osservare la natura è un'arte? Forse sì. Di certo richiede tempo, e molta dedizione. Occorre una guida esperta che ci permetta di distinguere alberi, rocce e animali, ma soprattutto che ci racconti le loro storie: dalla caccia a insetti rari che sembrano gemme volanti all'incontro inatteso con un geco sul muro di casa, dalle spese e imprese folli degli appassionati di farfalle alle tragicomiche disavventure dei più grandi naturalisti. Vladimir Nabokov scrive: "Ho scoperto in natura i piaceri non utilitaristici che cercavo nell'arte. Erano entrambe una forma di magia, entrambe un gioco intricato di sortilegio e illusione". E la scoperta della natura come gioco è proprio uno dei fili che legano i testi di quest'antologia. L'esplorazione temeraria e trasgressiva sperimentata da bambino - catturare pericolosissimi ranci felloni, dissezionare la carcassa di una tartaruga di mare in veranda - contribuisce alla costruzione di una geografia interiore fatta di sentieri, luoghi preferiti e segreti: degli erbosi o boscosi "paesi delle meraviglie". Matteo Sturarti ha raccolto alcune tra le più belle pagine della letteratura mondiale in cui scienza e poesia parlano la stessa lingua. Un originale percorso che è anche un apprendistato, dove a fare da guida sono scrittori come Calvino, Hemingway, Jünger, poeti come Sbarbaro, esploratori come Macfarlane e naturalisti come Durrell e Wilson.
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Dettagli

2013
17 maggio 2013
403 p., ill. , Rilegato
9788806214005

Voce della critica

  Nel piatto o fintamente mosso panorama dell'editoria nazionale, Pietre, piume e insetti si staglia come un imprevisto inquietante monumento alieno. Trattasi infatti di un'antologia di scritti naturalistici di grandi, grandissimi e spesso colpevolmente malnoti autori. Il curatore, ma meglio sarebbe parlare di autore, è Matteo Sturani, naturalista di terza generazione (e al fondatore della dinastia, Mario, entomologo e artista, è dedicato un prezioso inserto con la riproduzione di alcuni straordinari quadri). Il sottotitolo, L'arte di raccontare la natura, ci cala con rapida precisione in uno dei più importanti snodi tematico-progettuali dell'opera. All'introduzione alla parte quinta, Il naturalista all'opera (oltre a quella generale, tutte le introduzioni a ogni sezione sono di Sturani), è premessa un'illuminante citazione di Steven G. Herman: "Per Natural History si intende lo studio scientifico delle piante e degli animali nei loro ambienti naturali. Questo si estende a tutti i livelli di organizzazione della vita, dal singolo organismo all'intero ecosistema, all'individuazione di alterazioni, ai cicli di vita delle specie, loro distribuzione, abbondanza e inter-relazioni". Ed è una perfetta descrizione e delimitazione delle competenze del naturalista in quanto interprete di una scienza descrittiva. Ma quello che ci sta più a cuore è nella riga successiva, enfatizzato da un "a capo": "Spesso e giustamente include una componente estetica". In che senso estetica? Innanzitutto in quello della ricerca e della scoperta della bellezza: anche negli insetti che tendenzialmente non godono di buona stampa o in altri animali considerati schifosi o dannosi o infausti. Un esempio fra i tanti, un passo di Giuseppe Scortecci, uno dei massimi erpetologi italiani, dedicato a un rospo: una vera dichiarazione d'amore: "Prendete con delicatezza una grande rospa (…) e posatela sul tavolo di fronte a voi. Toccandola, v'accorgerete che la sua pelle verrucosa non è viscida, ma dà la stessa sensazione che provoca un antico velluto di Zoagli. Guardandola, scoprirete che i suoi colori, per quanto variabili, sono sempre morbidi, delicati come quelli delle zinnie, mai accesi, violenti, villani; più spesso un delicato fondo giallo-ocra o un denso terra rossa si sposano armoniosamente col bruno cupo delle macchie. Volgete lo sguardo al muso della panciuta creatura che di solito resterà tranquilla dove l'avrete appoggiata. I suoi occhi grandissimi hanno il colore del rame, o sono aurati, cosparsi di pagliuzze nere, brillanti, ricchi di espressione, ora allegra, ora triste, ora grave, più spesso sobriamente comica". Ma estetica anche nel senso della qualità del testo, della felicità della scrittura. E le due cose non possono andare disgiunte: qui sono antologizzati testi di naturalisti che sono grandi scrittori e di grandi scrittori che sono grandi naturalisti. Molte le scoperte e le riscoperte nelle pagine degli autori "letterati": tra gli italiani, su tutti Meneghello con un'esilarante gara tra bròmboli (scarafaggi) tratta da Libera nos a Malo e Gadda con le peripezie del "signor Carlo" (Adalgisa), palese nipotino di Bouvard e Pécuchet, nonché La Capria con le sue immersioni nelle acque davanti a Napoli (Ferito a morte). Ma altrettante quelle nelle pagine di sconosciuti scienziati capaci di una prosa di assoluta eccellenza. Tra tutti, oltre al citato Scortecci, Charles William Beebe con il suo resoconto di un'immersione negli abissi con una batisfera: pesci che compaiono come spettri dal nulla, pesci che non hanno quasi un nome, o quantomeno un nome trasparente per noi ignoranti: anguille bronzargentee, pallidi nastri di gelatina trasparente, grosse meduse con "lo stomaco pieno d'una massa ardente di cibo luminoso". E poi Turgenev, Nabokov (esilarante l'episodio di quando lui, il creatore di Lolita, incontra contadinotte che fanno il bagno nude e le trascura a favore di una popolazione di ditteri), Neruda ("Chi non conosce il bosco cileno non conosce questo pianeta"), Durrell, sempre divertentissimo. Due "snodi progettuali" del volume vanno senz'altro segnalati. Il primo è relativo alla sottesa pedagogia "selvaggia": l'importanza, per il futuro naturalista, ma anche per ogni bambino che voglia diventare persona consapevole del mondo in cui vive, dell'osservare la natura, compreso l'affondare nel fango, lo sgraffiarsi tra i rovi per cercare un nido o inseguire una farfalla. Tutti o quasi gli autori citati hanno vissuto nell'infanzia in campagna, in case immerse nella natura. L'altro è invece relativo all'ottica "minimalista" privilegiata dall'autore: sempre una prospettiva "dal basso", non eroica, non stentorea. Non è un caso che siano assenti brani dedicati all'Africa (e che in quelli dedicati all'Amazzonia compaiano tante formiche e nessun anaconda). Non è un caso che Hemingway sia presentato in rapporto con le cavallette usate come esca per le trote e non con i leoni di Francis Macomber o i leopardi del Kilimangiaro. Insomma, un minimalismo che invita più a una "caccia grossa tra le erbe", citando il fondatore della dinastia, che non a un safari alla caccia dei mitici e poveri "big five". Da ultimo: questa raccolta fa venire voglia di ripescare urgentemente dagli scaffali i testi degli autori già letti e di cercare in libreria o in biblioteca quelli finora ignoti. E questa è la migliore, forse esclusiva, riprova pratica della riuscita di un'antologia.   Luca Terzolo  

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