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Un libro di guerra che non si limita , come tanti altri , ad un' arida descrizione di operazioni militari , ma si contraddistingue per l' " umanizzazione " di ogni sua pagina , dove vi trovi la partecipazione sincera dell' Autore , tenente di Artiglieria , al dramma dei suoi soldati e degli altri ufficiali pari grado . Ho ammirato la Fede dell' Autore che lo ha sostenuto nell' adempimento dei suoi doveri e nelle indicibili sofferenze incontrate nella vasta pianura ucraina in quell' inverno 1942-43. Pur raccontando delle atrocità commesse dai Tedeschi e dai Russi sui soldati caduti nelle loro mani , nel libro non c'é un solo rigo di odio o di semplice rancore : vi si legge piuttosto un ammonimento per le generazioni future a guardarsi dai sistemi ideologici che pretendono di costruire un futuro senza Dio . Gianfranco Stivaletti .
E' scritto come un diario, in prima persona; questo permette di comunicare direttamente al lettore tutta l'ansia per le vicissitudini narrate. L'autore riesce sicuramente a trasmettere tutte le difficoltà vissute, ma - a mio parere - manca la visione d'insieme. Come lettore non sono riuscito a capire l'evoluzione della situazione nel suo complesso, a causa anche della similitudine tra i giorni critici vissuti dall'Autore in prima persona e tanti suoi compagni di cui si è purtroppo persa ogni traccia. L'analisi dei rapporti umani è solo sfiorata, si insiste ossessivamente sulle difficoltà della sopravvivenza personale che porta spesso a ricordi frammentari incapaci di dare una chiara rappresentazione dei luoghi e delle azioni svolte. Mi attendevo qualcosa di più, anche se è una testimonianza che non si può non conoscere.
Dispiace constatare come un autore del calibro di Eugenio Corti sia quasi sconosciuto. Amatissimo dai suoi pochi lettori (meritatamente amato), Corti è stato vittima sia di un certo ostracismo editoriale, sia di una interessata indifferenza da parte del mondo intellettuale italiano. Questo libro è un diario terribile ed illuminante, una descrizione di una lucidità dolorosa di quell'evento storico che fu il ritiro dell'esercito italiano (ARMIR) dal fronte russo. Corti non fa sconti a nessuno, descrive quello ha vissuto in prima persona, dalle nefandezze dei nazisti e dei bolscevichi al comportamento dei soldati italiani: nobili fino al sacrificio della vita, distrutti dalla fame, dal gelo e dalla paura, ridotti spesso al delirio, al tradimento, alla bestialità. L'umanità che narra Corti è amplissima, un ritratto a tutto tondo di quel che può essere e quindi fare un uomo nella condizione innaturale della guerra. Pare proprio che da queste condizioni estreme si riveli la parte più intima di ognuno; per questo accanto all'altruismo di alcuni si contrappone la meschinità degli altri. Ma l'autore non esprime condanne: semplicemnte narra con quella qualità, sempre più rara, dell'onestà.
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