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Problemi umani in comunità di massa. Una psicologia tra clinica e politica - Piero Amerio - copertina
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Problemi umani in comunità di massa. Una psicologia tra clinica e politica
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Descrizione


L'espressione "comunità di massa" riflette una contraddizione prodotta nella condizione umana e nella vita sociale contemporanee da due istanze principali. La prima ricerca il senso di una relazione sociale più profonda, tale da avere valore in sé, al di là del semplice interesse personale ed egoistico. La seconda riflette invece la chiusura in un privato che non è vera privacy, perché investito da modi comportamentali uniformizzati e da rappresentazioni di sé e delle cose prefabbricate da una dimensione sociale massificata. Questa analisi delle tematiche derivanti dall'utilizzo di tale espressione è condotta nell'ambito di un'indagine di alcuni nodi fondamentali della riflessione psicologica, filosofica ed etica.
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Dettagli

2004
8 giugno 2004
XI-413 p., Brossura
9788806169923

Voce della critica

L'ultimo libro di Piero Amerio, che insegna psicologia di comunità alla Facoltà di psicologia di Torino ed è noto anche a livello internazionale per i suoi studi di psicologia sociale, è il frutto di anni di insegnamento psicologico, di riflessioni e ricerche e, anche, di impegno politico diretto. L'autore, con questo testo, offre una sintesi di vasto respiro, rielaborata a partire da questo insieme di esperienze, in una logica non meramente accademica, e infatti il suo stesso linguaggio ne risente positivamente, poiché le tematiche psicologiche e sociali sono trattate con uno stile lodevolmente piano e discorsivo, allo scopo di proporre collegamenti, prospettive di approfondimento, più che non solo teorie di riferimento.
L'espressione "comunità di massa" che dà il titolo al libro è, per così dire, provocatoria poiché massa e comunità tradizionalmente sono concetti antitetici e il fatto di accostarli costituisce un po' la sfida teorica che si dipana per tutto il testo con lo scopo di individuare se, dove e come sia possibile, in una società massificata come la nostra, individuare e sviluppare spazi di cooperazione, di solidarietà e di autorealizzazione personale.
I temi affrontati sono quelli, drammatici, della nostra vita di tutti i giorni: la violenza e la giustizia, la solidarietà e la sicurezza, l'identità e la diversità, il singolo e il gruppo con un interrogativo che, non a caso, chiude il discorso su quale può e potrebbe essere, deve e dovrebbe essere il ruolo della psicologia in questa società e nella comunità: il ruolo cioè di una scienza che dovrebbe prestare molta attenzione ai fattori strettamente umani e alla promozione di sane relazioni sociali. Non dunque un ruolo meramente di supporto, di una scienza che interviene "dopo" a riparare, per quanto è possibile, guai individuali e sociali, ma di una scienza che può e deve intervenire "prima", a contribuire a progettare e organizzare nuovi schemi di relazioni sociali e di comunità più coerenti con le esigenze di una società democratica e partecipata, sola condizione per contenere gli effetti della violenza e della distruttività.
In tal modo il libro illustra e descrive una psicologia a metà strada tra clinica e politica (potremmo dire tra clinica individuale e clinica sociale) e questo lo si vede bene nelle stesse esplicite dichiarazioni dell'autore il quale, in premessa, precisa che il suo scopo è proprio quello di individuare le articolazioni fra attività mentale e attività pratica, tra conoscenza e azione. Così se la clinica ha a che fare con la "cura" dell'uomo da parte dell'uomo, la "politica" ha a che fare con l'individuo, inteso come valore e principio di ogni criterio morale.
Amerio, dunque, alle preoccupazioni di carattere scientifico ed epistemologico, proprie del ricercatore, associa le preoccupazione pratiche dello psicologo (e, se vogliamo, del politico) che interviene direttamente nella società per promuovere e sviluppare competenze attive dei soggetti individuali e sociali. I suoi debiti teorici, dichiarati e riconosciuti, vanno da Lewin a James, da G. H. Mead a Dewey, senza dimenticare la lezione dell'antropologia marxiana che Amerio non ripudia e anzi rivendica e pone a fondamento nella sua psicologia sociale. E si arricchiscono di molti autori contemporanei che operano non solo nel campo della psicologia ma anche della filosofia e dell'etica, come ad esempio Axel Honneth, nel saggio Riconoscimento e disprezzo , o Rawls con la sua teoria della giustizia.
Sotto un profilo strettamente concettuale, l'argomento di fondo riguarda la possibilità di una conciliazione e di un'armonizzazione tra le esigenze del soggetto e quelle della comunità. In altri termini, a fronte del fatto che nello schema sociale prevalente di tipo capitalista, produzione-mercato, non viene aiutata la socializzazione né la partecipazione, Amerio si chiede come sia possibile stabilire relazioni interpersonali genuine che vadano al di là del semplice interesse egoistico e siano permeate anche di un autentico afflato solidaristico. E come sia possibile custodire i propri spazi interiori e privati in un modo che sia davvero promotore di crescita e pensiero e non costituisca invece un mero ripiegamento individualista, eterodeterminato da modelli imposti conformisticamente da ideologie o massmedia.
Nel compiere questa disamina l'autore, richiamando il pensiero di molti teorici sociali contemporanei, da Riesman a Lasch, da Sennett a Lipovetsky, non manca di sottoporre a serrata critica psicosociale la società di massa e certe sue istanze spersonalizzanti che la attraversano e aprono la strada ad avventure politicamente totalitarie. Ma al contempo non manca di prenderne le distanze critiche per valorizzare il fatto che, nel mondo d'oggi, sono ben presenti anche istanze solidaristiche e spinte comunitarie (si pensi ad esempio alla gran quantità di persone che operano nel volontariato) che contrastano queste tendenze e che dunque vanno comprese, recuperate e rilanciate da una scienza psicologica e sociale che voglia essere al servizio della società odierna. Perché l'attenzione all'altro non è soltanto una attività rubricabile sotto l'intenzionalità caritatevole ma è un modo per perseguire di una più piena realizzazione di sé: una soggettività dentro la comunità ,come scrive Amerio.
E così si arriva alla risposta alla tesi centrale che attraversa il libro, ovvero che non c'è comunità se non c'è una convivenza di individui intesi come soggetti . L'individuo cioè si costituisce "come principio e come valore". In questo quadro l'autore non manca di ricordarci che "dentro ai problemi sociali ci sono persone che li vivono sulla loro pelle". Un richiamo, questo, che non è affatto superfluo se si pensa a molta scienza sociale odierna, e a molta psicologia, che sono così preoccupate narcisisticamente della propria modellistica da dimenticarsi che in ultima istanza di persone trattano. Infatti, ci dice Amerio, i problemi umani hanno una duplice dimensione individuale e sociale e si coniugano sul versante soggettivo e sul quello pratico oggettivo. Così le situazioni problematiche non sono costituite solo dai dati oggettivi, ma anche dai sistemi di percezione-valutazione degli esseri umani che vi sono implicati, e la realtà è costituita non solo dai dati oggettivi ma anche dai sistemi di significato che vi portano soggetti singoli e collettivi.
Dal punto di vista sociale e politico questa posizione comporta una concezione per cui la democrazia non è intesa come mero meccanismo esteriore, ma come qualcosa che deve coinvolgere le persone direttamente, ovvero come un vero e proprio modo di vivere. Quindi anche l'attività politica deve implicare oggi un impegno ben più profondo che non può esaurirsi nelle sole forme istituzionali e giuridiche, ma chiama in causa il livello di coesione sociale, il pluralismo, la capacità di dialogo e di ascolto, la responsabilità delle persone.
In questo senso la democrazia, sostiene Amerio, è possibile solo nell'ambito di una concezione della società intesa come una comunità pluralistica in cui la partecipazione dei cittadini costituisce il bene sociale comune. Sono le pratiche sociali di coinvolgimento diretto nella gestione della cosa pubblica che fanno della democrazia un fatto di sostanza e non solo di forma, produttrice di coesione e quindi di salute politica della comunità, da una parte, e di salute mentale degli individui e dei gruppi, dall'altra. Anche perché, ci ricorda l'autore facendo propria la lezione marxiana, la qualità più specifica dell'uomo è la sua capacità di trasformare e incidere sull'ambiente e, di conseguenza, di contribuire a costruire in tal modo la società. Quindi, se il mondo in cui viviamo è il mondo costituito dall'uomo e dal suo lavoro, il cambiamento sociale è prerogativa e possibilità propria dell'uomo che va perseguito, e questo è il compito di un impegno tanto teorico che pratico, cioè di una modo di fare ricerca che comporti anche una azione trasformatrice sulle cose.
Ma in questo libro, al di là della tesi di fondo e dei vari passaggi argomentivi dei singoli capitoli, Amerio offre una gamma di sollecitazioni intellettuali, di citazioni, di collegamenti con la filosofia e le varie scienze sociali che, di per sé, rendono la lettura stimolante e portatrice di riflessioni (talvolta perfino di fruttifero dissenso) ben oltre le tesi di fondo.
Dunque, attraverso i molteplici riferimenti interdisciplinari, si offrono al lettore occasioni di pensiero non limitati alla specifica tematica del testo e proprio questo ne costituisce la peculiarità nell'ambito della pubblicistica psicologica contemporanea, troppo spesso carente o priva di respiro filosofico e culturale. Perciò è da raccomandare agli psicologi (ma anche agli studiosi del sociale in generale) affinché non si ripieghino esclusivamente sulla propria scienza o sul proprio tecnicismo, rischiando in tal modo non solo di isterilire la propria disciplina ma, soprattutto, di perdere di vista la necessità di una riflessione più ampia, che non trascuri di far riferimento alla condizione esistenziale propria dell'uomo.
Se si pensa alle nostre organizzazioni sociali e alle loro dinamiche sociologiche e psicologiche, così ampiamente studiate dalle scienze omonime, e se si pensa alla sterminata pubblicistica che insegna "come si deve fare" per gestire qualsivoglia problematica organizzativa, si osserva che spesso tutto questo supposto "sapere" si riduce a essere una serie infinita di decaloghi che lasciano il tempo che trovano e in cui viene promossa e coltivata l'illusione che ci possa essere sempre una risposta a tutto, ma dai quali l'attenzione alle persone e al loro mondo appare molto secondaria.
È importante, invece, che discutendo dei problemi del vivere comune non si illustrino illusorie soluzioni ma si ricordi invece, come fa Amerio, che ciò che si dovrebbe perseguire è la costruzione di una società "nella quale lo scambio discorsivo abbia la meglio sulla violenza e la prevaricazione".

Giorgio Blandino

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