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scheda di Dalmotto, E., L'Indice 1997, n. 8
Un processo ordinario dura mediamente quattro anni. Ciò significa che, quando l'altra parte non ci sta a perdere e tira per le lunghe, i tempi facilmente infrangono il muro del decennio, tanto che l'Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a causa della strabiliante durata delle nostre pendenze giudiziarie. Accanto ai modi ordinari di ottenere giustizia c'è però un canale meno formalizzato e più sommario: quello della tutela in via d'urgenza. La velocità di questo canale, specie se rapportata alla sostanziale paralisi del modo normale di procedere avanti agli organi giurisdizionali, ha indotto a ricorrere massicciamente ai provvedimenti d'urgenza, ben oltre i confini originariamente immaginati dal legislatore per il loro utilizzo. Le recenti riforme processuali, anziché porre un freno a tale fenomeno, si sono preoccupate di razionalizzare il sistema del processo cautelare, entro cui si cala la procedura d'urgenza. Enrico A. Dini e Giovanni Mammone, con la settima edizione riveduta e ampliata del loro fortunato volume, seguono l'evoluzione della materia sia sotto il profilo dei significativi mutamenti di procedura avutisi a seguito di importanti modifiche del codice di rito, sia sotto il profilo del sempre più ampio sviluppo applicativo della tutela d'urgenza in campi che svariano dall'ambiente alla salute, ai consumatori, ai diritti della personalità, al diritto societario. L'impressione è che i cittadini si siano lanciati in una rincorsa dell'urgenza spinti, più che dalle cadenze in progressiva accelerazione della moderna società, da profonda sfiducia verso l'attitudine del processo ordinario (quello non urgente) a rendere giustizia in tempi ragionevoli.
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