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La primadonna all'Opera. Scrittura e performance nel mondo anglofono - Serena Guarracino - copertina
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La primadonna all'Opera. Scrittura e performance nel mondo anglofono - Serena Guarracino - copertina

Descrizione


La primadonna all'Opera traccia le variazioni sul tema della cantante lirica nelle letterature in lingua inglese attraverso un approccio interdisciplinare: un viaggio che conduce l'opera lirica lontano dai luoghi conosciuti della critica musicale, nell'altrove di una controcultura in cui primedonne della musica e della letteratura celebrano il potere della propria voce. Se è vero che l'opera rappresenta il potere culturale europeo, la primadonna ricopre il ruolo di straniera esotica, affascinante e insieme pericolosa deviazione dalla norma. Essa può quindi incarnare figure dal margine della modernità occidentale, spesso strettamente legate a percorsi femminili e spesso femministi, come accade nelle narrazioni di George Eliot, Joan Anim-Addo, Willa Cather, Sujata Bhatt e molte altre.
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Dettagli

2010
1 gennaio 2010
1443 p., Rilegato
9788864580135

Voce della critica

Un saggio compatto, dalla scrittura levigata. Molta sostanza nell'introduzione e nei quattro capitoli, rispettivamente sulla prospettiva femminista in musicologia; sulla figura del castrato nella cultura inglese e in Disgrace di J.M. Coetzee; sulla primadonna romantica, di cui Imoinda della grenadina Joan Anim-Addo è una riscrittura post-coloniale; sui testi in cui la cantante diviene espressione di resistenza culturale e crocevia di relazioni femminili. Al percorso si intersecano brevi analisi di sequenze filmiche o rievocazioni di memorie personali, di ascolto e visione: assaggio di una scrittura del sé modellata su una critica che è gesto politico. Proprio come in The Queen's Throat di Wayne Koestenbaum (Penguin, 1994), esempio di musicologia queer purtroppo mai tradotto in italiano. Oggetto del saggio è l'appropriazione, specie da parte di scrittrici anglofone, della figura della primadonna e in generale di quell'aspetto del melodramma rappresentato dall'accadimento scenico. Guarracino propone il metodo del contrappunto, inteso come scrittura "contro", che rappresenta un diverso "punto di udito". La musica infatti può essere un discorso culturale trasgressivo, non omogeneo al sapere-potere coloniale: lo ammetteva anche Edward Said in una serie di incontri fondativi per la definizione dei cultural studies in musicologia (Musical Elaborations, Vintage, 1991). Nella stessa musica classica, così vicina al potere, se solo si fa attenzione si ascoltano altre voci, altre storie. Una di queste è il femminismo, che ha fornito un contrappunto alla musicologia ufficiale americana e, nella prima fase, ha rovesciato il punto di ascolto, mentre nella successiva ha fatto emergere le potenzialità anarchiche della voce nell'opera lirica. Da una parte c'è la lettura di Catherine Clément (L'opera lirica o la disfatta delle donne, Marsilio, 1979), per la quale le eroine dell'opera sono vittime del patriarcato, sgozzate per far quadrare il ritorno all'ordine, con la complicità del linguaggio musicale e la sua dialettica tra attesa e conferma della tonalità (Susan McClary, Feminine Endings, University of Minnesota Press, 1991: anche questo, come Koestenbaum, scandalosamente mai tradotto); dall'altra il riconoscimento dell'autonomia femminile in personaggi apparentemente succubi del maschile. Sia per l'autorevolezza del loro canto, sia per la presenza fisica della cantante, sia per il concorso di più voci femminili in quella della protagonista – come McClary ha suggerito per il personaggio di Carmen, in cui vivono altre donne a iniziare dalla prima interprete. L'opera può dar voce a soggetti subalterni, che rifiutano le identità tradizionali: eccentrici, direbbe Teresa De Lauretis (Soggetti eccentrici, Feltrinelli, 1999). L'opera italiana è straniera alle orecchie del pubblico maschile inglese: voce dell'Altro e dell'esotico con cui fare i conti. Anche il castrato è agente di un discorso che erode le strutture d'ordine. La carrellata sulla recezione dell'opera italiana a Londra nel Settecento individua connessioni tra opera, identità nazionale e di genere. Sul corpo eccessivo dei castrati si combatte una battaglia: la maschilità inglese si costruisce nella contrapposizione con l'effeminatezza dei cantanti italiani che seducono il pubblico. Le opere da loro cantate sono elemento di disturbo nel momento in cui si difende la supremazia coloniale centrata sulla Britishness; la voce del castrato è luogo di alterità perturbante e migrazione musicale; il suo corpo è "etnicamente alterizzato", in quanto la castrazione rimanda all'idea di un Oriente favoloso. Il castrato è quindi una figura ribelle: un "non-uomo", un po' come Monique Wittig alla fine di The Straight Mind diceva per la lesbica: non è una donna, perché "non è più una donna chi non è in relazione di dipendenza personale con un uomo" (1980, trad. italiana "Bollettino del CLI", 1990). Allora nemmeno la primadonna è una donna: non dipende da una costruzione maschile, ma è un soggetto eccentrico in cui altri soggetti marginali riconoscono se stessi. Certo, la narrazione fondante del melodramma romantico è il sacrificio di colei che desidera autonomamente, ma la primadonna, trasgressiva anche nella vita, modello di donna indipendente talvolta schierata con le cause femministe, diventa strumento politico del controdiscorso femminile. In ottica simile la voce del mezzo-soprano, con la sua commistione di suoni e registri, tra falsetto e voce di petto, rappresenta il "Terzo elemento", il soggetto travestito che esprime una critica all'identità rigida. Donde le infinite riscritture del mito di Pauline Viardot nei panni dell'Orfeo di Gluck, da George Eliot a Willa Cather, Marcia Davenport, Jeannette Winterson e Sujata Bhatt: gioco di scambi e scritture di donne che adorano la Diva mettendo in gioco il proprio desiderio. Marco Emanuele  

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