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Gli anni dello sterminio. La Germania nazista e gli ebrei (1939-1945)
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Gli anni dello sterminio. La Germania nazista e gli ebrei (1939-1945) - Saul Friedländer - copertina
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anni dello sterminio. La Germania nazista e gli ebrei (1939-1945)

Descrizione


"Gli anni dello sterminio" porta a compimento uno dei maggiori sforzi compiuti da uno storico contemporaneo per ricostruire e comprendere l'evento chiave del Novecento: la persecuzione e lo sterminio di milioni di ebrei nell'Europa occupata dai nazisti. Per portare a termine il loro piano, i tedeschi avevano bisogno della collaborazione delle autorità locali e dei vari corpi di polizia e della passività delle popolazioni, a cominciare dalle élite politiche e spirituali. Ma era necessaria anche la disponibilità a obbedire agli ordini da parte delle vittime, che così speravano spesso di veder alleviate le loro sofferenze o di sopravvivere abbastanza a lungo da ottenere un visto per sfuggire agli aguzzini. Saul Friedländer studia la macchina nazista ai suoi diversi livelli e nei diversi paesi: permette di capire la scala, la complessità e l'interdipendenza dei vari fattori che resero possibile lo sterminio. Il materiale esaminato è enorme: non solo documenti ufficiali, ma anche diari, lettere e memorialistica. Questa poderosa sintesi non addomestica la memoria dell'orrore, ma restituisce una terribile pagina di storia in tutte le sue sfaccettature, erigendo un autentico monumento alle sue vittime.
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Dettagli

2009
22 gennaio 2009
984 p., Rilegato
9788811680543

Valutazioni e recensioni

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saturn
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Secondo parte della gigantesca opera di Friedlander dedicata all'Olocausto. L'autore continua anche in questo volume il suo stile di narrazione che combina l'analisi del processo decisionale nazista con la descrizione fattuale dello sterminio e soprattutto con la narrazione delle reazioni e dei sentimenti delle vittime. A questo scopo utilizza oltre a innumerevoli fonti "classiche", numerosi diari per rappresentare il più compiutamente possibile la realtà del genocidio. Opera profondamente partecipata dall'autore e che suscita intense sensazioni emotive. Da leggere in connessione con l'opera di Hilberg che nel suo distacco "tecnicistico" risulta ancor più terrificante anche se meno "emozionale"

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dario
Recensioni: 5/5

Se fosse possibile meriterebbe un voto ancora maggiore. Un libro meraviglioso, il testo base per capire l'olocausto. Un libro che tocca profondamente il cuore e la mente.

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Voce della critica

A dieci anni dalla traduzione italiana della prima parte della grande opera dedicata da Saul Friedländer al rapporto tra la Germani nazista e gli ebrei, che si arrestava al 1939, l'editore Garzanti presenta per il pubblico italiano la seconda e ultima parte di quello che non esitiamo a definire un monumento storiografico. Per fare comprendere al lettore la complessità dell'elaborazione di quest'opera, sarà bene ricordare che nell'edizione originale inglese la prima parte uscì nel 1997 e il volume che ora si segnala seguì nel 2007. Dieci anni separano dunque la comparsa della due parti di questa grande opera che rappresenta sicuramente il contributo più rilevante e probabilmente, per quanto storiograficamente ci si possa esprimere in questi termini, definitivo ai fini della ricostruzione della Shoah.
Proprio per rendere ragione del lungo lasso di tempo che separa le due parti dell'opera è bene chiarire subito che quest'ultimo volume non si può e non si deve considerare semplicemente la continuazione della prima parte. Lo è sicuramente dal punto di vista cronologico, molto meno dal punto di vista delle fonti e del metodo.
Memore della polemica sostenuta in passato con un autorevole storico tedesco, Martin Broszat, che, perorando la "storicizzazione del nazionalsocialismo", aveva gettato un'ombra sulle memorie personali dei superstiti ebrei, qui più ancora che nella prima parte Friedländer inserisce nel tessuto della narrazione storica la voce delle vittime, senza tema di sopravvalutare e di esasperare i momenti emozionali e di scadere dall'oggettività del discorso storico, per quanto di questa si possa parlare, e dalla valutazione critica alla parzialità e alla soggettività delle testimonianze.
Sin dalla comparsa della prima parte, l'opera di Friedländer si presentava come la più esauriente rappresentazione della persecuzione proprio per quell'integrazione fra Täter e Opfer (aggressore e vittima), che tendeva a superare la dicotomia che aveva fino ad allora prevalso nella storiografia tedesca, che pure alla ricostruzione della Shoah ha dato e sta dando (da Mommsen a Benz, a Longerich, a Steinbacher, ad altri) contributi notevolissimi. Se già la prima parte del lavoro di Friedländer faceva indovinare l'importanza che bisognava attribuire alla sua opera nel suo complesso, la comparsa della seconda parte dedicata allo sterminio e all'intero periodo della seconda guerra mondiale consente di valutare pienamente il significato metodologico e di merito di un'opera che ha comportato sedici anni di lavoro. Un'opera che, come ha tenuto a sottolineare lo stesso Friedländer nelle lezioni tenute nel 2007 presso l'Università di Jena, dal punto di vista metodologico ambiva a essere "una storia integrata dell'Olocausto", ossia un'opera in cui la storia della società tedesca sotto il nazismo e la storia degli ebrei non fossero la storia di una doppia separatezza, ma il tentativo di scrivere e comporre "le due storie nell'ambito di un unico quadro complessivo".
I diversi piani dell'opera, già evidenti nella prima parte, risultano con distinzione ancora più marcata in questa seconda, in cui lo sguardo esce dai confini della Germania per abbracciare di fatto l'intero continente europeo nelle parti soggette al controllo delle potenze dell'Asse, sicché la folla degli attori che compongono la scena si moltiplica a dismisura. E il filo conduttore che unisce la prima alla seconda parte è il privilegiamento delle fonti private, nelle quali si riflette la "quotidianità ebraica", ossia la quantità di diari, delle memorie, delle corrispondenze nelle quali si esprime "la microstoria", la "dimensione ebraica" essendo fatta essenzialmente di storie di individui che interagiscono con le forze protagoniste della "soluzione finale", recuperando così alla grande storia una dimensione che viene generalmente trascurata o relegata in secondo piano.
Sebbene molte delle fonti a cui allude Friedländer fossero e siano ben note, a cominciare appunto dai diari di Klemperer che costituiscono dall'inizio alla fine uno dei contrappunti della sua narrazione, l'averli usati e inseriti organicamente nel tessuto della trattazione fa emergere la loro quantità, e quindi il carattere della loro rappresentatività, e soprattutto la qualità della loro scrittura, si tratti di fonti francesi piuttosto che olandesi, lituane piuttosto che polacche, russe piuttosto che tedesche, che attestano la percezione che gli ebrei stessi ebbero della loro sorte spesso sino alla soglia della camera a gas e della fossa destinati a ingoiarli. La maestria con la quale Friedländer fonde i dati della realtà storica con le testimonianze autobiografiche fa sì che la narrazione storica dia luogo a una vera e propria composizione letteraria in cui i diversi piani del discorso si intrecciano in una perfetta polifonia. La compattezza con la quale procede la narrazione, che non richiede alcun espediente retorico per sottolineare l'escalation della drammaticità, è ulteriormente rafforzata dalla rigorosa scansione cronologica entro la quale è ordinata la materia su cui lavora lo scrittore. Entro i binari di una periodizzazione in tre cicli (Terrore: autunno 1939-estate1941; Omicidio di massa: estate 1941-estate 1942; Shoah: estate 1942-primavera 1945), l'autore organizza la ricostruzione dell'accelerazione verso lo sterminio prescindendo da ogni forma di determinismo, mostrando ogni volta la complessità di un concorrere di circostanze e di attori la cui ripetitività non può tuttavia distrarre dalla presenza di alcune costanti che rappresentano il tessuto connettivo dell'opera.
A differenza di autori come Hilberg, nel quale l'accentuazione del fattore strutturale nel meccanismo della distruzione sembra offuscare nel personale addetto ogni fattore ideologico e al limite le motivazioni dell'agire umano, Friedländer sottolinea il filo rosso dell'antisemitismo come la linea permanente che fa da guida alla volontà di sterminio degli ebrei.
Se nella prima parte l'autore aveva insistito sul concetto dell'"antisemitismo redentivo" come "la forma più radicale di odio contro gli ebrei", qui, negli anni del conflitto, sottolinea la forza della mobilitazione che animò la popolazione tedesca e parte dei popoli occupati nella guerra agli ebrei, costantemente ricorrente negli interventi di Hitler e di Goebbels che preannunciarono quotidianamente la condanna a morte degli ebrei. Non ultimo, tra i capolavori della propaganda nazista, fu l'agitare lo spettro della vendetta degli ebrei dietro la loro invisibile potenza mondiale, ultima ed estrema versione della teoria della cospirazione mondiale caposaldo dei Protocolli.
Per Friedländer fu questa la molla che tenne unito il popolo tedesco quasi fino all'ultimissimo atto del suicidio del Terzo Reich dietro alla bandiere del nazismo. Mai prima di lui era stata affermata con altrettanta fermezza la pervasività dell'antisemitismo nella vita quotidiana; quella che per Hitler potrebbe essere la storia di un'ossessione diventò per il popolo tedesco la motivazione di una guerra quotidiana contro un nemico ben visibile e identificato con la stella gialla, quasi a proporre fisicamente l'individuazione dell'obiettivo di un personale corpo a corpo.
L'ampliamento di orizzonte proposto da Friedländer coinvolge in primo luogo il problema della collaborazione di altri paesi e di altri governi (alleati e satelliti) nell'opera di distruzione, un aspetto sul quale, come a proposito di altri, lo spazio ci impedisce di entrare in dettagli, sebbene esso metta in evidenza la diffusione a livello europeo della furia omicida contro gli ebrei. Ci limiteremo solo a osservare che, come era già capitato a Hilberg, anche in un'opera così bene informata come questa le complicità e le responsabilità dell'Italia fascista risultano nettamente sottovalutate. Poiché non si poteva richiedere a Friedländer una particolareggiata ricostruzione ex novo della politica del regime fascista e della Rsi contro gli ebrei, non possiamo che notare come una lacuna del genere sia addebitabile essenzialmente alle reticenze e ai ritardi della storiografia italiana nel mettersi al passo con gli standard della ricerca internazionale.
Non potremmo chiudere queste note senza ricordare il contributo critico che quest'opera apporta ad alcuni dei problemi più controversi dello studio della Shoah, a cominciare dall'atteggiamento delle chiese cristiane, oggetto di forte attenzione critica, ma anche di equilibrate valutazioni. Un altro nodo problematico sul quale Friedländer prende posizione riguarda la collocazione della Wehrmacht tra i protagonisti dello sterminio, in consonanza con tutta la più recente storiografia, soprattutto tedesca, sulle responsabilità della Wehrmacht e non solo delle SS e delle unità di polizia.
Altrettanto importante appare, nel suo intento in buona parte riuscito di rendere la contemporaneità delle reazioni di tutte le parti in causa, la considerazione che Friedländer riserva all'atteggiamento dei partner dell'alleanza antinazista. Completezza vuole che si faccia cenno anche alla posizione critica di Friedländer nei confronti di altri esponenti della storiografia ebraica (in particolare Arendt e Hilberg). Nella sua ricca e argomentata ricostruzione, Friedländer si misura con una letteratura sterminata, proponendo con l'aggiornamento delle conoscenze fattuali un aggiornamento di prospettiva che colloca la sua opera, accanto al grande libro di Hilberg, tra gli studi con i quali d'ora in poi dovrà misurarsi la storiografia della Shoah.
Enzo Collotti

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